La sceneggiata attorno al ristorno all’Italia delle imposte versate dai frontalieri in Svizzera comincia ad avviarsi verso il suo epilogo; e mostra in modo chiaro quale sia l’obiettivo di fondo che Bignasca e soci hanno da sempre perseguito: la difesa del segreto bancario nei suoi aspetti fondamentali.
Un segreto, naturalmente, “corretto” ed adattato a seguito dell’offensiva degli altri paesi e delle altre piazze finanziarie, ma che fondamentalmente vuole difenderne alcuni capisaldi, a cominciare da quello, decisivo, di evitare lo scambio automatico di informazioni in materia fiscale.
Tutti assieme appassionatamente
Claudio Generali e Giuliano Bignasca, Manuele Bertoli e Laura Sadis, tutti insieme appassionatamente a difendere la piazza finanziaria nella sua peggiore variante: quella di luogo di rifugio di capitali che, al di là della loro origine non sempre pulita (altro che strategia del denaro pulito!), eludono il fisco del loro paese ed hanno sostanzialmente intenzione di continuare a farlo in misura preponderante.
D’altronde tutti i partiti di governo, a livello nazionale e cantonale, sostengono la strategia del cosiddetto modello Rubik (un modello elaborato dalla banche e fondato sostanzialmente su un’imposta alla fonte sui redditi dei capitali esteri amministrati in Svizzera e non dichiarati nel paese d’origine).
Un modello che, dopo aver permesso di concludere accordi con Germania e Gran Bretagna, sembra ora essere il modello al quale guarda anche l’Italia di Mario Monti per concludere un accordo con il governo elvetico.
Evitare lo scambio di informazioni automatiche
Abbiamo detto che tutti i partiti di governo (a livello nazionale e, presumiamo, anche a livello cantonale) sostengono questo modello che, di fatto vuole evitare lo scambio di informazioni: vuole cioè togliere alle amministrazioni fiscali con le quali si concludono tali accordi la possibilità di ottenere informazioni fiscali su capitali depositati e fruttiferi nel nostro paese.
Certo, i social-liberali potrebbero dirci che loro, in occasione della ratifica degli accordi con Germania e Gran Bretagna approvata nella commissione del Consiglio Nazionale si sono astenuti, solidarizzando così con i «compagni» tedeschi che, come noto, sono, almeno per il momento, opposti a questo accordo.
Ma che le cose stiano piuttosto come affermiamo noi lo ha confermato la discussione in occasione dell’ultima seduta delle Camere federali durante la quale è stato approvato – con il voto del PSS – il programma di legislatura 2011 – 2015. Ecco che cosa dice su questo importante tema il programma del governo approvato dal Parlamento: «Estensione della rete di accordi concernenti l’imposta alla fonte e migliore accesso al mercato: nel rapporto «Indirizzi strategici della politica svizzera in materia di mercati finanziari» del 16 dicembre 2009 abbiamo deciso che la piazza finanziaria svizzera si limiterà alla gestione del patrimonio dichiarato. Per attuare tale politica sono stati conclusi accordi con la Germania e con la Gran Bretagna concernenti la messa in regola dei patrimoni non dichiarati in Svizzera e l’imposizione fiscale del reddito da capitale di questi patrimoni, nonché un migliore accesso al mercato da parte dei fornitori dei servizi finanziari svizzeri. Affinché questo modello si affermi in quanto alternativa riconosciuta allo scambio di informazioni automatiche e affinché si possa migliorare ulteriormente l’accesso al mercato dei fornitori di servizi finanziari svizzeri è necessario intraprendere trattative con altri Stati” (sottolineatura nostra).
E i frontalieri cosa c’entrano?
In tutta questa vicenda i frontalieri sono diventati una sorta di merce di scambio. Non tanto nei confronti dei comuni di frontiera e nemmeno per quel che riguarda la percentuale di ristorno (il 38%) che il Ticino vorrebbe abbassare, anche se non ci pare di vedere una grande convinzione.
In realtà la vera partita è il salvataggio del segreto bancario (nella forma che abbiamo qui sopra indicato) e con l’idea che, pur di salvare questo aspetto, il Ticino potrebbe vedere diminuito il proprio onere di ristorno sulle imposte dei frontalieri.
In altre parole, nel contesto della realizzazione del modello Rubick anche con l’Italia, il ristorno complessivo delle imposte pagate da frontalieri potrebbe rimanere complessivamente uguale alla percentuale odierna. Ma una parte di questo rimborso verrebbe assunta dalla Confederazione, portando così un lieve sollievo alle casse cantonali.
D’altronde è questa l’ipotesi che il massimo esperto in materia, Marco Bernasconi, va delineando da almeno un paio d’anni.
Tanto rumore, dunque, per nulla? Non proprio. Tanto rumore per contribuire alla difesa del segreto bancario; un po’ ammaccato, me sempre funzionale agli interessi dei banchieri.