Persino l’inossidabile ottimismo , tutto politico, della Segreteria di Stato all’economia (SECO) ha dovuto piegarsi alla dura realtà dei fatti e ammettere che effettivamente le cose non vanno poi così bene come si continua a ripetere da mesi, previsione dopo previsione. E che, in effetti, le positive previsioni sulla crescita del prossimo anno molto probabilmente andranno corrette.
Così, l’ottimistica previsione di crescita del PIL dell’1,4% dovrebbe «essere nettamente ridimensionata», arrivando, nella migliore delle ipotesi, attorno ad una crescita dimezzata rispetto a tali previsioni.
Eppure la SECO, come tutti gli altri, non può non aver notato i segnali che, ormai da mesi, arrivano dalla congiuntura europea ed internazionale, alle quali, per la sua stessa struttura, l’economia svizzera è estremamente sensibile. E questi segnali, inequivocabilmente, ci dicono di un mondo capitalista di nuovo orientato verso una prospettiva di profonda recessione. Una recessione che, questa volta, potrà essere attenuata solo in misura minore dalla “tenuta” di mercati fondamentali, ma non ancora decisivi, come quello cinese.
In questo contesto i salariati europei stanno già vivendo ulteriori importanti attacchi alle loro condizioni di vita e di lavoro. L’evoluzione della disoccupazione in tutti i paesi (siano essi «virtuosi» o meno dal punto di vista delle finanze pubbliche, le politiche di tagli alla spesa pubblica e in particolare alla spesa sociale, i processi di riorganizzazione produttiva con ulteriore flessibilizzazione e precarizzazione dei mercati del lavoro: tutto questo sta ad indicare come, ancora una volta, governi e classi dirigenti abbiano deciso di mantenere e ripristinare tassi di profitto convenienti a scapito dei salariati. Chiara, come sempre, la dinamica della lotta di classe, il conflitto tra capitale e lavoro.
E poco importa il «colore» politico dichiarato dai vari governi. Quella che in Spagna è una brutale politica di austerità attuata da un governo di «destra» non è molto diversa da quella applicata in Italia da un governo «tecnico» che può contare sul sostegno della «destra» e della «sinistra»; oppure lo stesso contenuto politico può assumere nomi più soavi, il «rigore» di François Hollande, sostenuto da tutta la sinistra (anche quella che si vorrebbe più estrema – come il Front de Gauche – che non si considera un’oppositore alla politica del governo) e «tollerata» persino dalle direzioni sindacali.
E in Svizzera? La situazione non è molto diversa, anche se governo e padronato possono contare su parecchi «atout».
Il primo è quello di una crisi sociale che non ha ancora raggiunto la profondità dei paesi a noi vicini; gli spazi di «sopportabilità» sociale sono ancora ampi e la politica delle controriforme li sfrutta a pieno. In particolare vendendo l’idea che gli arretramenti sociali proposti e attuati servano, sostanzialmente a difendere il grosso delle «conquiste» e del «benessere» accumulato nei lunghi anni di sviluppo economico del dopoguerra.
Il secondo e legato alla struttura politica del paese. Con il grande vantaggio di avere «destra» e «sinistra» negli stessi governi (a livello federale e cantonale) e di poter quindi condurre politiche che possono contare su un ampio consenso. L’opposizione, anche quando viene proclamata da forze di governo, non va mai al di là di una contestazione istituzionale, un terreno sul quale la maggioranza governativa, da sempre, riesce a vincere, controllando e guidando la formazione dell’opinione.
In questo contesto appare più che mai necessario, anche se per il momento può assumere un carattere per lo più propagandistico, ribadire la necessità di una opposizione radicale al capitalismo neoliberale, alle sue politiche, ai suoi orientamenti ideologici.
Solo in questo modo, unitamente allo sviluppo – che verrà di lotte sociali – sarà possibile anche in un paese come il nostro cominciare a vedere i contorni di una alternativa politica e sociale al capitalismo reale. Un’alternativa che si fa fatica, per il momento, a vedere anche su scala europea, malgrado la profondità della crisi capitalistica.