Curioso fenomeno quello dell’attuale crisi dell’alloggio. Il fatto che colpisca in Svizzera con forza negli ultimi tre a cinque anni – con importanti differenze secondo i cantoni, ma con particolare forza nell’arco lemanico, a Zurigo e a Basilea – è riconosciuto dagli organi ufficiali.
Che metta numerosi salariati –con dei salari al di sotto del livello salariale mediano o più bassi-, disoccupati, pensionati e una gran numero di giovani in formazione in alcune situazioni inestricabili è poi regolarmente messo in evidenza dai media. Ma se guardiamo dal lato delle misure prese o da prendere c’è il nulla assoluto o quasi. Una rivendicazione qui, una proposta là; dei dibattiti senza fine; molte gesticolazioni e molte esitazioni. In sintesi, nulla all’altezza della gravità della situazione.
Il paragone con la recessione economica dell’inizio degli anni 1990 può aiutarci a comprendere. Quella recessione aveva colpito il canton Vaud con una violenza particolare per rapporto alle altre regioni e la reazione è stata immediata. Lo Stato cantonale ha preso molto rapidamente delle misure insolitamente incisive, favorendo l’insediamento di nuove imprese in “poli di sviluppo economico”, prendendo delle misure di incitamento basate su esoneri fiscali totali, riducendo gli ostacoli tecnici e amministrativi alla valorizzazione di terreni edificabili e introducendo la possibilità di espropriazione del suolo per ragioni di sviluppo economico. Poco importa se rispetto all’attuale crisi dell’alloggio queste misure fossero pertinenti o meno; l’essenziale sta nel fatto che sono state prese rapidamente e che sono state un esempio di intervento statale forte nel gioco del libero mercato immobiliare. Tutto ciò in forte contrasto con la palese assenza di reazioni serie di fronte all’attuale crisi dell’alloggio!
Le ragioni della differenza
Le ragioni sono evidenti. Nel 1992 i profitti dei detentori di capitale erano minacciati, mentre oggi la crisi dell’alloggio è una manna per gli ambienti immobiliari. I rischi che prendono sono minimi e i guadagni garantiti. Evidentemente, la produzione di alloggi è limitata dall’offerta ridotta di terreni effettivamente edificabili, ma questa penuria livella i prezzi degli alloggi verso gli standard più elevati e in Svizzera romanda esiste un numero sufficiente di economie domestiche benestanti, pronte ad affittare o comperare gli alloggi costruiti. Di conseguenza, lo Stato borghese non ha alcuna ragione per intervenire nel libero mercato, a parte un caso: rispondere ai timori delle banche, fondi di investimento e altri investitori istituzionali in riferimento ai rischi di insolvenza di chi acquista una casa o un appartamento in comproprietà senza disporre di fondi propri importanti, in particolare quando questi provengono per l’essenziale dalla cassa pensione.
L’Associazione svizzera degli inquilini non è restata del tutto inattiva. Infatti, ha di recente domandato al Consiglio federale di riattivare l’aiuto diretto alla costruzione di alloggi a pigione moderata e di togliere il plafonamento agli affitti nelle regioni più toccate dalla crisi limitando gli aumenti di affitto autorizzati tra due inquilini successivi di uno stesso appartamento al 5%. Ma, di fronte ai difensori degli inquilini, c’è la lobby della proprietà privata del suolo, il cui diritto al profitto è iscritto nella Costituzione federale. Questa lobby parte in quarta ogni qualvolta i suoi privilegi sono toccati sviluppando un’argomentazione anti-Stato che ha una certa eco nella popolazione. Dispone inoltre di un peso politico smisurato tra gli eletti del sistema istituzionale svizzero, che le permette di bloccare tutte le proposte serie in favore delle vittime della crisi, svuotandole della loro sostanza.
Una sfida importante
Appare quindi evidente che le vittime della crisi attuale dell’alloggio non possono contare che sulle loro proprie forze, se vogliono fare dei passi in avanti verso la risoluzione dei loro problemi. Questo può essere anche un bene, dato che l’esperienza della recessione degli anni 1990 ha mostrato che i salariati non riescono a vincere se i padroni e lo Stato sono all’offensiva. Ma la sfida è imponente.
In effetti, per essere presi sul serio, inquilini, salariati, disoccupati, pensionati e giovani in formazione in difficoltà, dovrebbero riuscire a sviluppare una mobilitazione importante e che possa proporre una lista di rivendicazioni all’altezza della crisi, concepita per amplificarsi nella durata e per estendersi a tutte le regioni della Svizzera.
Ebbene, dalla lotta per il diritto all’alloggio alla fine degli anni 1970, non abbiamo più visto delle mobilitazioni ampie di “questo popolo”. Non che abbiano rinunciato alla difesa collettiva dei loro interessi di fronte ai proprietari immobiliari, ben al contrario. Il movimento degli squatter non smette di riprodursi in tutto il paese, malgrado la forte repressione. Ogni settimana, ogni mese degli inquilini sono spinti a usare questa arma, in qualche angolo della Svizzera, per tentare di opporsi a delle esigenze inaccettabili. Ma queste lotte hanno quasi sempre un carattere puntuale, che deriva da un contesto specifico e si sviluppano senza continuità nel tempo. Per quanto concerne le associazioni di inquilini, se erano state all’offensiva in occasione del dibattito sul diritto all’alloggio alla fine degli anni 1960, da allora sono state prese nelle maglie della rete di una legislazione sui contratti di locazione, che sono riusciti a migliorare, ma la cui applicazione conflittuale mobilita tutte le loro energie.
La questione dell’alloggio si è poi profondamente modificata nel corso degli ultimi 40 anni. La produzione di alloggi è stata liberalizzata e gli ambienti immobiliari si impegnano da 10-15 anni affinché il numero di abitanti proprietari del loro alloggio aumenti rispetto al numero di inquilini. Questa doppia evoluzione non ha suscitato una resistenza d’insieme. La tendenza è stata percepita come ineluttabile, la risposta dei difensori degli inquilini è stata debole e si è limitata a chiedere dei correttivi.
Attitudine diventata insostenibile, tenuto conto della gravità attuale della crisi. Per sconfiggerla è necessario definire una lista di rivendicazioni da utilizzare per costruire una mobilitazione generale. Questo dopo aver iniziato un dibattito di fondo sulle origini, le cause e la realtà della crisi attuale dell’alloggio. Dibattito che richiede che si prenda coscienza, dal punto di vista degli inquilini, che il ventaglio di questioni di cui tenere conto è profondamente cambiato dai tempi della battaglia per il diritto all’alloggio.
Nuovi aspetti da prendere in considerazione
Durante gli ultimi 50 anni il territorio svizzero è mutato profondamente. Oggi si caratterizza essenzialmente come spazio urbanizzato, riccamente equipaggiato in infrastrutture di trasporto (strade e ferrovie), di produzione e di trasporto di energie e di comunicazione. La pianificazione del territorio si è sviluppata in parallelo, restando altamente conflittuale. La protezione dell’ambiente ha conosciuto uno sviluppo insperato dagli anni 1980, in correlazione con lo sviluppo di una sensibilità su questa problematica. Ebbene, le politiche settoriali sviluppate in questi due ambiti e il dibattito pubblico che suscitano possono entrare in contraddizione con la necessità di produrre alloggi a sufficienza e accessibili alla popolazione lavoratrice.
Diamo un esempio. Nell’ambito della pianificazione del territorio si parla molto, da un po’ di tempo, di salvaguardia del paesaggio e di “urban sprawl” (dispersione urbana). Per rispondere a queste preoccupazioni, un consenso è stato trovato attorno all’idea di concentrare lo sviluppo delle costruzioni all’interno o in prossimità immediata degli agglomerati urbani ben serviti dai trasporti collettivi. I piani direttori cantonali, che sono vincolanti per le collettività pubbliche, sono stati o sono in via di adattamento a questo modello. L’obiettivo in quanto tale è lodevole e la possibilità di costruire su terreni sui quali l’attenzione dei costruttori di alloggi si è focalizzata in seguito all’emergere di questa opzione sembrano, a prima vista, ancora importanti. Malgrado ciò, nella misura in cui questi terreni sono per l’essenziale in mani private, l’offerta di terreni edificabili si sta restringendo sul mercato dello sviluppo urbano. Questo spinge la rendita fondiaria verso l’alto e incita i proprietari toccati a tesaurizzare il suolo. Ebbene, le collettività pubbliche non sono attrezzate per incitare i proprietari privati del suolo a mettere in valore i loro terreni, a costruire e, ancor meno, ad incitarli a tenere il prezzo dei terreni a un livello tale da permettere la realizzazione di alloggi a prezzi abbordabili. Il problema è simile in caso di operazioni di addensamento dei tessuti costruiti esistenti, salvo quando queste operazioni toccano dei territori abitati nei quali la popolazione reagisce.
A ciò si aggiungono le difficoltà seguenti: la legislazione da prendere in considerazione in occasione della concezione e dell’autorizzazione di una costruzione è molto più complessa di cinquant’anni fa, e questa complessità è più difficile da assumere in territorio urbano che in periferia. La volontà di sviluppare prioritariamente la costruzione di alloggi in seno o ai limiti degli agglomerati urbani esercita di fatto un effetto frenante sullo sviluppo della costruzione. Del resto, l’autonomia fiscale comunale, che predomina in Svizzera, incita le autorità comunali a disinteressarsi delle operazioni immobiliari destinate alla popolazione a reddito medio o basso a causa del fatto che il loro apporto fiscale è ridotto o addirittura negativo.
Riflettere a delle soluzioni per uscire dalla crisi attuale dell’alloggio senza prendere in considerazione questi nuovi e complementari parametri non ha senso. La problematica dell’alloggio deve essere affrontata congiuntamente con la pianificazione del territorio, dei trasporti e della protezione dell’ambiente. Di fronte alla crisi attuale dell’alloggio non ci si può limitare a lottare per il diritto all’alloggio, ma si deve estendere la lotta al miglior modo di far prevalere il “diritto alla città” (1) nel senso di un diritto di ogni cittadino a un ambiente di vita di qualità, organizzato affinché la popolazione più modesta possa soddisfare i propri bisogni.
Una riflessione di fondo indispensabile
In conclusione, di fronte alla crisi dell’alloggio attualmente in corso, non bisogna solo riuscire a mobilitare la popolazione che subisce per permetterle di far sentire la propria voce. Bisogna anche approfondire la comprensione della realtà e delle ragioni di questa crisi prendendo in considerazione la complessità della situazione e dedurne, attraverso un dibattito democratico, un insieme di rivendicazioni che siano all’altezza dei problemi posti. Anche in questo ambito c’è molta strada da fare. Le associazioni di difesa degli inquilini non osano avventurarsi al di là del campo stretto nel quale operano fin dalla loro creazione. In mancanza di meglio, lanciano degli slogan che sembrano sensati a prima vista, ma che raramente vanno al di là di un tema particolare e sovente sono la testimonianza di un ritardo drammatico nella comprensione dei problemi in campo.
Cerchiamo dunque di fare un passo in avanti nella riflessione.
Quella a cui bisogna mirare oggi è la messa in campo di un’autentica politica pubblica dell’alloggio, su scala federale, cantonale e comunale. Qualcosa di simile a quello che si era sviluppato dopo la Seconda Guerra mondiale in seguito alla forte pressione popolare che si è, in seguito, volatilizzata a partire dagli anni 1970 a causa dell’offensiva neoconservatrice, comunque dopo aver visto la realizzazione di un numero considerevole di alloggi a pigione moderata. Bisogna pretendere che l’opera sia rimessa sui binari per realizzare una nuova politica pubblica dell’alloggio, articolata ai tre livelli istituzionali del paese, tenendo conto della complessità dell’attuale sistema urbano svizzero!
Quando il tasso di sfitto del parco immobiliare locativo e in proprietà scende in più regioni al disotto dello 0,5% e che l’affitto mensile medio di un tre locali di nuova costruzione o rinnovato supera nelle regioni urbane il 50% del salario mediano, bisogna concludere che il mercato dell’alloggio non risponde più che al terzo superiore della domanda sociale. Il sistema è in fallimento e tutto crolla in seguito: un numero crescente di giovani in formazione sono obbligati a continuare a vivere con i genitori, sempre più salariati, disoccupati e pensionati sono obbligati a cumulare più redditi per riuscire a pagare gli affitti degli appartamenti offerti; i limiti per l’affitto per l’assistenza sociale diventano inadeguati; la costruzione di alloggi si sposta nelle regioni urbane periferiche dove il prezzo del terreno è più basso e poco male se i tempi e le distanze per andare al lavoro o a scuola si allungano, con il relativo prezzo per l’ecologia che ne risulta,…
Di politiche pubbliche, i media ne parlano tutti i giorni. Su quella dei trasporti, ne parlano in permanenza, alla luce dei problemi finanziari che pone. Quella concernente l’agricoltura è stata appena riorientata dalle Camere federali in un senso meno produttivista. Quella concernente l’approvvigionamento di energia è sotto la lente della Consigliera federale Doris Leuthardt dalla decisione federale di uscire a termine dal nucleare dopo l’incidente di Fukushima.
Perché non succede niente di simile per ciò che concerne l’alloggio? La chiave dell’enigma è già stata data sopra. Lo Stato borghese svizzero sviluppa delle politiche pubbliche ogni qual volta che un settore del capitalismo svizzero non arriva più a farcela da solo. Il capitale immobiliare e fondiario che assume il ruolo motore sul mercato dell’alloggio sta benissimo oggi, le nostre autorità si impietosiscono nei confronti degli inquilini che subiscono la crisi, ma saranno refrattarie a ogni tentativo di promozione di una politica pubblica dell’alloggio degna di questo nome. Per vedere la luce, le rivendicazioni che una politica di questo tipo dovrebbe soddisfare dovranno essere immaginate e portate avanti direttamente dagli inquilini, dai salariati, dai disoccupati, dai pensionati e i giovani in formazione!
Per lanciare la discussione
Ecco un ventaglio di rivendicazioni che potrebbe essere giudizioso avanzare in questo contesto:
– Contingentamento della creazione di alloggi di proprietà.
Per le ragioni seguenti, bisogna opporsi alla tendenza del mercato e alla strategia degli ambienti immobiliari che privilegiano gli alloggi di proprietà a sfavore di quelli in affitto: gli appartamenti in vendita offerti sul mercato sono inabbordabili per la maggioranza delle persone; inoltre, la tendenza diminuisce il “popolo degli inquilini” a favore del “popolo dei proprietari di alloggi”.
– Congelamento degli aumenti degli affitti degli appartamenti situati nei comuni dove colpisce la crisi.
– Introduzione di un diritto di requisizione degli stabili lasciati vuoti e accettazione dello squat di immobili abitabili non occupati nei comuni dove più forte è la crisi.
– Estensione del diritto di espropriazione del suolo per la creazione di alloggi a pigione moderata (2) cambiando, in questo caso, le modalità di calcolo delle indennità versate ai proprietari; invece di riferirsi ai prezzi praticati su dei mercati fondiari comparabili, saranno calcolate in modo che gli affitti degli appartamenti costruiti o rinnovati sui terreni espropriati restino abbordabili per una larga maggioranza delle famiglie.
Senza questa estensione e questo cambiamento del metodo di calcolo delle indennità, il profitto immobiliare e fondiario continuerà a determinare il livello degli affitti in funzione del potere d’acquisto del terzo più ricco della popolazione residente.
Le due misure proposte si impongono anche perché solo loro permetteranno di impedire che la lobby dei proprietari privati del suolo possa frenare lo sviluppo di appartamenti a pigione moderata, che gli affitti di questi appartamenti siano tributari dell’evoluzione dei prezzi sul mercato fondiario e che il mercato immobiliare si accaparri di una parte dell’aiuto pubblico alla creazione di appartamenti a pigione moderata attraverso i prezzi praticati sul mercato fondiario.
Inoltre, le innovazioni proposte permetteranno di opporsi al capitale immobiliare quando inizierà a praticare la ritenzione degli investimenti nei comuni dove l’aumento degli affitti sarà congelata e nei comuni che svilupperanno un settore importante di alloggi a pigione moderata.
– Sviluppo e rafforzamento dell’aiuto pubblico alla costruzione e al rinnovamento di appartamenti a pigione moderata a livello federale e cantonale.
Questo aiuto non è scomparso da quando la produzione di alloggi è stata liberalizzata a partire dagli anni 1970, ma è stato ridotto ed edulcorato. La rivendicazione avanzata dall’Associazione svizzera degli inquilini di ritornare a un sistema di aiuti federali diretti va nella direzione giusta, ma bisognerebbe concretizzarla e completarla. L’aiuto all’alloggio è un ambito complesso che richiederebbe che tutte le leve da attivare o creare per aggiustare le pratiche alla situazione di crisi siano identificate in occasione di un esame approfondito ancora da fare.
– Sostegno alle strutture e agli organismi incaricati della realizzazione di appartamenti a pigione moderata; sviluppo del potere di controllo degli abitanti su questi organismi e sulle strutture incaricate dell’aiuto pubblico.
Un esame approfondito dovrebbe essere consacrato alla possibilità di prendere a carico la produzione di appartamenti da parte delle collettività pubbliche stesse e alle leve da attivare per rinforzare il settore delle cooperative e altre istituzioni che appoggiano la costruzione di appartamenti a pigione moderata.
– Sviluppo di un controllo da parte degli abitanti sulle strutture incaricate della realizzazione, del finanziamento e della gestione di appartamenti a pigione moderata e allargamento del margine di autogestione degli abitanti di appartamenti a pigione moderata.
Passi in avanti importanti sono indispensabili a questo livello, per evitare che i cambiamenti auspicati si concretizzino nel passaggio da un regime autoritario a un altro dello stesso tipo.
– Rafforzamento e omogeneizzazione delle prestazioni di aiuto all’alloggio fornite dalle collettività pubbliche alla popolazione precaria e a basso reddito.
Se l’attuale crisi dell’alloggio tocca le cosiddette classi medie, pone dei problemi importanti alle economie domestiche precarie e a basso reddito, mettendo a nudo le insufficienze della politica sociale in materia e le disuguaglianze che la caratterizzano a seconda dei cantoni e dei comuni. Malgrado le misure auspicate, gli affitti degli appartamenti a pigione moderata rischiano di essere ancora troppo cari per queste economie domestiche. Ebbene, nessuno deve essere privato del diritto a un tetto. Risolvere questo problema è parte integrante della politica pubblica dell’alloggio da costruire.
– In caso di addensamento delle zone urbane costruite, instaurazione di un controllo degli affitti e di un obbligo di associazione della popolazione alle misure.
Promuovere l’addensamento dei territori urbani ben raccordati sui trasporti pubblici, al posto dell’estensione del territorio urbano a discapito delle campagne è un obiettivo riconosciuto dall’attuale pianificazione del territorio. Questa misura non può che essere sostenuta nel principio, ma, fintanto che lo sviluppo urbano sarà guidato dalla ricerca del profitto, comporterà numerosi rischi di sbavature: la qualità di vita pre-esistente può degradarsi; gli affitti potrebbero prendere l’ascensore; degli stabili con appartamenti in affitto potrebbero trasformarsi in appartamenti di proprietà; le testimonianze di un patrimonio architettonico o urbanistico di qualità potrebbero scomparire,…. Si impongono quindi delle misure.
Catalogo ragionevole, ma imponente, manifestamente impossibile da introdurre allo stato attuale dei rapporti di forza. È quantomeno utile per stimolare la discussione di fondo e per misurare il cammino da percorrere e i mezzi da mettere in campo per trovare una via d’uscita all’attuale crisi. Questa discussione è sicuramente più utile delle misure proposte dalle autorità istituzionali riconosciute, politicamente realizzabili, ma chiaramente insufficienti .“Siamo realisti, prendiamo delle misure, e tanto peggio se sono inefficaci!? – Sì, se questo contribuisce a promuovere il lancio di un’autentica mobilitazione degli inquilini, dei salariati, dei disoccupati, dei pensionati e dei giovani in formazione affinché divenga possibile riuscire a modificare il rapporto di forza in favore delle vittime della crisi in corso.
1. Henri Lefebvre, in diverse pubblicazioni e articoli, ha sviluppato l’idea del diritto all’alloggio legato al diritto alla città. Egli integrava nella produzione dei bisogni sociali quello degli alloggi, delle infrastrutture, dei trasporti e della riorganizzazione dello spazio pubblico (v. anche il suo articolo “L’espace: produit social et valeur d’usage.”, la Nouvelle Revue Socialiste, 1976, n° 18).
2. Nozione oggi giuridicamente consacrata che designa alloggi realizzati da costruttori senza scopo di lucro.
* articolo apparso su www.alencontre.org. Traduzione a cura della redazione di Solidarietà.