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Mentre il neopresidente del PS proclamava che bisogna occuparsi dei salari e dei redditi e mobilitarsi, il segretario cantonale della Società Svizzera degli Impresari Costruttori (SSIC), Vittorino Anastasia, spiegava, in un articolo apparso sul giornale della SSIC, i contenuti dell’accordo contrattuale per il settore principale della costruzione concluso in Ticino con le organizzazioni sindacali.

 

La lotta è finita…andate in pace…del lavoro

 

Mentre sindacalisti vaneggiano (a beneficio delle telecamere) di percorsi di lotta e di mobilitazione nel settore dell’edilizia, scopriamo che si sono già impegnati a…rimanere fermi e zitti sul posto. Scrive Anastasia: “I sindacati, dopo innumerevoli discussioni e tentennamenti, hanno infine “dovuto” accettare di sottoscrivere la promessa  di rispettare, per tutta la durata dell’accordo, la pace del lavoro sul territorio del Canton Tcino”.

Questo significa che qualsiasi mobilitazione per molti mesi in Ticino è bella e che conclusa!

 

Un acconto o un aumento?

 

Non molto meglio le cose vanno per quel che riguarda i salari. In realtà gli adeguamenti dei salari effettivi dell’1% sono considerati, da parte della SSIC, un “acconto” che permetterà poi di tornare alla carica, in sede di contratto nazionale – quando le cose si dovessero  muovere -, per degli adeguamenti al merito: “La questione di poter premiare i dipendenti più meritevoli è di fatto solo rinviata”. In altre parole con questo accordo la battaglia contro accordi salariali al merito è, in Ticino, tutt’altro che scongiurata. Non parliamo a livello nazionale…

Ma quel che deve attirare la nostra attenzione, e non può essere altrimenti in un cantone come il Ticino ferocemente confrontato con il dumping salariale (cioè con salari minimi tendenti a diminuire) è la questione dei salari minimi.

Con questo accordo, infatti, ancora una volta i salari  minimi nel settore principale della costruzione restano al palo.

 

Salari minimi al palo dal 2009

 

È dal 2009 infatti che i salari minimi contrattuali non vengono più adeguati, né al rincaro né in termini reali.

L’edilizia è storicamente uno dei pochi settori dove il contratto collettivo di lavoro prevede dei salari minimi relativamente alti, suddivisi in categorie (senza qualifica, semi qualificati, specializzati, qualificati e capi) e dove gli adeguamenti salariali vengono decisi a livello nazionale sulla base del salario medio nazionale.

Avere in un settore dei salari minimi contrattuali relativamente alti, vale a dire che non si discostano troppo dai salari medi effettivi, è fondamentale per impedire che con l’assunzione di nuova manodopera i salari vengano spinti verso il basso.

Questi meccanismi salariali, hanno permesso nel corso degli anni di ridurre drasticamente il divario salariale tra la manodopera edile del Canton Ticino ed il resto della Svizzera. 

Anche solo per questa ragione decidere, come hanno fatto le direzioni delle organizzazioni sindacali, di abbandonare in fretta e furia la nave nazionale e gettarsi sulla scialuppa offerta dagli impresari costruttori ticinesi appare una decisione miope e basata unicamente su interessi di bottega.

 

Interessi di bottega

 

E cosa sarebbero, ci si potrebbe chiedere, gli interessi di bottega?

È presto detto. Con l’accordo cantonale vengono garantiti i meccanismi legati alla riscossione obbligatoria in busta paga del contributo professionale (l’1%), un contributo che, negli anni, ha di fatto sostituito le quote sindacali. Nella logica con quale esso venne istituito sarebbe dovuto servire a obbligare i lavoratori non iscritti al sindacato a “contribuire” in qualche modo per benefici che derivavano loro dall’azione sindacale (il contratto, i salari minimi, una serie di diritti, il finanziamento della formazione e del perfezionamento professionale, ecc). Ai lavoratori sindacalizzati questo contributo avrebbe dovuto essere rimborsato. Con il passare degli anni (è degli anni ’70 l’introduzione del contributo professionale) questo contributo ha di fatto sostituito la quota sindacale. Oggi sono pochi, una percentuale molto piccola, i lavoratori che pagano direttamente le quote sindacali.

In mancanza di questo contributo professionale viene a mancare un flusso di entrate per il sindacato (e in parte anche per il padronato che vede garantita la sua attività nell’ambito della formazione professionale). I padroni, da decenni, conoscono molto bene questa situazione ed utilizzano questo aspetto come arma permanente di ricatto nei confronti delle organizzazioni sindacali.

 

E gli aspetti positivi?

 

Ma, ci direbbe qualcuno, con l’accordo cantonale si è “sfondato” sul principio della responsabilità solidale. Cioè, nei casi di subappalto, si introdurrebbe una responsabilità, di fronte a mancanze palesi del subappaltatore, della impresa principale appaltante. E allora vediamo come gli impresari, sempre per bocca di Anastasia, vedono questa importante “concessione”: “La SSIC Ticino si è quindi dichiarata disponibile ad affrontare l’eventuale introduzione di una responsabilità solidale a precise condizioni e non, come chiesto dai sindacati, in maniera generalizzata e a cascata sui subappalti dei subappalti…Una speciale commissione…, affiancata da un legale, dovrà definire in quali casi l’appaltante…diventa corresponsabile di violazione del contratto collettivo da parte del subappaltatore”. La musica è chiara e contraddice i toni euforici delle prime dichiarazioni sindacali. “Disponibile ad affrontare”, “eventuale introduzione”, “a precise condizioni”: una prosa che non lascia dubbi su dove si andrà a finire…

Anche qui quindi, poco o nulla; se non un’adesione generica a studiare il problema. Una adesione che verrà sicuramente smorzata dalla evoluzione delle discussioni a livello nazionale se, e quando, riprenderanno.

 

Forti ai poli, deboli al centro

 

Quanto successo in Ticino si è ripetuto in Vallese e sta avvenendo a Ginevra, dove da settimane le trattative continuano a livello locale. Un accordo in questo cantone decreterebbe di fatto la fine di qualsiasi prospettiva di mobilitazione nazionale in vista della ripresa di negoziati su altre basi.

È infatti evidente che senza la capacità di azione che potrebbe essere sviluppata in regioni periferiche come Ticino e Ginevra resta ben poco, soprattutto nei luoghi «decisivi» dal punto di vista della evoluzione del rapporto di forza: Zurigo, Berna, Argovia, San Gallo.

L’impressione è chiara: il «percorso di mobilitazione» dei sindacalisti-podisti è terminato. E ai lavoratori non resterà che accettare quello che proporranno gli impresari, ormai diventati padroni del gioco.