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Pubblichiamo questa riflessione di Antonio Moscato che permette di cominciare una prima riflessione su quello che sempre più appare uno degli aspetti fondamentali della contraddizione sociale e politica nella quale viviamo. E cioè, da un lato l’indignazione, l’esasperazione, l’opposizione contro il sistema che raggiunge settori sempre più ampi della società; dall’altro il fatto che questa opposizione, anche quando si traduce in protesta (come nel caso della Grecia, ma di altri paesi), non appare oggi in grado di abbattere governi che incarnano in maniera brutale e aperta gli interessi delle classi dominanti.

 

In altre parole, la contraddizione sempre più flagrante tra quella che possiamo chiamare la dimensione oggettiva e quella soggettiva. Antonio Moscato pone qui qualche utile elemento di riflessione che investe, in particolare, le carenze dell’elemento soggettivo. Pensiamo, ad esempio, alla oramai svilita nozione di sciopero generale, diventato una semplice giornata (quando non addirittura un evento di poche ore) d’azione. (Red)

 

Quello che colpisce della crisi greca è prima di tutto che le misure prese, ferocissime, finora non sono servite a niente, e che i superburocrati europei continuano però a raddoppiare le pretese e a offrire altri prestiti destinati esclusivamente a rimborsare i creditori. I nuovi crediti “europei” non arriveranno neppure in Grecia, ma si fermeranno nella banche tedesche e francesi, responsabili del folle indebitamento della Grecia (soprattutto con le spese militari più alte dell’UE).

Ma stupisce ancora di più che in Grecia le proteste, che tanto indignano il nostro governo e il suo padrino, Giorgio Napolitano, sono state fortissime, ma non hanno ottenuto nulla. Se non, negli ultimi giorni, un continuo sganciamento di esponenti della maggioranza di governo: dapprima si sono dimessi quattro ministri del partito di estrema destra Laos, che ha ritirato il sostegno al Monti locale, Papademos, poi la sottosegretaria agli Esteri Mariliza Xenogiannakopoulou, del partito socialista Pasok, che continua invece a svenarsi (come il PD in Italia) per sorreggere il governo. Va detto che lo stesso Papademos ha detto polemicamente che chi fa la fronda è meglio che si dimetta. D’altra parte ha ancora una discreta maggioranza assoluta, 236 deputati su 300. Ma fino a quando?
Come è stato possibile che più di una dozzina di “scioperi generali” non abbiano smosso nulla? Questa è la domanda più inquietante.
Ci sono diverse spiegazioni. Prima di tutto, non sono stati veri scioperi generali: avrebbero dovuto puntare a estendersi, a prolungarsi, fino alla caduta del governo. Ma le molte compromissioni degli apparati sindacali col potere politico hanno spinto a moltiplicare manifestazioni simboliche, anziché preparare un braccio di ferro col governo e con i capitalisti (evasori cronici come in Italia). Inoltre le divisioni sindacali hanno pesato: sia i dirigenti legati ai socialisti, sia quelli comunisti di varie sfumature non hanno perso l’abitudine di insultarsi reciprocamente accusandosi di fare il gioco dei padroni.
Tra poco si dovrà andare al voto, e questo ha spinto anche settori del governo a fare gesti plateali di dissenso a scopi scopertamente preelettorali, e in questo senso si spiega l’uscita dell’intero Laos. La disoccupazione dichiarata è passata dal 13% al 20%, ma probabilmente è assai superiore, e in ogni caso si avvicina al 50% tra i giovani.
Un sondaggio di opinione pubblicato pochi giorni fa dal giornale Kathimerini e da una catena televisiva privata ho preannunciato un crollo del Pasok dal 44% all’8% (otto!) mentre Nea Dimokratia, pur essendo la maggiore responsabile dell’indebitamento, se la caverebbe scendendo dal 33% al 31% grazie al governo Papandreu, che ha tentato di togliere le castagne dal fuoco e si è bruciato. L’estrema destra del Laos sembra calare, perché ha partecipato in questi mesi al governo Papademos, e si è sganciata solo in extremis, ma ci sono altri gruppuscoli di destra in ascesa. Comunque se questi sondaggi risultassero veritieri, i partiti che appoggiano il governo otterrebbero circa il 40%, mentre i partiti alla sinistra del Pasok avrebbero il 42,5% anche se si presentassero separati: il partito comunista KKE avrebbe il 12,5% mentre nel 2009 aveva ottenuto il 7,5%, la sinistra radicale Syriza 12% (era al 4,6%), mentre una scissione moderata di Syriza, Sinistra democratica, viene accreditata del 18% (la novità viene valutata bene nei sondaggi, come da noi per Vendola, ma resta tutto da verificare). Interessante che ciascuna di queste formazioni di sinistra avrebbe da sola più voti del Pasok.
Astrattamente un cartello tra queste tre forze potrebbe apparire credibile e ottenere molti più voti, presentandosi come un’alternativa valida al governo, tanto più che i sondaggi dicono che c’è un buon 30% che vorrebbe astenersi. E addirittura il 91% degli elettori si dichiara insoddisfatto dal governo attuale, e il 79% è indignato per il memorandum della Trojka, anche se ancora un 46% mantiene un po’ di fiducia personale a Papademos. Ho detto però “astrattamente” e “potrebbe”, perché nella situazione attuale un’intesa tra le sinistre parlamentari appare inverosimile, dato che continuano ad accusarsi reciprocamente di tradimento.
L’ostacolo principale è la direzione del KKE, settaria da sempre, e che invece di proporre un programma d’azione e di rivendicazioni agli altri raggruppamenti, li insulta e usa le manifestazioni come parate della propria forza, in contrapposizione agli altri, accusati di praticare una finta opposizione. Ma anche se fosse del tutto vero (in parte lo è, ma si potrebbe dire lo stesso per il KKE e il suo sindacato), il KKE dovrebbe porsi il problema di conquistare quel 30% schierato con Syriza e Sinistra democratica, e anche i settori in crisi del Pasok, e gli astensionisti. Conquistarli con un programma per tutti, non con l’autoproclamazione dei propri presunti meriti rivoluzionari, e le frasi reboanti sul potere dei lavoratori e dei popoli.
In realtà gli uni e gli altri si riempono la bocca con frasi praticamente speculari sul popolo che deve spazzare via i falsi rivoluzionari. E gli uni e gli altri hanno un peso nel movimento sindacale, che continua a far disperdere energie con scioperi praticamente simbolici, mentre le iniziative di lotta come quella dell’ospedale di Kilkis o delle Acciaierie Greche (Helleniki Halivourgia, vedi Notizie dalla Grecia), durata 100 giorni, non sono state riprese e generalizzate.
E per concludere sulle responsabilità delle sinistre ex comuniste (o sedicenti comuniste, nel caso del KKE), basta dire che non ci sono stati sforzi significativi per collegare i due paesi colpiti da un analogo attacco. Più grave la responsabilità italiana: come già nel 1944-1945, lo slogan ricorrente è: evitare di fare come la Grecia, ignorando che oggi come allora la Grecia, attaccata senza colpa, si difende, magari male, insufficientemente, e soprattutto senza capire che va sostenuta perché lì si sperimenta la atroce medicina che sarà riproposta a Portogallo e Italia (la Spagna forse otterrà per il momento un trattamento di favore, per i meriti acquisiti da Rajoi con la repressione violenta del dissenso…).

 

* Il presente articolo è stato pubblicato sul sito www.antoniomoscato.altervista.org.