Lo avevamo detto e ripetuto in occasione del vittorioso referendum di due anni fa contro la proposta di anticipare l’entrata in vigore e di aumentare la diminuzione del tasso di conversione nell’ambito della previdenza professionale (la cassa pensione).
Il tasso di conversione è, come noto, quella percentuale che “converte” in pensione annuale (mensile) l’avere di vecchiaia complessivo accumulato dal singolo lavoratore. Dato, ad esempio, un avere di vecchiaia di 100’000 franchi darà, sulla base di un tasso di conversione del 6,8%, una rendita annuale di 6’800 franchi. Se il tasso di conversione diminuisce, diminuirà anche la rendita.
Avevamo detto che quella vittoria, seppur importante e per certi versi “facile” (l’UDC si era schierata contro la proposta di modifica di legge!) avrebbe avuto un senso se fosse stata il punto di partenza per accelerare la contestazione del sistema dei tre pilastri (che ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti) e per avanzare una proposta di riforma radicale del sistema pensionistico, attorno alla quale far crescere una sistematica mobilitazione dei salariati.
Senza questa prospettiva, avevamo aggiunto, il sistema dispone di molti altri strumenti, al di là del tasso di conversione, per incidere sulle rendite. A cominciare dal tasso minimo di interesse versato ogni anno sull’avere di vecchiaia. L’evoluzione di questo tasso (agendo sulla formazione dell’avere di vecchiaia durante tutta la carriera lavorativa) influenza l’ammontare stesso dell’avere di vecchiaia e, di conseguenza, l’ammontare della rendita.
È proprio sull’evoluzione di questo tasso di vecchiaia che governo e padronato (al servizio sostanzialmente degli interessi delle imprese e degli assicuratori) hanno agito negli ultimi anni, diminuendolo drasticamente. Infatti questo tasso era rimasto invariato al 4% dall’introduzione obbligatoria del secondo pilastro (dal 1984) fino al 2002, cioè per quasi 20 anni. Iniziò poi una continua diminuzione fino all’attuale livello, in vigore dal 2012, dell’1,5%.
Ora, la notizia è proprio di questi giorni, la Commissione federale della previdenza professionale (commissione LPP) propone al Consiglio Federale (competente in materia) di mantenere anche per il 2013 il tasso dell1,5%. Una proposta che, sicuramente, il Consiglio Federale farà propria, a meno che non abbracci varianti ancora peggiori.
Alla base di questa proposta vi sarebbe l’evoluzione dei mercati (finanziari, immobiliari, ecc) che darebbero segni di “instabilità” e di “rendimenti” in netta diminuzione. Tutto questo sulla base di un complesso calcolo matematico tutto incentrato sulla “evoluzione” e il “rendimento” dei “mercati”.
Quel che sorprende è constatare come, verosimilmente, questo ragionamento (che oltre ad avere basi matematiche presuppone anche una visione politica del rapporto tra fondi pensionistici e evoluzione economico-sociale) sia stato fatto proprio anche dai rappresentanti sindacali. Infatti la commissione (organismo tripartito) ha trasmesso la propria raccomandazione (1,5%) al governo con 13 voti favorevoli, un solo contrario e tre astensioni. Un risultato che indica chiaramente perlomeno una non opposizione dei rappresentanti sindacali.
Ora questa posizione potrebbe essere spiegata solo partendo dall’idea che le organizzazioni sindacali si siano adeguate ad un visione tecnico-matematica del problema, dimenticando che dietro a questo vi è una questione politica di fondo. Le pensioni, val la pena ricordarlo, non sono altro che parte del salario (salario differito viene chiamato) e quindi rientrano nella più generale discussione del rapporto tra capitale e lavoro.
Ma al di là di questo non va dimenticati altri elementi. A cominciare dal fatto che in questi ultimi anni il tasso di interesse è costantemente diminuito, spesso ben al di sotto dei guadagni ottenuti dagli investimenti di coloro che gestiscono i capitali delle casse pensioni. Persino l’attuale valutazione, alla luce delle evoluzioni dei mercati azionari negli ultimi due anni, è decisamente inadeguata. Una convinzione che, d’altronde, deve aver animato lo scorso anno gli stessi rappresentanti sindacali i quali, di fronte alla proposta – poi fatta propria dal Consiglio Federale- di abbassare il tasso dal 2 all’1,5% a partire dal 2012, avevano invece formulato la proposta di un tasso che oscillasse tra il 2 e il 2,25%. Memoria corta!
A queste manovre a livello federale si aggiungono poi gli attacchi a livello locale, in partico lare attraverso la mesas in discussione (come sta avvenendo in Ticino) del principio del primato delle prestazioni a favore di quello delle contribuzioni: un passaggio che, sul lungo termine, porterà ad una forte riduzione delle rendite pensionistiche del secondo pilastro.