La decisione della Mark Serono di Ginevra riconferma la logica che anima il capitalismo ormai da secoli. Una logica assai semplice da illustrare: la necessità del massimo profitto quale fonte della valorizzazione del capitale e la preminenza di questo interesse su qualsiasi altra considerazione di ordine economico, sociale, umano.
È questa la constatazione che, speriamo, animerà i cortei del primo maggio e accompagnerà la riflessione in tutti coloro che cercano, onestamente, la strada per opporsi al dominio del capitale.
Naturalmente si tratta di un cammino difficile, lungo e che necessita di pazienza. E che non ammette scorciatoie, né sul piano politico, né, ancora meno, su quello sindacale. In Europa, come ormai avviene ciclicamente, le scorciatoie si presentano sotto forma di progetti elettorali. E gli ingredienti sono sempre gli stessi.
La Francia di queste settimane ce ne ha fornito, ce ne sta fornendo e ce ne fornirà, una ulteriore illustrazione. Lo schema è ormai consolidato. Si parte da un governo fortemente impopolare che, per un periodo più o meno lungo, ha governato sostenendo in modo aperto e sfacciato gli interessi del capitale, dei possidenti, dei privilegiati, distinguendosi per volgarità e corruzione. È il caso di Sarkozy in Francia, così come di Berlusconi o del governo Cameron in Gran Bretagna.
Con questi governi è cresciuta la disoccupazione, la miseria, la disperazione sociale. I salariati cercano risposte a questo stato di cose. Comprendono che battersi sui luoghi di lavoro è decisivo e necessario, ma non sufficiente. Ci vuole una risposta politica: e pensano, nella loro grande maggioranza, che la risposta possa venire solo sul piano elettorale.
Ed è qui che i diversi schieramenti captano la protesta dei salariati (che, val la pena ricordarlo, rappresentano nelle nostre società il 70-80% di tutta la popolazione attiva), indipendentemente che essa si esprima nel voto «a sinistra» o «a destra» (come in parte è il caso, sociologicamente, per il Front National in Francia).
Per quel che riguarda la sinistra social-liberale il suo obiettivo è ormai dichiarato da tempo. Non è quello di cambiare radicalmente questo sistema (sono affermazioni buone per la scena di un congresso o per i discorsi del primo maggio), ma di renderlo socialmente più sopportabile. E diffonde l’idea che con una serie di riforme da attuare una volta tornati al governo questa dimensione sociale trionferà, apportando risposte concrete alla profonda crisi sociale che viviamo.
Vicende come la Mark Serono, ma ve ne sono altre assai simili in molti paesi europei, a cominciare dall’Italia come possiamo constatare seguendo la cronoca giornaliera, mostrano quanto questa prospettiva social-liberale sia di corto respiro.
Perché oggi non vi è più nessuno spazio (non era molto nemmeno in passato, pur trovandoci in una fase diversa dello sviluppo capitalistico) per una «politica di riforme», una politica che, per l’appunto, possa permettere di dare risposte socialmente adeguate ai mali provocati dalla logica del capitale.
Appare sempre più evidente che la soluzione di una serie di questioni decisive per i salariati (lavoro, casa, formazione, salute – veri e propri bisogni sociali fondamentali e, come tali, dei diritti) possono essere avviati a soluzione solo mettendo in discussione il potere assoluto della proprietà: delle imprese, delle banche, della grande distribuzione.
Solo rimettendo in discussione il diritto del capitale di produrre come, cosa e dove vuole (per usare la famosa espressione del patron di ABB) si potrà iniziare a costruire una società radicalmente diversa.
Nei programma elettorali delle forze social-liberali che nei prossimi anni torneranno al potere in diversi paesi vi è traccia di questa volontà; al massimo vi è l’intenzione di attenuare gli eccessi (sono sempre quelli della finanza, come se gli industriali – andate a dirlo a Marchionne – non fossero «eccessivi).
Non saranno quindi questi governi (nemmeno alleandosi con forze programmaticamente più «radicali» che rischiano solo di farsi fagocitare dall’esperienza di governo – è già capitato a una forza apparentemente solida come Rifondazione Comunista) a dare risposte adeguate. Certo, bisogna votare in modo da spazzare via governi come quello di Sarkozy. Coscienti, tuttavia, che all’orizzonte si prospettano nuove delusioni e un ritorno della destra dura al potere.