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Pubblichiamo qui di seguito l’editoriale della rete Ateneinrivolta in merito alle proposte del governo Monti nel campo dell’educazione superiore. Queste proposte si inseriscono nel solco della cosidetta “Riforma Gelmini” che nell’autunno del 2008 scatenò importanti mobilitazioni studentesche in tutta Italia, dando vita al “movimento dell’onda studentesca” (Red.)

 
Eccole. Le aspettavamo con ansia certi che prima o poi sarebbero arrivate. Le linee guida del governo dei tecnici per la gestione sempre più tecnica dell’Università. Linee guida di una riforma tutta basata sul fumoso concetto di “meritocrazia”, del tutto ideologica, che di fatto non inverte minimamente la tendenza tracciata con l’avviarsi del Processo di Bologna e con le riforme Berlinguer, Moratti e Gelmini.

Una riforma che non incide minimamente sui grandi problemi e sulle carenze dell’Università controriformata del 3+2, ma che anzi, se possibile, rappresenta solo un ennesimo passo di questo processo complessivo di dequalificazione dei saperi ed asservimento del sistema formativo agli interessi economici. Una riforma in pieno stile “montiano”, giustificata dal sempreverde “ce lo chiede l’Europa” (..e i mercati, diremmo noi) con cui si giustificano abbattimento della democrazia, tagli ai diritti ed ai salari, distruzione del welfare, precarietà diffusa e pagamento di debiti pubblici enormi ed illegittimi. Una riforma “montiana” anche in senso ideologico, con la solita riproposizione della distinzione tra buoni e cattivi, produttivi e fannulloni, “studenti realizzati e studenti sfigati” (per usare una definizione del sottosegretario Martone).

Ci chiediamo come sia possibile parlare di meritocrazia in questo momento di crisi globale, in cui si approfondiscono le differenze tra le diverse classi sociali, con una disoccupazione giovanile al 35%, con un mondo del lavoro sempre più precario.

 

Come è possibile parlare di meritocrazia in un’Università in cui si immatricolano solo il 29% dei diciannovenni, in cui la disoccupazione tra i laureati è aumentata di 2,3 punti percentuali nell’ultimo anno e in cui i salari dei laureati occupati sono diminuiti fino al 6% (salario medio dei neolaureati che a 3 anni dalla laurea è ben al di sotto del salario medio nazionale)? In un’Università che ha subito un taglio del 90% alle borse di studio dalla riforma Gelmini ed in cui la disponibilità di studentati copre solo il 2% delle richieste? In un’Università che tra i 27 paesi dell’UE è penultima nei finanziamenti pubblici, superiori solo a quelli della Bulgaria?

Riteniamo sia impossibile parlare di “merito” in assenza di eguali condizioni di partenza per tutti, in assenza di un diritto allo studio garantito e di sostegni allo studio per studenti/esse. Infatti il merito, nell’epoca del neoliberismo e della sua crisi, si configura sempre più in antitesi con i diritti. In un sistema che vede la crescita economica (e quindi la crescita dei profitti) come unico termine di paragone, il concetto di merito diviene sinonimo di obbedienza e dovere, perché presuppone una legittimazione discrezionale da parte di qualcuno che occupa una posizione gerarchica superiore, o esercita un potere politico. Il merito diviene ragione fondante e strumento delle disuguaglianze sociali; merito inteso come una lotta impari (in quanto evidentemente influenzata dalle condizioni di partenza derivanti dalla propria estrazione sociale e quindi dalle possibilità che ne derivano) per accedere ad una ristretta casta dirigente e non rimanere impelagati nella palude della precarietà.

La riforma istituisce la figura dello “studente dell’anno” nelle scuole superiori e del “laureato dell’anno” nell’Università. Questi avranno diritto a particolari privilegi, in particolare una riduzione delle tasse universitarie, borse di studio aggiuntive e scuole di eccellenza estive gratuite per lo “studente dell’anno” e l’inserimento in una “lista di eccellenza” disponibile su internet per i migliori laureati, a cui potranno accedere le aziende che avranno forti sgravi fiscali se assumeranno gli studenti presenti in questa lista.
L’obiettivo politico di questa manovra è evidente: creare una ristretta casta di studenti eccellenti immediatamente a disposizione delle aziende come futuri manager e dirigenti, ben distinti dalla grande massa di studenti destinati invece a ben più umili collocazioni, come precari, o a rimanere disoccupati. Distinzione fortemente classista in quanto, come detto, è evidente che in assenza di pari condizioni di partenza, coloro che hanno un’estrazione sociale agiata saranno avvantaggiati nel rientrare in questa “hall of fame”, non essendo costretti a destreggiarsi tra Università, tasse insostenibili, lavori in nero e costi della vita altissimi.

Inoltre la riforma introduce un “test diagnostico” al momento della richiesta di iscrizione ad un corso di studi, al fine di dare indicazioni allo studente circa la sua predisposizione per quell’area di studio. Test diagnostico che non si capisce in cosa si differenzi dagli attuali test di ingresso presenti in moltissime facoltà e che rappresenta solo un’ennesima negazione del diritto allo studio, in quanto si propone di discriminare in partenza gli/le studenti/esse in base alle conoscenze pregresse, approfondendo la differenza di prospettive e possibilità tra chi ha frequentato licei o istituti efficienti e chi, invece, ha frequentato istituti tecnici o professionali, e riproponendo quindi una netta distinzione a partire dall’estrazione sociale degli studenti e delle studentesse. Il tutto reso ancora più netto dalla cronica assenza di corsi di recupero in un’Università vessata da decenni di tagli.

La riforma si propone di essere a costo zero per le casse dello Stato. Ma allora viene da chiedersi da dove verranno stanziati i fondi per la sua attuazione, per la creazione delle borse di studio per l’eccellenza, per la creazione di fantomatiche “commissioni” col compito di analizzare l’operato dei docenti. Magari verranno presi dai già ridottissimi fondi per il diritto allo studio per tutti gli studenti?

A questo ennesimo attacco al diritto allo studio in nome degli interessi delle aziende e di chi questa crisi l’ha creata noi ci opponiamo nettamente. Rifiutiamo la retorica del merito con la quale si vogliono imporre ennesimi sacrifici e negazione di diritti a studenti già in enorme difficoltà e senza alcuna prospettiva. Rivendichiamo un’altra Università, un’Università di massa, libera, aperta a tutti indipendentemente dall’estrazione sociale o dagli studi pregressi. Rispediamo al mittente questa ennesima truce denigrazione di coloro che non riescono a raggiungere la presunta eccellenza nell’Università fabbrica di precarietà, nella crisi che colpisce sempre più i/le giovani.

Siamo tutt* meritevoli!

 

* AteneinRivolta – Coordinamento Nazionale dei Collettivi. Il presente articolo è stato pubblicato sul sito www.ateneinrivolta.org