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Continua, come abbiamo già avuto modo di scrivere a più riprese, l’offensiva fiscale in Ticino. Un’offensiva che, in realtà, non si è mai interrotta dall’epoca di Marina Masoni, anche se, complice la crisi generale, si è un poco attenuata.

D’altronde come dimenticare che il primo atto politico di Laura Sadis (2007) fu quello di confermare la decadenza di quel misero aumento dell’1% sull’utile delle persone giuridiche deciso un paio di anni prima.
Lo sviluppo della crisi negli ultimi tre anni ha visto la stragrande maggioranza di Governo e Parlamento abbracciare decisamente l’idea che la leva fiscale sia uno strumento essenziale per sorreggere lo sviluppo economico. Tutto questo sulla base di un presunto (inesistente visto come sono andate le cose) circolo virtuoso: meno imposte, più consumi ed investimenti, più occupazione, e via di nuovo…
Gli ultimi due decenni hanno dimostrato, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto questo meccanismo non abbiamo funzionato. I massici interventi di defiscalizzazione hanno avuto solo due conseguenza fondamentali: da un lato una diminuzione della spesa sociale, dall’altro l’indebitamento sempre più importante degli Stati.
La ripresa dell’offensiva fiscale in Ticino è ripartita sue due direttrici. Da un lato quella dell’amnistia fiscale, dall’altro quella dello sgravio per i redditi più alti. Entrambi gli aspetti sono oggi al centro di trattative politiche intense tra la Lega dei Ticinesi (che ha depositato un’iniziativa su sgravi fiscali per alti redditi e persone giuridiche) e gli altri partiti. E non è escluso che alla fine venga fuori il solito pacchetto che avrà l’accordo di tutti, anche di quelli che oggi sembrano non voler sentire parlare di sgravi fiscali vista la difficile situazione delle finanze cantonali.

 

Preoccuparsi dei benestanti

 

La campagna in atto poggia sostanzialmente sull’idea che una minoranza di contribuenti (che evidentemente pagherebbe troppo anche a causa di un sistema fiscale – quello cantone – che sarebbe estremamente “sociale”) “mantiene” tutto l’apparato pubblico grazie ai suoi contributi fiscali. Dati alla mano si mostra come una piccola parte dei contribuenti versi i due terzi della totalità delle imposte per le persone fisiche e che, inoltre, il fisco non solo grava sul reddito di queste persone, ma comincia ad intaccarne il patrimonio.
A farsi interprete di questo ultimo grido d’allarme è Fabio Pontiggia che in un articolo apparso sulla prima pagina del Corriere del Ticino della scorsa settimana spiega, con un esempio concreto, come la differenza tra interessi positivi ed aggravio fiscale dovuto al pagamento del reddito su questi interessi sia negativo e vada quindi a diminuire il patrimonio di questo contribuente.
Tutto giusto, l’ipotesi, il calcolo, le conclusioni. Il problema sta, ed è il problema di fondo che illustra da quale livello di preoccupazioni muovano personaggi come Pontiggia, nell’esempio portato, in particolare dai livelli di reddito ai quali ci si riferisce.
Sì, perché Pontiggia, per illustrare il caso del suo “povero” contribuente il cui patrimonio viene insediato da un fisco sempre più famelico, ha preso come esempio “una persona sola”, “con un buon reddito (90’000 franchi di imponibile cantonale)” e che “ha messo da parte un più che discreto capitale (500’000 franchi)”.
È questo il tipo di persone delle quali Pontiggia, e non solo lui ovviamente, si stanno preoccupando. Si tratta cioè di circa quel 10% di contribuenti che hanno, per l’appunto,un reddito imponibile superiore ai 90’000 franchi (e che quindi ne guadagnano almeno 130’000) ; e ancora meno del 10% che hanno una fortuna netta (ammettiamo che l’esempio proposto non abbia altra sostanza) superiore ai 500’000 franchi.
In un momento in cui la crisi ha messo in luce ancora di più la logica perversa del capitale, ecco di chi noi dovremmo preoccuparci, secondo Pontiggia e tutti i suoi amici che rilanciano oggi la discussione sugli sgravi fiscali per gli alti redditi: di quel 10% della popolazione che non solo vive bene, ma ha risparmi e redditi importanti che gli permettono di affrontare la crisi.

 

Il Ticino, un cantone per ricchi

 

In realtà il Ticino, lo abbiamo detto e scritto molte volte, è un cantone nel quale i ricchi stanno molto bene. Prova ne sia che è uno dei cantoni nei quali l’afflusso di benestanti e milionari (grazie anche al meccanismo della tassazione sul dispendio) non si è mai fermato. Negli ultimi dieci anni i milionari, cioè coloro che possono contare su una sostanza netta, superiore a diversi milioni sono semplicemente raddoppiati, ponendo il Ticino nel plotone di testa dei cantoni benaccoglienti.
Ma il vero scandalo di questo cantone non è,come ci si vuole far credere, che i ricchi – o i benestanti – pagano troppe imposte; ma lo scandalo assoluto è la nostra ripartizione di redditi e sostanza, una ripartizione più da terzo o quarto mondo che da paese “ricco”.
Il fatto che la stragrande maggioranza della popolazione paghi poche imposte non è per nulla dovuto alla pretesa “socialità” della legge fiscale cantonale: ma al fatto che i redditi conseguiti sono veramente miseri.
Basti ricordare, prendiamo i dati del 2008, che quasi il 60% dei contribuenti dichiarava un reddito imponibile inferiore ai 40’000 franchi; un terzo un reddito imponibile addirittura inferiore ai 20’000 franchi.
Questo significa che per la stragrande maggioranza della popolazione, che lavora come l’esempio portato da Pontiggia – magari anche di più -, una volta dedotti oneri sociali, cassa malati e spese varie resta ben poco per vivere ed ancora meno per tentare ci costruire un risparmio individuale.
Questo è il problema reale con il quale è confrontata la stragrande maggioranza della popolazione del cantone.