La vittoria del Movimento 5 Stelle parla anche alla sinistra prigioniera delle logiche, sconfitte, del passato. Una coalizione alternativa al Pd e legata ai movimenti è la strada per non rimanere a guardare.
Sarà Grillo il futuro della politica italiana? E della sinistra? Difficile dirlo. Nonostante il vento in poppa la sensazione che il movimento sia estemporaneo e congiunturale è forte. Non si riescono a cogliere gli elementi culturali di fondo, l’ideologia, di un proto-partito che partito certamente non lo diventerà mai e che oggi raccoglie un’ondata le cui dimensioni appaiono inaspettate ma la cui venuta non era difficile prevedere. Nella nostra insistenza sulla necessità per la sinistra radicale di fare due cose – rendersi definitivamente autonoma dal Pd e costruire una novità politica, legata al bisogno di partecipazione democratica – abbiamo sempre cercato di sostenere questa tesi. Non abbiamo avuto la forza per affermare questa ipotesi e il grosso della sinistra radicale, non solo Vendola, non ha fatto nessuna delle due cose.
Al di là dell’analisi dei flussi, che non è esaustiva nell’individuare la natura politica di un determinato soggetto, il Movimento 5 Stelle parla fortemente a sinistra. Perché agita temi radicalmente ecologisti, perché fa della questione democratica, del controllo e della trasparenza un punto dirimente, perché contesta gli apparati esistenti, alcuni poteri costituiti, perché lo stesso Grillo trova naturale descrivere la propria vittoria con la “democrazia che batte il capitalismo”. Soprattutto perché si pone come rappresentanza di una contestazione, interclassista ma reale, degli equilibri esistenti, della politica tradizionale come strumento di gestione della crisi e di governo delle sue contraddizioni. Quello che dovrebbe, o avrebbe dovuto, fare una sinistra adeguata. Consegnare questo movimento a una dinamica di destra, solo perché a Parma ha raccolto ampi consensi in quello schieramento, sarebbe dunque un errore. Così come sarebbe sbagliato non coglierne la natura a-classista, al di là di rivendicazioni corrette rispetto ai potentati economici. La critica al capitalismo sembra essere piuttosto quella di un radicalismo democratico, importante, ma che non esaurisce lo spazio e l’azione di una sinistra di classe. I fatti diranno di più su questa ipotesi. A Parma si vedrà sul campo quali scelte di fondo quel movimento sarà in grado di portare avanti. Ma l’ambivalenza fin qui descritta accompagnerà la parabola, per ora crescente, di un soggetto politico tra i più anomali della storia italiana e, quindi, tra i più imprevedibili. E che condizionerà non poco le prossime elezioni politiche nazionali. Dunque, un soggetto con cui fare i conti.
Che fa la sinistra rispetto a questo dato? Sel rilancia l’ipotesi di coalizione a tre, con Pd e Idv, anche se costruita con un rapporto privilegiato con sindacati e associazionismo, in una prospettiva classica che poco sembra recepire della novità. Più a sinistra, la Federazione della sinistra, dopo aver ribadito la propria identità tradizionale, auspica un centrosinistra “che guardi a sinistra” nell’ipotesi, mai lasciata cadere, di un’alleanza elettorale. Verrebbe da dire, auguri. Non sappiamo se ci sarà il tempo, e le forze, per costruire l’unica prospettiva che potrebbe inserirsi davvero in questo scenario: una coalizione anticapitalista, non partitica, non rigidamente strutturata o immaginata in funzione di proto-partiti, non costruita su un’identità del passato ma un’alleanza in cui la movimentazione sociale sia protagonista. E’ chiaro che i movimenti, in quanto tali, non possono divenire immediatamente coalizioni politiche e, tanto meno, elettorali. Ma costruire un confronto, dare vita a un programma comune, ragionare sugli strumenti – non per forza quello elettorale – è l’unica possibilità per far giocare un ruolo a istanze che altrimenti sono consegnati a dinamiche politiche incontrollabili. La Tav, le occupazioni culturali, i movimenti per il reddito, per lo studio, il salario, contro l’articolo 18, il nuovo femminismo, i movimenti per l’acqua, l’alleanza dei beni comuni. Tutto questo potrebbe avere un ruolo in questo difficile passaggio italiano se si spezzassero alcuni solidi recinti e si provasse a fare un ragionamento comune. Ci ha provato la neonata Alba a fare questo discorso ma si è subita rinchiusa in un progetto autocentrato. Sarebbe interessante se riaprisse la partita. Altri soggetti, più grandi, non sembrano voler parlare questa lingua ma forse sono ancora in grado di mutare atteggiamento. Andrebbe verificato. Il caso Syriza in Grecia, per quanto non imitabile costituisce però un esempio interessante sul piano del metodo: alternatività al social-liberismo e proposta radicale come la moratoria sul debito.
Non è certamente il caso di ricorrere a dei modelli. Ma fin che si è in tempo occorre evitare il rischio di fare da spettatori nella prossima fase o, peggio, di attestarsi su logiche neo-identitarie. E’ difficile smuovere le acque e si rischia di fare la parte dei grilli parlanti. In ogni caso, la politica italiana è entrata in una nuova fase e occorre attrezzarsi.
* tratto da www.ilmegafonoquotidiano.it