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Ormai non ci sono più limiti alla deriva razzista, aperta, che si sta sviluppando nel nostro cantone. Una deriva che non riguarda solo le proposte che da tempo il fronte politico Lega – UDC sta sviluppando a proposito dei frontalieri e del loro ruolo nell’economia cantonale; ma che oggi investe sempre più pesantemente i richiedenti l’asilo (con epicentro il centro di Chiasso) e vede coinvolti praticamente tutti i partiti governativi.

Partiti che possono ormai contare sulla preziosa e complice collaborazione del dipartimento della “socialista” Nicoletta Sommaruga.

Come si costruisce un problema

 

È assolutamente impressione notare, sfogliando anche distrattamente i giornali o visitando i diversi portali cantonali, come il tema degli asilanti sia diventato una priorità per tutta la classe politica. “La misura è colma”, “non se ne può più”, ecc, ecc.: sembrerebbe che un assedio condotto da richiedenti l’asilo contro una povera popolazione cantonale inerme. E sembrerebbe che il fenomeno sia inarrestabile, in piena. Il centro di registrazione di Chiasso e qualche episodio successo in città diventano così l’occasione per un attacco vero e proprio al diritto d’asilo e per una campagna razzista e xenofoba.
Tutto questo, evidentemente, avviene oscurando la realtà sociale, presentando come “nuovo” e “urgente” una questione che tale non è e con la quale il Ticino convive benissimo da anni.

Memoria corta

La stessa classe politica che oggi sbraita e si prepara a votare proclami all’attenzione dell’Autorità federale (anch’essa, come detto, sulla stessa lunghezza d’onda). Basti ricordare a questo proposito che il dibattito sulla criminalità degli asilanti e la proposta di creare un centro di accoglienza securizzato (non molto diverso di fatto dalle proposte oggi sul tappeto) venne fatta dal governo nel 2002 ed approvata all’inizio del 2003. Naturalmente non se fece nulla: in particolare perché, ad i là della discutibile bontà di simili proposte, la città di Lugano, sul cui territorio sarebbe dovuto sorgere il centro, si oppose con veemenza, liberali e leghisti (Giudici e Bignasca) in testa).
Ma, si potrebbe dire, le cose da allora sono precipitate, la situazione si sarebbe “aggravata”, raggiungendo ormai un livello di guardia. Vediamo se le cose stanno effettivamente così.

Al momento di motivare al creazione di quel centro di accoglienza securizzato a Lugano, la situazione dei richiedenti l’asilo veniva descritta con particolare attenzione al loro aspetto “delinquenziale”. Nel messaggio si ricordava infatti che i richiedenti l’asilo erano 1371 (cifre relative all’anno 2000). In quello stesso anno delle 173 persone incarcerate, 37 erano asilanti; nel 2001 163 richiedenti erano stati denunciati e 49 arrestati. Quella situazione, ritenuta grave, spinse a formulare la richiesta del centro, approvata ma mai realizzata. Un confronto con l’ultima situazione conosciuta, quella del 2010, ci dice che la situazione è rimasta sostanzialmente stabile. Il numero dei richiedenti l’asilo è rimasto costante (1’338) così come il numero degli asilanti imputati di avere infranto una o più leggi (in particolare quella sugli stupefacenti): risultano infatti essere una cinquantina secondo le statistiche della polizia. In leggero calo, a voler essere precisi, rispetto ai dati forniti nel 2002.

Facciamoli lavorare!

Qui il buon senso razzista fa strame di qualsiasi principio democratico (liberale nel senso nobile – ammesso che esista nella realtà – del termine). Da decenni viviamo in Svizzera una doppia impostura. Da un lato una posizione ufficiale che distingue tra politica d’asilo e politica di immigrazione. E che ci spiega che i richiedenti l’asilo (finché la loro procedura non è terminata e non hanno ottenuto l’asilo) non possono lavorare. Dall’altra vi è la realtà dei sans-papiers (valutata dalle stime “ufficiali” attorno ai 2-300’000 persone) che lavorano senza avere un permesso e di fatto fanno parte di una manodopera a basso costo, sfruttata e senza diritti.
Le ultime esternazioni, sostenute a quanto pare dal dipartimento di Simonetta Sommaruga, spingono a mettere al lavoro gli asilanti in attesa di una decisione sulla loro pratica. L’idea di fondo, simile a quella oramai installatasi anche nelle assicurazioni sociali, è che un diritto uno deve guadagnarselo e solo sulla base di una controprestazione si può ottenerlo. Questo vale ormai per le indennità di disoccupazione, quasi per l’AI, per l’assistenza, ecc. Ora lo si vuole estendere anche ad un diritto democratico fondamentale quale è il diritto d’asilo.
Il diritto d’asilo a nostro parere deve restare un diritto in quanto tale. E i comportamenti legalmente non corretti possono sempre comunque essere sanzionati dal vasto apparato di cui dispongono polizia e magistratura: non servono né poteri speciali, né luoghi di detenzione speciali.
Certo se il diritto d’asilo, l’accoglienza di chi fugge da condizioni difficili, venisse esercitato in modo diverso, su basi sociali e culturali diverse, non solo non sorgerebbero molte delle tensioni alle quali assistiamo (ci piacerebbe rinchiudere i parlamentari in un centro di registrazione come quello di Chiasso solo per un paio di settimane e poi vedremmo le loro reazioni…), ma sicuramente la xenofobia ed il razzismo regredirebbero molto velocemente.
Ma tutto questo, evidentemente, non garantirebbe né quella manodopera clandestina alla quale fanno ricorso molti padroni, né, ai loro partiti politici, permetterebbe di continuare ad avere un capro espiatorio al quale addossare tutti i mali sociali – in costante aumento – che investono la nostra società quale conseguenza della feroce crisi nella quale si dibatte il capitalismo mondiale.

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