Con il terzo ultimo confronto tra Obama e Romney, che i sondaggi danno al presidente uscente, la campagna entra nel vivo. A suon di annunci e impegni che nessuno potrà mai mantenere.
Terzo e ultimo dibattito televisivo tra Obama e Romney. Stesso impatto mediatico, stesse scenografie e stesso massiccio impiego di mezzi comunicativi delle precedenti occasioni. Il tema: la politica estera, ovvero la proiezione dell’impero o meglio del nuovo imperialismo americano nel mondo. Chi ha vinto stasera ? Gli analisti dei grandi network e i sondaggi improvvisati al momento dicono Obama ai punti. Chi vincerà il 6 novembre? Non si sa. Siamo ormai al completo caos dei sondaggi. Alcuni giornali e siti web, considerati anche molto autorevoli, per reggere la concorrenza delle previsioni giornaliere, si sono ridotti a fare la media aritmetica di tutti i sondaggi in circolazione a prescindere dai metodi utilizzati e dal tipo campione intervistato. Trasgredendo persino la prima regola che viene insegnata alla scuola elementare che non si possono sommare le mele con le pere. Ma tant’è. Più c’è incertezza, vera o presunta, più l’intero sistema mediatico polarizza l’attenzione e fa profitti. D’altra parte che previsioni attendibili si possono fare quando, ad oggi, il 20% dell’elettorato consolidato – quello che vota sempre – ha già espresso il proprio voto per posta o sul sito web del governo? Domanda scomoda, da non fare alla grande maggioranza delle società di rilevamento dei dati che fanno sondaggi non per prevedere ma per orientare il voto.
Andando alla sostanza del confronto televisivo, al di là delle schermaglie su Libia, Siria e Afghanistan, come si possono riassumere le due visioni di Obama e Romney della politica estera americana?
Per Obama, che ha usato più volte l’espressione ” Io sono il comandante in capo”, la leadership americana passa attraverso un forte controllo degli organismi internazionali ( Onu e Nato in testa ) e l’uso delle tecnologie militari più avanzate. In una battuta si potrebbe dire: diplomazia molto aggressiva più i droni-predator che volano nei cieli comandati a distanza.
In quanto a Romney, che nella sua continua corsa verso il centro anche questa volta ha faticato un pò a distinguersi da Obama, ha cercato di scrollarsi di dosso la lunga ombra di George W. Bush e della sua politica interventista. Non sempre c’è riuscito o più semplicemente non ha potuto per non perdere i voti dell’ala più reazionaria dell’elettorato repubblicano. In questo modo, in parte, si spiegano i suoi attacchi a testa bassa contro l’Iran, con Obama che gli faceva una lezione di strategia militare: prima di attaccare bisogna indebolire l’economia, le infrastrutture e il sistema di relazioni internazionali dell’Iran. Dopo che entrambi si sono dichiarati molto amici di Israele il dibattito ha virato sui temi economici e di politica interna con il disappunto del moderatore che non è riuscito a riportarlo sui temi di politica estera. Nulla di nuovo rispetto ai due confronti precedenti. Solo la Cina ha rianimato un pò la discussione con accuse di manipolare le quotazioni delle monete, di copiare i brevetti americani, di concorrenza sleale. Accuse lanciate da entrambi ma sempre e solo fino a un certo punto, con una grande dose di ipocrisia. La Cina con i suoi 1200 miliardi di dollari in titoli di stato americani è il principale creditore estero degli Usa. Per non contare il fatto che 6 mesi fa ha ottenuto dalla Federal Reserve l’autorizzazione a comprare direttamente i titoli americani senza passare dalla borsa di Wall Street.
Nell’ora e mezza del confronto l’Europa, i cambiamenti climatici, la possibile catastrofe ecologica, le condizioni drammatiche in cui vivono al mondo miliardi di persone semplicemente non sono esistiti. E questo la dice lunga sui due candidati che corrono per rivestire la carica istituzionale più potente al mondo. Ora la campagna elettorale entra nell’ultima fase, quella della conquista degli stati incerti a suon di promesse di miliardi di dollari, di liberalizzazioni, incentivi alle imprese, opere pubbliche faraoniche. Obama ha concluso dicendo che Bin laden è morto e la General Motor è viva, ma si è ben guardato dal dire che gli operai di Detroit stanno molto peggio. Romney ha surclassato Berlusconi promettendo 12 milioni di posti di lavoro in quattro anni senza dire come, dove e in che modo.
Occupy Wall Street in occasione di terzo confronto televisivo ha lanciato una twitter bomb, con centinaia di migliaia di messaggi, contro entrambi i candidati denunciando il Ndaa- National Defense Authorization Act – la legge modificata e rifinanziata il 31 dicembre dello scorso anno, con il sostegno sia di Obama che Romney, che prevede la possibilità di arrestare qualsiasi cittadino di qualsiasi paese (compresi gli Usa) in qualsiasi luogo del pianeta, senza mandato, senza limiti temporali e geografici della detenzione che a giudizio del governo americano attenti alla sicurezza nazionale o dell’esercito statunitense. E, sempre dal punto di vista dei diritti, non va certamente meglio sul fronte interno. Ad esempio sono già 25 le persone uccise, dall’inizio dell’anno, dalla polizia di New York grazie ai poteri straordinari che le derivano dalla campagna “Stop and Frisk” ( controlla e perquisisci). Il 22 ottobre non era solo il giorno del terzo dibattito tra i due candidati alla presidenza ma anche la 17esima giornata nazionale di protesta contro la repressione e la brutalità della polizia. Perchè negli Stati Uniti siamo ormai di fronte non tanto a una dichiarata ed esplicita violazione dei principi di libertà che stanno alla base della Costituzione americana ma ad una loro sospensione temporanea, mediante leggi ordinarie, che tende a diventare definitiva. Attardarsi e concentrarsi solo a difendere valori e diritti costituzionali ormai completamente formali e svuotati non pare essere il modo migliore per mantenere e allargare gli spazi di una democrazia sempre più spettacolarizzata e irriconoscibile. Anche di questo si discute nel movimento Occupy.
*Tratto dal sito http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it/