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In Italia in questi giorni si sta discutendo non solo di grande freddo e neve che stanno mettendo in ginocchio il paese, ma anche e soprattutto di lavoro e dei suoi diritti. Il governo Monti ha lanciato la sua offensiva contro i lavoratori mettendo in discussione quel poco che ancora rimane della legislazione sul lavoro in Italia.

 

L’attacco è infarcito di una dose di ideologia contro il posto fisso. Le battute non si sprecano: succo del discorso, il posto fisso è un retaggio del passato, segnale di una cultura vecchia fondata sulla pigrizia e la monotonia. Per stare al passo con i tempi è necessario cambiare lavoro, essere flessibili e non fossilizzarsi in un lavoro per la vita.

Dietro queste considerazioni di carattere puramente ideologico, si nasconde nemmeno troppo bene, un attacco diretto e senza mezzi termini ai diritti del lavoro. Del posto fisso infatti non si rimette in discussione tanto la monotonia o la durezza del lavoro, ma prevalentemente il fatto di essere sinonimo di garanzia di salario, di assicurazioni sociali, di previdenza pensionistica, ecc.

Quello che si vuole toccare è la sicurezza del lavoro a medio e lungo termine, la garanzia di avere un salario fisso ogni mese, la possibilità di ammalarsi e curarsi senza perdere il posto di lavoro e di godere, alla fine della vita lavorativa, di una pensione dignitosa.

Tutti discorsi che da anni vengono ripetuti in tutti i paesi del mondo e sono stati accompagnati da pesanti contro riforme del diritto del lavoro. Anche qui da noi l’offensiva è stata pesante e ha dato le sue conseguenze, basti pensare che negli ultimi dieci anni le nuove assunzioni avvengono prevalentemente attraverso contratti a tempo determinato e che ,secondo i dati dell’OCSE, la Svizzera è uno dei paesi con il maggior numero di posti di lavoro temporanei sul totale della manodopera.

E’ pur vero che a ben guardare anche chi ha un cosiddetto posto fisso si ritrova privo di tutte queste garanzie. La flessibilizzazione e la precarizzazione dei rapporti di lavoro ha nei fatti vanificato la distinzione tra lavoratori garantiti e lavoratori non garantiti, lavoratori fissi e non fissi, stabili e precari.

Le forme della flessibilità del lavoro hanno assunto oggi una dimensione tale da toccare tutte le categorie di lavoratori e lavoratrici indipendentemente dal tipo di contratto e dal settore di attività. Soprattutto in Svizzera , paese nel quale la protezione contro i licenziamenti è particolarmente debole, anche chi possiede un contratto di lavoro a tempo indeterminato è sottoposto ad un dose importante di insicurezza. Per non parlare poi dell’introduzione di forme di salario al merito, di annualizzazione dell’orario di lavoro e di attacco alle pensioni che oggi toccano tutti i lavoratori e le lavoratrici.

La contrapposizione tra lavoratori tipici e atipici, se può in parte servire per categorizzare le forme di lavoro e di contratto e descrivere quindi il variegato mondo delle forme di assunzione, serve soprattutto al padronato per dividere i lavoratori e metterli gli uni contro gli altri.

 

Se si vuole realmente condurre una battaglia per il diritto al lavoro bisogna uscire da questa logica di frammentazione e di divisione della forza lavoro e costruire vertenze che sappiano unire tutti i lavoratori per la difesa, non tanto del posto fisso che come tale oggi non esiste già più, ma per la sicurezza dell’impiego e del salario per tutti e tutte.

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