È sorprendente la risposta che il Consiglio di Stato ha dato, nei giorni scorsi, ad una interrogazione che chiedeva lumi sulle dichiarazioni, fatte qualche mese fa, dal nuovo direttore generale Bernardino Bulla. Quelle dichiarazioni, che i nostri lettori ricordano perché ampiamente commentate anche sul nostro giornale, dicevano in buona sostanza che, forse, l’acquisto di Axion Bank da parte di BancaStato non era poi stato un grande affare e che, alla luce dell’evoluzione del contesto economico-finanziario, forse era un acquisto che non andava fatto.
La sorpresa non sta tanto nel ridicolo tentativo di “difendere” l’uscita del direttore Bulla, cercando di “inquadrarla” nel “contesto”. Addirittura il governo approfitta di questa risposta per smentire lo stesso Bulla, sostenendo che lo stesso direttore ammette di essersi espresso in modo sbagliato: ” il Direttore generale di BancaStato ammette che, alla luce delle reazioni generate, la sua dichiarazione radiofonica sia stata quanto meno infelice, in particolare per la scelta, forse impropria, dei termini adottati”. Una circostanza che la dice lunga sui modi con i quali e gestita Bancastato. In una situazione normale, e sapendo quanto siano sensibili le dichiarazioni del direttore di una banca importante come BancaStato, il direttore autore di dichiarazioni “infelici” (cioè di aver sparato una cazzata…) avrebbe preso carta e penna e “precisato” le proprie dichiarazioni. Non avrebbe certo aspettato sei mesi per farsi smentire dal Consiglio di Stato (cioè dal suo azionista…).
La sorpresa, invece, viene dalla leggerezza con la quale il Consiglio di Stato glissa sugli aspetti di fondo di tutta la vicenda dopo avere, in realtà, dato tutta una serie di elementi che confermano quanto sbagliata fosse la strada imboccata due anni fa da BancaStato. Una via, lo ricordiamo, imboccata di forza dal Consiglio di amministrazione, aggirando la discussione parlamentare. Infatti il governo riteneva opportuno, onde permettere che BancaStato procedesse ad acquisti di unità bancarie, procedere ad una modifica della Legge cantonale sulla Banca dello Stato. La proposta si era poi arenata per lungo tempo in Parlamento poiché una chiara maggioranza del Parlamento non solo non era d’accordo con la modifica proposta, ma era sostanzialmente scettica sul passo che quella modifica avrebbe dovuto con più facilità consentire: l’acqusizione di una banca privata e, attraverso questa, l’inizio di un processo di diversificazione delle attività di BancaStato, in particolare verso il settore della gestione patrimoniale (private banking).
Il Consiglio di amministrazione operò un vero colpo di mano, annunciò l’acquisizione di Axion Bank (il suo nome allora era UniCredit – suisse) e lasciò che Governo e Parlamento discutessero di modifiche marginali della legge. Nessuno, né in governo né in Parlamento, pensarono di chiedere conto al consiglio di amministrazione di BancaStato, né questo comportamento venne in qualche modo sanzionato in occasione dell’approvazione dei conti della Banca e del rapporto di gestione.
Ora il governo ci presenta tutta una serie di “giustificazioni” tese ad “inquadrare” le dichiarazioni del direttore Bulla. Tutte indicazioni, relative alla evoluzione del mercato finanziario, del flusso di investimenti patrimoniale, della evoluzione della piazza finanziaria svizzera e delle sue regolamentazioni finanziarie e fiscali, ecc.
Tutte cose vere e che, sicuramente, hanno concorso e continuano a concorrere a modificare il quadro di fondo delle attività di gestione patrimoniale nel nostro paese.
Detto questo vanno perlomeno fatte due osservazioni che mostrano i limiti della “difesa” fatta dal governo.
Il primo è il fatto che tali elementi non sono emersi “dopo” l’acquisizione di Axion Bank (cioè nel secondo semestre del 2010), né tantomeno si può affermare che la situazione del primo semestre 2010 non consentiva di delineare i futuri sviluppi. Tale punto di vista, sostenuto dal governo (“se
nel primo semestre 2010 si fosse potuto prevedere quanto finora successo e quanto sta succedendo BancaStato avrebbe probabilmente atteso prima di effettuare eventuali acquisizioni”), è privo di qualsiasi riferimento alla evoluzione reale del quadro economico e finanziario internazionale, così come si è andato delineando a partire dallo choc dell’agosto del 2008.
Gli elementi richiamati si erano già delineati nel corso del 2009 e avevano già fornito il quadro della evoluzione di una tendenza strutturale (come ammette, di passata, anche il governo) delle operazioni relative alla gestione patrimoniale. Basti pensare, ad esempio e quale indice di questa evoluzione, i deflusso importante di capitali amministrati da alcune grandi banche, nonché l’abbandono della piazza finanziaria ticinese di alcune entità di gestione patrimoniale. D’altronde, proprio il fatto che Unicredit fosse disposta a cedere la propria sede svizzera, orientata sulla gestione patrimoniale, doveva essere interpretato, al di là delle difficoltà che allora attraversava la banca italiana, come il segnale che tale struttura non fosse più ritenuta, in prospettiva, foriera di una aumentata redditività.
Un secondo aspetto, totalmente assente nella risposta, del governo riguarda una questione fondamentale emersa da tutti gli studi sugli scenari evolutivi della gestione patrimoniale in Svizzera. IN uno studio del 2009 di Credit Suisse venivano delineate due tendenze. La prima, generale, ad una contrazione dei margini di guadagno nel settore della gestione patrimoniale; la seconda, derivata dalla prima, la necessità di possedere una massa critica sufficientemente ampia onde poter mantenere margini di redditività concorrenziali. Per questo lo studio ipotizzava l’accorpamento di istituti di gestione patrimoniale e il declino di piccole unità che non dispongono della sufficiente massa critica.
Proprio nel momento in cui venivano illustrate tali tendenze BancaStato si muoveva in controtendenza, procedendo ad un importante investimento che rischia ora di bloccare qualsiasi passo verso una diversificazione alternativa.
È questa la realtà dei fatti. Una realtà che non potrà che peggiorare alla luce della crisi strutturale nella quale versa il sistema bancario internazionale.
Quel che è grave è il fatto che il governo non tiri alcuna conclusione, continui a coprire gli errori di management e consiglio di amministrazione, ponendo così le basi per un declino programmato di BancaStato. Un declino di cui prima o poi dovranno tutti costoro, classe politica, management e amministratori, rendere conto ai cittadini ticinesi che, fino a prova del contrario, restano i proprietari di quella che, almeno sulla carta, continua ad essere una banca pubblica.