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Era la fine di aprile del 2011 (poco più di un anno fa) quando le organizzazioni sindacali si esprimevano in modo fortemente negativo (nell’ambito della procedura di consultazione) sul progetto di legge elaborato dal DFE. Quel progetto del quale le organizzazioni sindacali chiedevano il “ritiro” ha dato poi nascita al “nuovo” progetto di legge oggi in consultazione. Un progetto, come noto, che le organizzazioni sindacali ritengono molto migliore di quello precedente e sulla base del quale è stato elaborato un “compromesso” accettabile.

Ma quali erano le cose che non andavano nel vecchio progetto?  Sono radicalmente cambiate nel «nuovo»?

 

Facciamo parlare le organizzazioni sindacali che, nello stesso comunicato del 28 aprile 2011, così si esprimevano: “Le organizzazioni sindacali hanno formulato una presa di posizione comune esprimendo un parere fortemente negativo nei confronti della proposta di legge evidenziando in particolare un giudizio critico:

– Sul differimento dell’orario di chiusura settimanale alle 19.00

– Sulla volontà di spostare l’orario di chiusura al sabato tutto l’anno alle 18.00

– Nei confronti dell’apertura generalizzata durante 4 domeniche e due festività infrasettimanali

– Sulla forte deregolamentazione che investirebbe gli shops annessi alle stazioni di benzina

– Sull’assenza di misure di verifica e controllo del rispetto delle condizioni contrattuali e legali

(…)Chiediamo quindi al Governo di prendere finalmente atto della situazione e di ritirare questo infausto progetto, che non risponde alle esigenze della popolazione e che penalizzerebbe fortemente il personale occupato!!” (messa in evidenza nel comunicato sindacale Ndr).

Il nuovo progetto non ha cambiato praticamente nulla: gli orari verranno portati alle 19.00 tutti i giorni (escluso il giovedì che continuerà restare fino alle 21.00), il sabato la chiusura sarà alle 18.00 tutto l’anno, la deregolamentazione negli shop annessi alle stazioni di benzina sarà totale e fortissima (potranno di fanno aprire 18 ore al giorno tutti i giorni), continueranno ad essere assenti misure di verifica e di controllo del rispetto delle condizioni contrattuali e legali. L’unico punto sul quale vi è un piccolo, ma proprio piccolo, cambiamento riguarda le aperture domenicali. Il vecchio progetto prevedeva due feste infrasettimanali più 4 domeniche (comprese quelle tra l’Immacolata e Natale). Queste domeniche, a seconda del calendario possono essere due o tre (5 anni su 7 sono due). Il governo nel suo messaggio prevedeva che fossero, con la stessa procedura, quattro in tutto (oltre ai due giorni festivi). Ora potranno essere solo tre.

Ma per il resto, come si vede,  l’unica cosa che è cambiata radicalmente è la posizione sindacale. Quello che era un progetto inaccettabile, da ritirare, è diventato un buon “compromesso”. Misteri della dialettica sindacale!

 

Se in casa OCST non si va per il sottile (dichiarando forte e chiaro che ormai su questa base non vi sarà opposizione), in casa UNIA le tradizioni “oregiattesche” sembrano contare più che in casa cristiano-sociale. Così da un lato si benedice il compromesso (anzi, il segretario regionale se ne è fatto l’artefice e il portavoce) dall’altro si fa i furbi dicendo che saranno i lavoratori a doversi pronunciare, ad essere consultati.

E qui, naturalmente, uno può chiedersi: ma non li avevate già consultati, non vi avevano già detto chiaro e tondo cosa pensano, fondando, così dovrebbe essere nello spirito di una vera democrazia sindacale, l’opposizione ai vari progetti?

Certo che i lavoratori sono stati consultati, e a più riprese.

L’ultima importante consultazione era stata fatta e presentata poco più di un anno fa dalle organizzazioni sindacali (giugno 2009).

Il risultato non lascia scampo: nove dipendenti su dieci del settore del commercio al dettaglio erano contrari all’estensione degli orari di aperta. Su 2’691 venditrici e venditori coinvolti nell’inchiesta ben il 95% aveva detto no ai cambiamenti previsti (praticamente uguali a quelli contenuti nel “compromesso” oggi in discussione).

E anche a proposito di un eventuale scambio, più aperture in cambio di un contratto collettivo di lavoro per il settore, un portale ticinese riassumeva così il pensiero del sindacato illustrato nel corso della conferenza stampa di presentazione: “Unia Ticino non cederà di un millimetro e non è disposta a considerare un eventuale Contratto collettivo di lavoro (Ccl) per il settore (che rimane auspicabile) come merce di scambio. Il risultato del sondaggio presso le venditrici del gruppo Coop è del resto significativo: pur potendo beneficiare di un contratto tra i più all’avanguardia, si sono espresse contro il progetto di legge con quasi il 95 per cento” 

Una posizione questa confermata anche da Area, il bollettino edito dal sindacato Unia. Riportiamo qui il trafiletto che faceva seguito ad una intervista ad una lavoratrice della vendita. Il passaggio, intitolato significativamente “Democrazia sindacale” così concludeva: “Il sindacato Unia ha le spalle coperte. Nove dipendenti su dieci del commercio al dettaglio sono contrari all’estensione degli orari di apertura dei negozi. In un comunicato stampa, Unia constata che il risultato della votazione promossa sui posti di lavoro conferisce «al sindacato un mandato chiaro: battersi con ogni mezzo per impedire che il progetto di Laura Sadis e dei grossi commercianti diventi legge». Un progetto di legge giudicato «meramente ideologico» e contrario a un bisogno reale della popolazione.

Da rilevare che Unia non è disposta a considerare un eventuale Contratto collettivo di lavoro per il settore (che rimane auspicabile per il sindacato) come merce di scambio. Al proposito, giudica significativo il risultato del sondaggio delle venditrici del gruppo Coop: «pur beneficiando di un contratto all’avanguardia, si sono espresse contro il progetto di legge con quasi il 95 per cento di no»”

 

A questo punto ci si può chiedere a cosa possa servire una nuova consultazione tra i lavoratori. Se fatta correttamente essa non potrà che ribadire il risultato già acquisito visto che non cambiano sostanzialmente i contenuti della proposta di legge. Se invece la consultazione è solo un modo per far digerire la pillola ai salariati, sicuramente non siamo di fronte ad un esercizio di democrazia sindacale. Al massimo potrà servire a giustificare l’atteggiamento da voltamarsina che le direzioni sindacali stanno tenendo su questa vicenda.