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Pubblichiamo un testo di Gilbert Achar discusso il 12 e 13 gennaio scorso nell’ambito di un laboratorio intitolato “Tradurre le rivoluzioni” organizzato dalla Casa delle culture del mondo (Haus der kulturen der Welt) a Berlino (Red.)

 

 

1. Il sollevamento gigantesco che scuote l’insieme del mondo arabo, dalla prima scossa del 17 dicembre 2010 in Tunisia, è la conseguenza di un’accumulazione lunga e profonda di fattori esplosivi: l’assenza di crescita economica, la disoccupazione di massa (il più alto tasso medio di tutte le regioni del mondo), la corruzione endemica generalizzata, enormi disuguaglianze sociali, governi dispotici senza alcuna legittimità democratica, cittadini trattati come soggetti servili, ecc. La massa delle persone che sono entrate in azione nella regione araba è un composto che contiene un largo ventaglio di strati e categorie sociali colpite in gradi diversi da questo o quell’elemento di questo insieme complesso di fattori determinanti. La maggior parte condivide tuttavia una comune aspirazione alla democrazia, ciò vuol dire alle libertà politiche, a elezioni libere ed eque, a una costituzione elaborata democraticamente. Questi sono denominatori comuni che uniscono le masse implicate nei sollevamenti, in tutti i paesi arabi dove queste hanno potuto acquisire una certa ampiezza. (Il fatto che il paese in cui queste stesse condizioni esistono al più alto grado, il regno saudita, non abbia ancora conosciuto sollevamenti di massa, testimonia la dominazione e l’oppressione che vi regnano.)

 

2. Diverse delle impressionanti caratteristiche del sollevamento in corso sono direttamente legate alla rivoluzione mondiale dell’informazione. La velocità con la quale i sollevamenti si sono estesi all’insieme dei paesi della regione è stata, a giusto titolo, attribuita prima di tutto alla televisione satellitare: questo nuovo fattore ha amplificato considerevolmente l’effetto dell’unità linguistica della regione, ravvivando così il vecchio concetto di “rivoluzione araba” e dandogli maggior sostanza. Trascendendo le frontiere degli Stati e ignorando la loro censura, questa nuova tecnologia ha permesso alle popolazioni di lingua araba di tutta la regione di seguire lo sviluppo degli avvenimenti in tempo reale, prima in Tunisia, poi, su più vasta scala e con un impatto da togliere il fiato, in Egitto e, infine, in tutta la regione. La forza dell’esempio tunisino è stato amplificato da questa possibilità nuova data a milioni di persone di guardare il sollevamento nel momento stesso in cui si svolgeva. Le popolazioni dell’insieme della regione hanno così preso parte “virtualmente” al sollevamento egiziano: erano tutte in piazza Tahrir al Cairo attraverso le telecamere e i giornalisti delle catene televisive via satellite, condividendo le gioie e angosce della gigantesca massa di persone assembrate nell’epicentro della rivoluzione egiziana. Nel caso in cui la repressione impedisca alle telecamere di essere presenti, come in Siria, sono state sostituite da innumerevoli militanti che usano gli obiettivi dei loro telefonini cellulari e YouTube per inviare immagini di lotta e di repressione nella sfera virtuale mondiale, da cui sono riprese dalle televisioni satellitari per un vasto pubblico.

 

3. La televisione satellitare e la telecomunicazione mondiale attraverso Internet hanno permesso ai popoli della regione araba di accedere in modo molto più importante e di essere molto più esposti al melting-pot della cultura mondiale, alle sue realtà come alle sue finzioni. Per tutta una nuova generazione – la prima a essere cresciuta in questa epoca di rivoluzione dell’informazione – quest’esperienza è stata estremamente rivelatrice. L’enorme scarto tra, da una parte, le aspirazioni e i desideri creati da questa cittadinanza virtuale nella finzione diventata realtà del “villaggio mondiale” e, d’altra parte, la subordinazione reale, amara e rivoltante, a società senza avvenire, ingessate da tratti culturali medievali, è stato un fattore determinante di enorme potenza per spingere all’azione tutta una parte dei giovani appartenenti a un largo ventaglio sociale, che va dai poveri ma istruiti, a giovani della classe media superiore. Una volta di più nella storia mondiale, i giovani istruiti (studenti o ex studenti) si mettono al primo piano della contestazione sociale e politica. Questa nuova generazione fa un uso intensivo di delle nuove tecnologie di comunicazione, in particolare delle “reti sociali”. Facebook, in particolare, ha permesso di tessere reti con una facilità e una velocità che non sarebbero mai state immaginabili un decennio fa.

4. Un impressionante paradosso caratterizza la “primavera araba”: mentre è stata largamente determinata dalla rivoluzione culturale sopra descritta, ha ugualmente permesso di sollevare le cappe di piombo che bloccavano l’espressione e l’azione di forze integraliste religiose – forze che sono state le correnti organizzate largamente dominanti dell’opposizione e i principali vettori dell’espressione della protesta nella regione durante gli ultimi tre decenni. Da qui il risultato paradossale di un gigantesco movimento d’emancipazione che spiana la strada alle vittorie elettorali di forze repressive sul piano sociale e culturale – se non politico (l’esperienza ce lo dirà presto). Questo paradosso non è altro che la conseguenza naturale del fatto che la cappa di piombo imposta dai regimi arabi dispotici e corrotti ha creato un ambiente particolarmente propizio alla crescita di questa forma d’opposizione e di ripiego culturale. La religione e le forze religiose sono state largamente usate dalla maggior parte dei regimi della regione per reprimere i resti della vecchia sinistra nazionalista e comunista e per impedire l’emergere di nuove forze di sinistra nel periodo che ha seguito la sconfitta araba del 1967. In un’epoca in cui le forze politiche progressiste avevano progressivamente perso tutte le loro fonti di finanziamento statali, le forze religiose integraliste sono state finanziate e sostenute nell’insieme della regione da Stati petroliferi locali molto ricchi, che hanno rivaleggiato per versare loro sussidi: il Regno saudita, la Repubblica islamica d’Iran e l’Emirato del Qatar.

 

5. Per cambiare questo stato di cose paradossale, il mondo arabo dovrà passare attraverso una nuova esperienza storica, nel corso della quale si devono svolgere due processi simultanei. Da una parte, le popolazioni regionali dovranno dare alle forze religiose una possibilità di esercitare il potere e costatare così i loro evidenti limiti, in particolare il fatto che non hanno alcuna risposta programmatica ai profondi problemi sociali ed economici che costituiscono il sostrato del sollevamento arabo. Dall’altra parte, le nuove forze d’emancipazione sociale, politica e culturale che sono potentemente sorte nel corso dei sollevamenti, dopo averne preso l’iniziativa e la direzione, avranno bisogno di costruire delle reti di organizzazione della lotta politica capaci di costituire un’alternativa credibile all’attuale contraccolpo religioso. Per questo, dovranno avere l’audacia di lottare contro l’oscurantismo culturale delle forze religiose integraliste, invece di gestirlo credendo ingenuamente che potranno così guadagnare l’elettorato delle forze in questione.

 

* Gilbert Achcar, originario del Libano, è attualmente professore alla School of Oriental and African Studies, (SOAS) dell’Università di Londra. Tra le sue opere: «Scontro tra barbarie. Terrorismi e disordine mondiale», tradotto in 13 lingue; «La polveriera del Medio Oriente», in collaborazione con Noam Chomsky; e, più recentemente, «Gli arabi e la Shoah: la guerra arabo-israeliana dei racconti».

Il testo francese è apparso sul rivista Imprecor. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.