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Le linee direttive hanno finalmente indicato qualche proposta concreta in materia scolastica. Tutte proposte sulle quali torneremo in modo dettagliato. L’obiettivo di questo articolo è piuttosto richiamare alcune questioni di metodo che chi vuole agire nella scuola si troverà ad affrontare nel prossimo periodo.

Si tratta di problemi sui quali, da ormai quasi un anno, cioè da quando è stato eletto in Consiglio di Stato ed ha assunto la direzione della scuola, torna Manuele Bertoli.

Bertoli ci sta molestando da alcuni mesi con questo ragionamento : vorrei fare molto per la scuola, ci sarebbero bisogno di molte riforme che vorrei proporre; ma non ci sono i soldi e quindi le riforme dovranno giocoforza essere ridotte e limitate. Un ritornello un po’ stucchevole al quale abbiamo avuto diritto persino nel messaggio di auguri di fine anno.
Ma al di là della noia questo ragionamento va analizzato e contrastato da parte di chi vuole seriamente battersi per rivendicazioni che modifichino in modo importante condizioni di apprendimento e insegnamento. Aderire a questa prospettiva (e ce già chi nei vari movimenti, sindacati, associazioni attivi nella scuola sta facendo proprio questo punto di vista) sarebbe la fine di qualsiasi seria politica di “riforma”.
Il primo punto di contestazione deve partire dal contenuto delle proposte, delle rivendicazioni. Non si fanno proposte tanto per farle, sparandole a casaccio o per marcare presenza: se si lancia una rivendicazione essa corrisponde ad una situazione reale, vuole essere una risposta concreta ed adeguata ad un determinato contesto. Prendiamo, ad esempio, la questione del numero di allievi per classe. Chiedere di portare a 20 il numero massimo di allievi per classe non è il risultato di un gioco aritmetico che ha sortito questa cifra. È il risultato di un’analisi condotta sulla formazione delle classi, sulla evoluzione del loro numero, su una certa riflessione tra numero di allievi e qualità di insegnamento ed apprendimento. È partendo da questa considerazione che non possono essere accettate altre soluzioni (come quelle avanzate genericamente nel progetto di linee direttive); soluzioni che mettono al primo posto la loro compatibilità con i rapporto di forza e non la loro effettiva capacità di produrre cambiamenti reali e positivi sulle condizioni di apprendimento ed insegnamento.
E tocchiamo qui un secondo aspetto, quello della limitatezza delle risorse finanziarie. Su questo aspetto notiamo qui una assoluta continuità tra Gendotti e Bertoli. Anche il precedente ministro della scuola aveva a più riprese ammesso la necessità di cambiamenti…se solo vi fossero state le risorse finanziarie necessarie.
Questo modo di ragionare ci sembra inaccettabile. Se si è convinti della necessità di mettere in atto importanti cambiamenti, “riforme” si diceva una volta, allora lo sforzo non può e non deve essere quello di modificare queste proposte solo per renderle compatibili con il quadro finanziario, magari modificandole fino a snaturarle del tutto. La priorità, tenute ferme queste proposte, è battersi per reperire nuovi mezzi finanziari che possono permetterne la realizzazione.
Se questo atteggiamento non viene promosso, il continuo ritornello “vorrei ma non posso” diventa un facile alibi che non può e non deve trovare scusanti.
Se veramente Bertoli crede a quel che dice, se veramente è convinto della necessità di realizzare “riforme” importanti nella scuola e se è veramente convinto che il problema siano, per il momento, le mancanti disponibilità finanziarie, allora la sua priorità dovrà essere non quella di cercare improbabili ed inutili “mezze riforme”, ma una lotta per una nuova politica fiscale dello stato che garantisca i mezzi necessari.
D’altronde che le cose stessero così Bertoli (e come lui tutti gli altri) lo sapevano prima ancora di candidarsi o di essere eletti in Consiglio di Stato. Appare quindi poco serio, una volta arrivati a quella carica, appellarsi alla mancanza di mezzi.
Solo se assumerà questa prospettiva (e, purtroppo, non ci pare sia orientato in questa direzione) il nuovo responsabile della scuola potrà segnare una discontinuità con chi lo ha preceduto. In caso contrario avremo diritto a “mezze riforme” (che potranno rappresentare anche un peggioramento rispetto alla situazione attuale) e una assoluta continuità con la politica liberale degli ultimi anni.