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Da ormai più di un mese, e sicuramente per ancora un po’ di tempo, i lavoratori edili in Svizzera rimarranno senza un contratto nazionale. Infatti è scaduto a fine 2011 il CNM (Contratto nazionale mantello per il settore principale dell’edilizia) e i tentativi di prolungarlo sono finora rimasti senza  successo. In un primo tempo per l’opposizione sindacale, di recente per l’opposizione padronale, indipendentemente dalle ragioni evocate dai due fronti.

 

Eppure, in queste ultime settimane, qualcosa comincia a muoversi, in particolare attraverso la sottoscrizione di accordi cantonali che prolungano i contenuti del contratto nazionale e fissano adeguamenti salariali, di fatto segnando la strada di un possibile accordo tendenzialmente favorevole al padronato. Pensiamo, in particolare, agli accordi conclusi in Vallese ed in Ticino.

La situazione appare ormai assai compromessa per i lavoratori dell’edilizia: nella migliore delle ipotesi il CNM verrà rinnovato, alla fine di un probabile processo di mediazione, con pochi cambiamenti significativi e con un risultato salariale assai vicino all’offerta padronale ritenuta, ancora qualche mese fa, inaccettabile dalle organizzazioni sindacali.

 

Debolezza e mancanza di strategia

 

Le ragioni alla base dell’attuale difficile situazione nel settore principale della costruzione  sono sostanzialmente tre.

Un primo luogo una situazione oggettivamente più difficile in seno al mercato del lavoro che subisce le pressioni della liberalizzazione  conseguente agli accordi bilaterali. La mancanza di controlli nell’applicazione del contratto (una tara storica del settore della costruzione che il movimento sindacale non ha mai affrontato con la dovuta determinazione nei periodi di “alta congiuntura”) si è coniugata con una presenza diffusa di nuova manodopera che sfugge ai meccanismi tradizionali di organizzazione del lavoro nel settore. Pensiamo in particolare alla diffusione del lavoro interinale e del subappalto che ha rivoluzionato, il termine non ci pare improprio, l’organizzazione del lavoro del settore.

Un secondo elemento è senza dubbio la debolezza ormai cronica del movimento sindacale sui posti di lavoro e delle sua capacità di mobilitazione. Anche questa una tara “storica” che vede ormai la capacità di mobilitazione del movimento sindacale ridursi a regioni tutto sommato marginali nello sviluppo dei rapporti di forza di fronte alla Società Svizzera degli Impresari Costruttori (SSIC): Ginevra, Ticino e Vaud. Nulla da fare nel cuore dell’edilizia (Berna, Zurigo, Argovia, Basilea, San Gallo) dove la capacità d’azione non va oltre l’organizzazione di azioni “esemplari” su uno o due cantieri (spesso organizzate più in funzione di una presenza mediatica che di una vera speranza  di modificare i rapporti di forza reali).

Infine una mancanza assoluta di capacità di direzione sindacale e di costruire una strategia tenuto conto della situazione di debolezza evocata qui sopra. Non vi sono dubbi che le vicende che hanno investito Unia Ticino negli anni recenti – e che hanno allontanato dalla direzione nazionale del settore elementi fondamentali – hanno messo a nudo l’incapacità dell’attuale direzione. Nell’ultimo rinnovo contrattuale, caratterizzato comunque da una certa capacità   di tenuta di fronte all’offensiva padronale,un’intelligente strategia aveva sopperito alle debolezze sopra  menzionate mettendo l’accento su alcune situazioni significative,      cercando di farle pesare sulla situazione complessiva. Pensiamo qui in particolare al ruolo esercitato dal blocco dei cantieri Alptransit in Ticino e nei Grigioni.

 

L’offensiva padronale

 

Di fronte a tutto questo il padronato ha compreso (e nessuno ha il senso dei rapporti di forza quanto il padronato) la situazione. Ha capito di trovarsi di fronte ad un ventre molle e ad una strategia ripetitiva rispetto al passato, ma sempre più debole. Manifestazione al sabato (quella di settembre), mobilitazioni nei cantoni dove esiste capacità residua di azione. Così è stato, come prevedibile. Il padronato non si è scomposto ed ha deciso di andare oltre mettendo le direzioni sindacali di fronte al fatto compiuto: una situazione, come quella nella quale ci troviamo, di vuoto contrattuale.

Si tratta di una situazione che solo gli sciocchi possono pensare essere “ideale” perché “libera” i lavoratori e le direzioni sindacali dalle restrizioni della pace del lavoro. La mancanza o la presenza di clausole di pace del lavoro non è mai stata, in quanto tale, la ragione della minora o maggiore conflittualità sociale.

Il padronato, in questa situazione, si trova in una posizione di forza perché ha il vantaggio di poter offrire qualcosa che non esiste più: un contratto collettivo di lavoro. E può anche partire dalla convinzione che offrire un CCL tale e quale a quello scaduto possa essere il massimo da concedere alle organizzazioni sindacali. Il che significa che la trattativa – in forma diretta o sotto forma di una mediazione – avverrà partendo da un livello molto più basso.

 

Tendenze centrifughe: una vera ipoteca

 

Gli accordi firmati in alcuni cantoni (significativo quello in Ticino) mettono un’ipoteca pesante sulla conclusione di un accordo positivo (e migliore) a livello nazionale. Conclusi partendo dall’idea di avere interessi comuni da difendere tra padronato e lavoratori (di fronte ad una possibile escalation del dumping salariale) in realtà essi cristallizzano una vera e propria resa e, come detto, ipotecano negativamente lo sviluppo a livello nazionale.

Quello ticinese in modo particolare, alla luce di tre considerazioni.

Il primo è che si tratta di una di quelle regioni ancora in grado – per ragioni storiche più che altro – di mobilitare i lavoratori del settore (come avvenuto nel 2011 in due occasioni). Il fatto che si sia giunti ad un accordo – dietro l’impegno (stando alle dichiarazioni pubbliche dei responsabili ticinesi della SSIC) di rispettare la pace del lavoro assoluta – limiterà la capacità di azione complessiva a livello nazionale, come detto già fortemente limitata. È un po’ come se una squadra rinunciasse a mettere in campo i suoi attaccanti più forti al momento dei turni finali decisivi di un campionato. La conclusione appare assai chiara: il CNM dell’edilizia rischia di venir rinnovato a condizioni inferiori a quelle vigenti a fine 2011.

Significativo, alla luce dell’accordo ticinese, quanto pattuito in materia salariale. In dicembre il padronato era pronto (così sostenevano i sindacati in un comunicato ad offrire l’1,5% del salario). L’accordo concluso in Ticino garantisce ai lavoratori un aumento dell’1%.

Sicuramente da parte sindacale si metterà l’accento sul fatto che la SSIC Ticino è disponibile a modificare l’attuale art. 16 del contratto relativo al subappalto, in particolare discutendo della possibile introduzione di una responsabilità solidale da parte delle imprese appaltanti. Vedremo come troverà concretizzazione questa formulazione che per il momento, è il meno che si possa dire, assai generica.

 

La lotta è finita…

 

Vero è che con questi accordi cantonali (ed in particolare nei cantoni in grado di mobilitare) la fase di mobilitazione per il rinnovo del CNM nazionale della costruzione si può dire conclusa. Anche perché, come  detto, questi accordi cantonali hanno come contropartita il rispetto della pace del lavoro assoluta.

In queste condizioni la trattativa per il rinnovo rischia ormai di essere confinata solo al tavolo del negoziato e delle procedure di mediazione, altro ambito nel quale, come noto, è escluso il ricorso a forme di lotta. Un contesto quindi estremamente favorevole ai padroni ed alle loro strategie.

La vicenda del CNM chiude anche simbolicamente una fase del sindacalismo di questo paese che aveva visto, con la ripresa dell’azione sindacale del SEI (uno dei fondatori di UNIA), l’emergenza di un nuovo sindacalismo che aveva dato, almeno in parte, vigore all’azione sindacale nel settore dell’edilizia facendone un punto di riferimento per tutto il sindacalismo svizzero combattivo.

Gli strateghi del SEI, che hanno voluto la costruzione di UNIA mandando alle ortiche quelle difficili conquiste realizzate dal SEI, dovrebbero meditare su questo triste approdo. Vasco Pedrina, uno degli artefici di questa bella strategia, potrà andare in pensione il prossimo marzo, soddisfatto di se stesso: ma verosimilmente senza nemmeno poter contare sulla esistenza del CNM dell’edilizia. Non c’è che dire, proprio una bella riuscita!