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Non passa giorno senza che i salariati di questo cantone (e non solo) si sentano colpevolizzati perché, nelle scelte relative ai propri consumi, “tradirebbero” il paese andando a fare la spesa (e non solo quella alimentare) in Italia o, per chi abita in altre regioni, in altri paesi europei (Germania, Francia, ecc.).

 

Un buon cittadino, agli occhi di chi ci fa tali prediche, sarebbe invece colui che compra laddove vive, aiutando così i “commerci locali”, “facendo girare l’economia locale” e, in ultima istanza, contribuendo anche al mantenimento del proprio tenore di vita e benessere.

A farsi interpreti di queste “teorie” le associazioni padronali, quelle dei commercianti e dei grandi distributori, oltre che le autorità e, spesso, anche una parte importante dei media.

 

Un atto di legittima difesa

 

Per quale ragione i ticinesi, o un numero sempre più cospicui di essi, si sobbarcano decine e decine di chilometri per andare a fare la spesa oltre confine?

Rispondere a questa semplice domanda non è difficile. E chi tutto il giorno si occupa professionalmente del commercio, chi conosce dinamiche locali e nazionali di prezzi e consumi (come i rappresentanti della grande distribuzione) non dovrebbe avere esitazioni a rispondere in modo corretto: fare la spesa in Italia costa molto di meno che in Ticino.

Sono ormai numerosissime le inchieste condotte da più parti che dimostrano, dati alla mano, come una spesa media per una famiglia media arrivi a costare tra il 30 e il 50% in meno in una grande catena di distribuzione in Italia rispetto alla Svizzera.

Una differenza, naturalmente, che non è una novità degli ultimi anni. Da moltissimi anni ormai (praticamente a partire dagli anni ’80) fare la spesa in Italia è diventato sempre meno caro per qualcuno che lavora e vive in Ticino. Una differenza che, negli anni, è andata vieppiù aumentando perlomeno per due ragioni.

La prima, evidente, il deterioramento dell’economia italiana e l’indebolimento della sua moneta, sia nella versione lira che in quella euro.

La seconda è un’evoluzione della struttura dei prezzi nel nostro paese che, sostanzialmente, non ha conosciuto alcuna modifica verso il basso; anzi ha visto una costante diminuzione del potere d’acquisto dei salari in questi ultimi due decenni.

Nemmeno il crollo dell’euro nel cambio a  confronto del franco dell’ultimo anno ha permesso un calo significativo dei prezzi per quello che potremmo definire il “paniere dei base” delle famiglie ticinesi. Anzi, la grande distribuzione, approfittando dei maggiori costi di importazione legati alla forza del franco, ne ha approfittato per ristabilire/mantenere i margini di guadagno.

La combinazione di questi elementi ha di fatto reso la spesa in Italia come una sorta di autodifesa da parte dei salariati consumatori che vivono in Ticino, stufi di farsi svenare solo per mantenere intatti i margini di profitto della grande distribuzione.

 

Intanto ogni giorno il padronato fa shopping in Italia…

 

La  mancanza di senso patriottico con la quale si tenta di colpevolizzare i salariati/consumatori perché vanno a fare la spesa in Italia, scompare dai ragionamenti padronali quando si tratta di analizzare la loro spesa. Ed una spesa particolare che essi fanno ogni giorno: quella dell’acquisto della merce per loro più importante (perché dalla sua utilizzazione nasce il profitto): parliamo della merce forza-lavoro, la manodopera salariata.

Ebbene il padronato ticinese (industriale, commerciale, ecc.) non ha alcuna remora quando ogni giorni acquista oltre frontiera (fa la spesa) manodopera che utilizza in Svizzera. Certo, una parte di questa manodopera non può essere assunta sul mercato del lavoro cantonale perché non c’è: si tratta d’altronde di una tendenza strutturale del mercato del lavoro ticinese. Ed è anche questo che spiega come,ad esempio, la manodopera frontaliera sia in gran parte una manodopera strutturalmente inserita nel mercato del lavoro ticinese (pensiamo, ad esempio, ad un settore come quelle edile).

Ma negli ultimi anni il padronato ha deciso di fare la spesa di manodopera oltre frontiera non perché in Ticino non trovasse la necessaria manodopera; ma per la semplice ragione che oltre frontiera, complice una quasi assente regolamentazione salariale da noi, questa manodopera costa di meno.

In altre parole, da ormai diversi anni, i padroni vanno a fare la spesa di forza-lavoro in Italia per la semplice ragione che “costa meno”. Tutti i dati ce lo confermano. A cominciare, ad esempio, dall’aumento costante della manodopera frontaliera nel terziario, ed in particolare nel settore del commercio: terziario e commercio, come noto, privi di qualsiasi regolamentazione salariale.

Ed allora non si facciano alcun senso di colpa i salariati che vanno a fare la spesa in Italia solo perché non ce la fanno a tirare avanti con i salari sempre più magri pagati dal padronato – quello che cerca di colpevolizzarli. Padronato che ha in mente di pagare salari sempre più bassi, utilizzando manodopera costretta ad accettare salari sempre più bassi, con la prospettiva che la concorrenza finirà per abbassare anche quelli dei salariati di vecchia data.