“La classe operaia va in Paradiso”, si potrebbe intitolare così (prendendo a prestito il titolo di un famoso film italiano di Elio Petri) la giornata di porte aperte che l’AITI (Associazione delle industrie ticinesi) intende promuovere il prossimo 20 ottobre per incentivare i giovani a scegliere professioni nel secondario.
Il comunicato stampa nel quale l’AITI pubblicizza questa iniziativa, inserita nelle celebrazioni del 50esimo anniversario dell’associazione stessa, descrive infatti il lavoro in fabbrica come il mestiere ideale. Si può entrare in contatto con i più grandi datori di lavoro del cantone, si può scegliere tra più di 50 professioni, si può continuare a studiare e si ha anche la possibilità di girare il mondo. Insomma, conclude l’AITI, con questa giornata i giovani potranno accorgersi “come nell’industria non necessariamente ci si sporca sempre le mani, ma si possono imparare professioni interessanti, sorprendenti e con ottime possibilità di carriera”.
Sicuramente una bella operazione di immagine. Peccato che l’AITI si dimentichi di dire che nel settore secondario, e in particolare nel settore delle macchine, le condizioni di lavoro sono tutt’altro che “interessanti e sorprendenti”. Si tratta, infatti, di un settore fortemente toccato dalla crisi, dove le ristrutturazioni, le chiusure e i licenziamenti sono sempre dietro i cancelli. Un settore che in questi ultimi anni ha subito, con una ferocia impressionante, i nuovi diktat dell’organizzazione del lavoro basati sulla flessibilizzazione degli orari di lavoro e sulla precarizzazione dei contratti.
Basti pensare al famoso “accordo di crisi” ( parte integrante del contratto collettivo di lavoro firmato con i sindacati) che prevede la possibilità di aumentare l’orario di lavoro senza il pagamento dello stipendio; oppure al fatto che il lavoro temporaneo e interinale è diffuso prevalentemente proprio nel settore secondario. Un settore nel quale in questi ultimi anni si è fatto ampio ricorso al lavoro ridotto; un settore nel quale i contratti di lavoro non prevedono che raramente salari minimi e nel quale la fissazione del salario è oggetto di trattativa individuale tra datore di lavoro e dipendente, con una evidente tendenza al ribasso.
In questo senso è significativo il fatto che l’AITI stessa si sia rifiutata di firmare un accordo per un contratto normale di lavoro per l’industria che prevedeva come salario minimo la scandalosa cifra di 3.000 franchi al mese. Come a dire che per un lavoro “interessante e sorprendente” 3.000 miseri franchi sono comunque già troppi!
Senza contare che è sempre più chiara la tendenza in questo settore, come in altri, ad aumentare l’intensità del lavoro e quindi la sua pericolosità sia per quanto riguarda la salute fisica che psicologica dei dipendenti.
Di tutto questo evidentemente non si fa parola nel volantino di presentazione della giornata promossa dall’AITI. Questo non ci stupisce, ma forse non deve nemmeno stupire che non siano poi molti i giovani che scelgono di andare a lavorare nell’industria.
Sarebbe decisamente più opportuno invogliare, i giovani e i meno giovani, attraverso misure concrete che mirino al miglioramento delle condizioni di lavoro. Pensiamo, ad esempio, all’introduzione di salari minimi degni di questo nome, di orari di lavoro maggiormente regolarizzati e in sintonia con i bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici e ritmi di lavoro meno stressanti e massacranti fisicamente e psichicamente.
Sarebbe questa la migliore propaganda, piuttosto che dipingere il mondo della fabbrica come un paradiso che, alla prima verifica, rischia di somigliare molto di più ad un inferno!