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Il potere politico e i media statunitensi amano presentare i repubblicani (il Grand Old Party  – GOP) e i democratici (il partito di Obama) come acerrimi nemici, costantemente in guerra su tutti i fronti.

 

Quest’immagine conviene ai politici ed offre loro la giustificazione per motivare i loro seguaci, quelli e quelle della “base”. Permette anche ai media di produrre chilometri di informazione scritta e ore di trasmissioni con analisi e speculazioni sulla concorrenza tra i partiti, senza dover render conto delle idee che si sviluppano al di fuori di queste correnti dominanti [due ali di un unico grande partito della classe dominante, con sfumature differenti].

 

Ma, per quanto concerne il sistema politico statunitense,  ciò che viene taciuto è che, anche se esistono differenze tra repubblicani e democratici, sono sommerse dalla grande mole di accordi reciproci su questioni determinati.

 

Il budget 2013: rivelatore!

 

Le proposte di budget dell’amministrazione Obama – rese pubbliche il 13 febbraio 2012 – per l’anno prossimo (2013) ne sono un ulteriore esempio. Al di là delle battaglie retoriche, ci si rende contro che le divergenze tra i due partiti si basano solo su dettagli e che, entrambi, si impegnano per un programma di austerità che privilegia gli interessi della Corporate America e di Wall Street, piuttosto che a favore dei lavoratori e delle lavoratrici.

 

Le analisi ricorrenti dei grandi media sul budget riconoscono almeno che la proposta di Obama era concepita essenzialmente a scopo di propaganda, legata alla sua campagna elettorale. Il suo progetto non aveva possibilità alcuna di essere accettato da un Congresso dominato da repubblicani. È stato tuttavia presentato come un’alternativa “progressista” alle proposte dei repubblicani. Secondo un articolo del britannico Guardian (1), per esempio: “Barack Obama ha chiarito la sua linea di lotta per quanto concerne l’economia per l’elezione presidenziale di quest’anno, proponendo un budget che favorisce spese per stimolare la crescita invece dell’austerità e entra in materia sulla rivendicazione, sempre più popolare, di tassare i ricchi”.

 

Questa interpretazione non corrisponde alla realtà. Sarebbe più giusto dire che Obama ha proposto un budget di austerità, raffrontato con un’austerità ancora più drastica, ed ha scelto di entrare in materia su una tassazione dei ricchi, senza menzionare come abbia ben evitato di farlo durante i primi tre anni del suo mandato.

 

Jeffrey Sachs – ex uomo di spicco del neoliberalismo, ed ora uno dei suoi critici più feroci, professore a Harvard, Columbia ed animatore del Istituto della Terra – ha messo in luce la “battaglia del budget”, paragonando la proposta di Obama a quella del repubblicano Paul Ryan (eletto nel Wisconsin e portavoce dei repubblicani). Un esponente della linea dura repubblicana. Sul Financial Times, J. Sachs ha scritto  (2), il programma di Obama: “taglierebbe tutte le spese primarie (esclusi gli interessi) federali che passerebbero dal 22,6 al 19,3 % del Prodotto interno lordo (PIL) nell’arco di tempo tra il  2011 e il 2020; mentre, quando entreranno in vigore, le entrate passeranno dal livello più basso nel corso della recessione a circa il 15,4% del PIL nel 2011, per raggiungere il 19,7% nel 2020. Paragonate queste cifre a quelle del  budget di un anno fa del rappresentante repubblicano al Congresso Paul Rayan. Il budget di Rayan prevedeva un 17% circa del PIL in spese primarie fino al 2020, con proposta di entrate pari a circa 10% del PIL. La differenza è modesta, ma ciò che conta è che i due budget implicano tagli significativi nei programmi di governo con un impatto sul PIL. Questi tagli saranno particolarmente duri per i programmi discrezionali [spese pubbliche statali in dotazioni annuali o periodiche, piuttosto che su criteri stipulati da leggi delle autorizzazioni] a favore dell’educazione, della protezione dell’ambiente, dell’aiuto alimentare per i bambini, le riconversioni professionali, il passaggio ad energie povere di carbone e delle infrastrutture”.

 

Detto in altri termini,  il dibattito a Washington verte non tanto sul fatto che si debbano operare dei tagli nel budget, ma, metaforicamente, se si debba amputare ad altezza del ginocchio o dell’anca.

Se questa affermazione dovesse sembrarvi esagerata, andate a vedere i dati. La proposta di budget presentata da Obama vuole ottenere una riduzione del deficit di quasi 4’000 miliardi di dollari in 10 anni, due terzi dei quali – quasi 2’500 miliardi di dollari – concernono tagli alle spese. Questo comporterebbe una austerità mai vista, sulla scia dei tagli effettuati, ormai da decenni, nel settore privato e tesi a colpire il livello di vita dei salariati. L’obiettivo di questi tagli nel budget è di ridurre i salari avendo come punto di riferimento quelli pagati in Cina, tanto per indicare quale sia la tendenza.

La proposta di Obama contiene effettivamente alcune proposte di spesa a breve termine a favore del rinnovamento della infrastrutture e della creazione di posti di lavoro. Ma si tratta di proposte che, non vi sono dubbi, hanno principalmente la funzione di essere state formulate  per essere utilizzate nel corso della campagna elettorale dei democratici, dato che nessuno a Washington pensa che esse abbiano una benché minimo chance di essere adottate dal Congresso, peggio di riuscire ad essergli sottoposte.

 

Ma l’amministrazione Obama si dichiara pure in favore del mantenimento delle riduzioni di spesa in tutti i settori, tranne la Sicurezza sociale, Medicare e la Difesa. Stando alle analisi del Economic Policy Institute (3), queste misure spingerebbe verso una diminuzione di tuttet le spese considerate non essenziali e non legate alla Difesa. Rappresenterebbero, in termini di impatto sull’economia (cioè di effetto moltiplicatore), il livello più basso mai raggiunto  dai tempi della presidenza Eisenhower, rappresentante del partito repubblicano e presidente dal 1953 al 1961.

Per quel che riguarda la Difesa, il pingue budget del Pentagono che rappresenta – unitamente ai regali fiscali concessi ai ricchi – il principale responsabile del sempre crescente deficit federale, continuerà rimanere importante. Infatti, l’amministrazione Obama propone che per il prossimo anno il Dipartimento della Difesa diminuisca le sue spese di meno dell’1% (4).

 

Il «Buffet Rule»: i proclami e la realtà

 

Per quel che riguarda le proposte di Obama tese a tassare i ricchi, il principale messaggio a livello di relazioni pubbliche lanciato dall’amministrazione è stato il suo sostegno a quello che viene chiamata la “Legge Buffet” (allusione alle proposte del super-miliardario Warren Buffet NdT). In effetti questa proposta prevede che i milionari dal punto di vista del reddito (e non della sostanza) paghino un’imposta calcolata con un tasso simile a quello applicato alle famiglie con reddito medio. Il nome proviene dal multimilionario Warren Buffet, celebre per aver fatto notare che egli pagava imposte sulla base di un’aliquota più bassa di quella applicata al reddito della sua segretaria. La “Buffet Rule” promossa dall’amministrazione Obama vorrebbe obbligare i multimilionari a pagare il 30% di imposte.

Ma, come afferma il New York Times (5) se si cercasse un vero “Buffet Rule” “nella miriade di modificazioni fiscali descritte nella proposta di budget 2013…non la si troverebbe”.

Il lancio della proposta di budget e la raffica di discorsi di Obama durante i quali annunciava che la sua proposta prevedeva che i ricchi pagassero la loro parte, sono stati seguiti da una dichiarazione “chiarificatrice” da parte della Casa Bianca: il “Buffet Rule” non costituirebbe di fatto che una direttiva e non una proposta tesa a modifica la legge generale sulle imposte.

Secondo diversi funzionari dell’amministrazione, ogni tentativo di applicare il “Buffet Rule” costituirebbe una riforma complessiva della legge fiscale e come tale implicherebbe altre “riforme” fiscali concepite in modo tale da ottenere l’accordo delle imprese. In queste settimane, ad esempio, l’amministrazione ha proposto di ridurre al 28% il tasso di imposizione delle società (6) e questo malgrado il fatto che l’onere fiscale complessivo sopportato dalle imprese sia ai livelli storicamente più bassi.

 

Per quel che riguarda il contenuto reale del budget, il principale elemento delle proposte di Obama in ambito fiscale consiste nella soppressione delle riduzioni fiscali per i super-ricchi, introdotti all’epoca Bush. Questo porterebbe il tasso marginale di imposizione pagati dalle economie domestiche con i redditi più alti dall’attuale 35% al 39,6%, cioè il tasso in vigore negli anni della presidenza Clinton (1993-2001), epoca nella quale, sia detto per inciso, l’economia americana ha conosciuto il più lungo periodo di espansione della sua storia.

Se queste cifre possono sembrare famigliari, probabilmente è perché i democratici ne hanno spesso parlato nel corso delle ultime campagne elettorali. Nel 2008, Barack Obama aveva promesso solennemente che non avrebbe più prolungato le diminuzione di imposta delle quali beneficiavano le economie domestiche più ricche quando sarebbero arrivate a scadenza nel 2010.

Ma dopo essere entrato alla Casa Bianca – dopo che i democratici avevano ottenuto la maggioranza più importante di questa generazione nelle due Camere del Congresso (Camera dei rappresentanti e Senato), Obama non ha fatto alcunché durante la maggior parte dei due primi anni del suo mandato. Mentre, alla fine del 2010,  si avvicinava la scadenza per mettere in atto le promesse di riduzione delle imposte, i Democratici avrebbero potuto far pressione per un voto al Congresso, prima delle elezioni di novembre [rinnovo della Camera dei rappresentanti e di un terzo del Senato, 36 seggi su 100] ed avrebbero potuto rendere pubblico il voto dei repubblicani a favore delle riduzioni di imposte per i ricchi.

Ma i rappresentanti democratici si sono arresi. La questione è stata decisa durante una    riunione “lame duck”, una riunione dove i democratici uscenti erano già perdenti e i repubblicani vincitori sicuri. Nel novembre e dicembre 2011, l’amministrazione Obama ha gettato la spugna ed accettato di prolungare le riduzioni fiscali per tutti, super ricchi compresi. (7)

 

Bisognerà ricordarsene la prossima volta che sentiremo parlare della volontà di Obama di tassare i ricchi. Se l’avesse fatto veramente, avrebbe avuto il sostegno della maggior parte dell’opinione pubblica e rispettato  la scadenza del 2010 per gli sgravi fiscali dei ricchi. Al contrario: ha scelto i “compromessi” ed accordato ai rappresentanti repubblicani proprio quello che domandavano.

 

Quando Jeffrey Sachs rimpiange che non ci sia un terzo partito per la maggioranza!

 

Il budget di Obama è un prodotto del sistema di Washington – del sistema politico in vigore nella capitale federale – dove la politica di austerità viene portata avanti, col pugno di ferro, dai dirigenti dei due partiti principali.

Il“liberal” Obama sta proponendo misure per ridurre le spese – anche per i programmi di cui si vanta come la Sicurezza sociale – tagli che i maniaci repubblicani delle riduzioni budgetarie come Ronald Regan e Bush Senior e Junior hanno solo sognato.

 

Siamo lontani dei tempi in cui Obama ha occupato il suo posto presidenziale, tre anni fa, solo pochi mesi dopo lo scossone del sistema finanziario mondiale con il quasi fallimento di Wall Street, e quando la recessione iniziava a colpire. In quel momento una grande parte dei vertici imprenditoriali e politici erano compatti sulla necessità del governo di spendere di più per frenare la Grande Repressione prima che si tramutasse in Grande Depressione, come nel 1930.

 

Durante i primi anni della sua presidenza, Obama ha fatto adottare un piano di 787 miliardi di dollari [soprattutto a favore di istituti finanziari], quasi equivalente alla somma di tutti i programmi del New Deal negli anni ’30. Come rimedio, questo piano è però indebolito, in termini di entrate, dalla riduzione delle imposte a carico delle imprese. I repubblicani si sono opposti a questa legislazione, ma non hanno cercato di bloccarla, come avevano fatto prima di allora per tutte le iniziative di Obama. Anche mentre lanciava questo piano per stimolare l’economia, Obama e i suoi consiglieri economici formati a Wall Street hanno fatto capire chiaramente che l’amministrazione avrebbe accordato grande priorità al risanamento dei deficit, con una riduzione massiccia delle spese statali.

 

Dopo il fallimento di questo sistema economico per creare posti di lavoro, invece di cercare altre misure di rilancio Obama ha imposto un blocco dei salari per i lavoratori federali non militari (8). Ha formato una task-force la cui missione è di effettuare tagli profondi nella Sicurezza sociale (9). Durante il dibattito dell’estate 2011 sull’aumento del tetto del debito, [passato da 14’300 miliardi di dollari a 16’400) Obama si è battuto con i Repubblicani per sapere chi avrebbe proposto le riduzioni del budget più profonde (10), giurando persino di imporre riduzioni delle allocazioni di Sicurezza sociale se il GOP [Grand Old Party – Partito repubblicano]  avrebbe accettato aumenti fiscali modesti per i ricchi [le riduzioni previste dall’amministrazione Obama erano di 2’500 miliardi di dollari, in due tappe].

 

La stessa dinamica politica si è ripetuta su altri temi, uno dopo l’altro. Obama e i democratici presentano proposte di compromesso destinate ad “incontrare i Repubblicani a metà strada”. I repubblicani rifiutano di prenderle in considerazione e avanzano rivendicazioni ancora più estreme. I democratici fanno ulteriori compromessi e fanno marcia indietro rispetto alle loro proposte. E così di seguito fino a quando l’ultimo compromesso corrisponde a quello che i repubblicani avevano chiesto sin dall’inizio.

 

Perché succede tutto questo? È dovuto solo all’indolenza di Obama e dei Democratici? Forse sono troppo condiscendenti, ma la ragione più importante è il ruolo che giocano i democratici nel sistema bipolare statunitense. A parte alcuni commenti occasionali su Wall Street, durante la campagna elettorale, sono i repubblicani i fieri portavoce degli interessi del grande business. Ma il ruolo dei democratici è di farsi passare per i rappresentanti dei lavoratori, contro il potere delle corporazioni, ma, quando accedono al potere, difendono gli stessi interessi dei repubblicani.

 

Gli interminabili compromessi dei democratici dipendono dal fatto che, in periodo elettorale, sciorinano buoni propositi per guadagnare voti. E non li realizzano quando sono al potere.

 

Come ha scritto Jeffrey Sachs, analizzando il budget di Obama, questa situazione fa sì che i lavoratori non abbiano alcun partito  che difenda i loro interessi a Washington: “E quindi, anche se i democratici applaudono Obama e i repubblicani condannano a grandi linee le sue proposte di tassare i ricchi, di fatto il budget indica situazioni sempre più difficili  per i poveri e per la classe lavoratrice degli Stati Uniti. La metà più povera della popolazione non è motivo di interesse per lo status quo in  vigore a Washington. Probabilmente bisognerebbe che un terzo partito politico occupi il vasto territorio abbandonato di un vero centro e della sinistra per rompere il dominio dei grossi capitali sulla politica e la società statunitensi.“

 

E’ poco probabile che un terzo partito, capace di lanciare la sfida, si sviluppi a sinistra nei prossimi otto mesi, prima di novembre e delle elezioni presidenziali. Esiste però un’altra forza che l’anno scorso ha catturato l’attenzione e l’immaginazione di milioni di persone, dopo la rivolta nel Wisconsin l’inverno scorso fino alla crescita del movimento Occupy in autunno.

 

Le lotte, grandi e piccole, di questo movimento sui posti di lavoro, nei quartieri o nelle università possono fornire un inizio alternativo alle politiche di austerità e di conservatorismo sociale che dominano a Washington.

Chiunque voglia la crescita e lo sviluppo di questa alternativa deve dedicare le sue energie per stimolare queste lotte durante tutto quest’anno, invece di sostenere Barack Obama e i democratici per le elezioni del 2012.           

 

* articolo apparso sul sito www.socialistworker.org. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.

 

 

1. http://www.guardian.co.uk/world/2012/feb/13/obama-budget-election-year-showdown

2. http://www.ft.com/cms/s/43fc9e5c-563b-11e1-8dfa-00144feabdc0,Authorised=false.html?_i_location=http%3A%2F%2Fwww.ft.com%2Fcms%2Fs%2F0%2F43fc9e5c-563b-11e1-8dfa-00144feabdc0.html&_i_referer=http%3A%2F%2Fsocialistworker.org%2F2012%2F02%2F23%2Fdebating-how-much-to-cut#axzz1n7tvtpxf

3. http://www.epi.org/publication/obama-budget-highlights-job-creation-tax-fairness/

4. http://www.guardian.co.uk/world/2012/feb/13/obama-budget-cuts-pentagon-spending

5. http://www.nytimes.com/2012/02/17/us/politics/white-house-sees-buffett-tax-rule-more-as-a-guide.html?_r=1

6. http://www.washingtonpost.com/business/economy/obama-to-propose-lowering-corporate-tax-rate-to-28-percent/2012/02/22/gIQA1sjdSR_story.html

7. http://socialistworker.org/2010/12/08/another-government-handout

8. http://socialistworker.org/2010/12/03/obama-puts-freeze-on-workers

9. http://socialistworker.org/2010/09/13/plot-to-steal-our-future

10. http://socialistworker.org/2011/07/27/party-which-people