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Oramai è diventata una sorta di premessa alla quale nessuno può sottrarsi: bisogna lottare contro il dumping salariale che si sta manifestando in modo chiaro nel nostro cantone. Ma, fatta questa premessa, la maggior parte di coloro che la pronunciano seguono poi due strade altamente inefficaci per combattere il dumping.

 

La maggioranza si distingue per la sua totale inazione. Rientrano in questo ambito le attività (si fa per dire visto che non fanno nulla) della maggioranza di partiti come UDC, PPD, Lega e PLRT: pronti a denunciare i casi di dumping ma poi, al momento di passare all’azione, al momento di fare proposte concrete per combattere questo dumping, brillano per il loro silenzio. Potremmo dimostrare questo nostro giudizio ponendo, pubblicamente, questa semplice domanda: quali sono le proposte di questi partiti per combattere un fenomeno che, ogni tanto, si ricordano di denunciare?

Un  secondo gruppo è formato da coloro che proposte concrete ne fanno. Ma queste proposte rischiano di avere l’effetto contrario. Non solo non servono a bloccare il dumping (e non serviranno, visto che si tratta di misure in fase di approvazione definitiva e non ancora operative) , ma di fatto lo favoriscono.

Ci riferiamo qui ai contratti normali di lavoro (che dovranno essere ancora pubblicati ufficialmente prima di entrare in vigore) che il governo, su proposta della commissione tripartita, ha adottato, fissando in questo modo dei salari minimi e un orario di lavoro di riferimento.

Come abbiamo scritto negli ultimi numeri del giornale questi salari minimi (che toccano due settori industriali e i negozi del settore della vendita che occupano meno di dieci addetti) sono stati fissati attorno ai 3’000 franchi. Questo limite è diventato di fatto la barra al di sotto della quale si considera che siamo in presenza di dumping salariale. Abbiamo dimostrato (pubblicando i dati relativi ai salari mediani) come questo salario minimo legale sia ben al di sotto del salario mediano (cioè il salario che divide esattamente in due l’insieme dei salariati) dei rispettivi settori.

In questo modo è assai prevedibile che, a medio termine, questo limite di ‘3000 franchi rappresenti un potente elemento di attrazione per i salari ad esso superiori (e sono la stragrande maggioranza). In questo modo il salario minimo che pretende di combattere il dumping in realtà sospinge verso il basso i salari più alti (è questo il dumping).

È la stessa dinamica che si rischia di avere a livello nazionale con la proposta sindacale di fissare un salario minimo a 4’000 franchi. Un salario che, se fissato quale soglia minima, sarebbe estremamente interessante per il Ticino, ma che, a livello nazionale, rischia di avere lo stesso effetto dei 3’000 franchi a livello cantonale. Per questo, già al momento del lancio, abbiamo fortemente criticato questa iniziativa che rischia di favorire il dumping, non di combatterlo.

Ci si dirà che a favore di queste proposte milita la forte opposizione padronale. È vero i padroni sono fortemente contrari sia all’iniziativa nazionale, sia alle decisioni del governo di introdurre i salari minimi di 3’000 franchi (nei tre settori indicati). Ma la opposizione padronale non verte sul limite proposto. L’opposizione padronale è un’opposizione ideologica, di principio, contraria a qualsiasi regolamentazione dei salari. Oggi sostengono che non è lo Stato a dover fissare i salari per legge, ma che lo si deve fare attraverso contratti collettivi di lavoro. E domani  saranno pronti a dire che i contratti collettivi di lavoro sono delle inutili rigidità che penalizzano l’attività imprenditoriale. D’altronde il fatto che solo un terzo dei lavoratori di questo paese sia sottoposto ad un CCL e che una minoranza di questo terzo possa contare su salari minimi obbligatori, testimonia della scarsissima affidabilità delle posizioni padronali.

Sì quindi a salari minimi legali, ma non certo a salari minimi di 3’000 franchi che non fanno altro che contribuire allo sviluppo del dumping salariale.

 

Come volevasi dimostrare

 

Che le cose potessero andare proprio così e che le cosiddette misure di accompagnamento avrebbero potuto aprire la strada non alla lotta contro il dumping ma al suo rafforzamento, lo avevamo previsto da tempo. E avevamo compreso che proprio attorno al limite dei minimi salari fissati nei contratti collettivi si sarebbe giocata una importante partita.  Lo testimonia la mozione che il nostro deputato Matteo Pronzini aveva depositato più di un anno e mezzo fa (30 maggio 2011, tuttora inevasa, malgrado il limite previsto sia quello dei sei mesi: dopo si arrabbiano perché Pronzini si rivolge ad altre istanze – come la magistratura – di fronte ad un palese atteggiamento dilatorio da parte delle autorità politiche).

In questa mozione Pronzini propone al Gran Consiglio di invitare i rappresentati del cantone in seno alla commissione tripartita (nonché il governo) ad adottare il limite di 4’000 franchi al mese (per 13 mensilità e per 40 ore settimanali) quale riferimento per la stipulazione di contratti normali e di salari minimi legali. Qui di seguito pubblichiamo il testo della mozione (Red).

 

Premessa

 

Il recente rapporto del Segretariato di stato all’economia (SECO) conferma, qualora ve ne fosse stato ancora bisogno, che il dumping salariale e sociale avanza, inesorabilmente, in tutta la Svizzera. Il tema ormai è tornato ad essere al centro del dibattito politico come ai tempi delle diverse votazioni sugli accordi bilaterali.

Il rapporto sottolinea come si assista a importanti fenomeni di dumping salariale nei settori e nelle aziende sottoposte a un contratto collettivo di lavoro (CCL); settori ed aziende che, come noto, rappresentano una minoranza della manodopera occupata in questo paese.

Vi è quindi da temere che nei settori nei quali non esistono regole minime da rispettare (cioè salari minimi legali o contrattuali dichiarati di obbligatorietà generale) le cose vadano molto peggio.

Affermiamo questo sulla base di indizi che possono essere rilevati in modo empirico e che, almeno per il momento, non possono essere confermati (per assenza di strumenti di rilevazione oggettiva) da dati statisticamente affidabili.

Facciamo riferimento, ad esempio, al forte aumento della presenza di manodopera frontaliera, per quel che riguarda il nostro cantone, nel settore del commercio, così come, più in generale, in tutto

il settore impiegatizio e terziario. Settori nei quali vi è manodopera indigena abbondante (il settore degli impiegati di vendita e del commercio è da sempre uno dei più esposti al fenomeno della disoccupazione) e per i quali sono necessarie competenze e qualifiche professionali (a cominciare

da quelle linguistiche) ampiamente rintracciabili e disponibili in Ticino.

La spiegazione fondamentale di questo aumento di personale proveniente dall’estero ci pare abbastanza evidente: la volontà del padronato di poter disporre di manodopera meno cara, più disponibile, meno    legata al territorio, al luogo di lavoro e quindi meno preoccupata di costruire un legame tra il salario percepito ed il potere di acquisto di questo salario sul territorio cantonale.

Senza dimenticare che questa strategia padronale ha come obiettivo atomizzare, dividere i salariati; creare cioè delle “barriere” etniche e nazionali che impediscano di costruire qualsiasi solidarietà. Lavoratori e lavoratrici per i quali il luogo di lavoro è totalmente staccato dal luogo in cui conducono la propria vita (dove abitano, dove hanno le loro   relazioni sociali e culturali). Questo elemento diventa fondamentale per poter realizzare i propri progetti produttivi e di redditività del capitale.

Appare quindi necessario agire su più piani.

L’MPS pensa che sia fondamentale un’azione sul terreno; tentare di costruire mobilitazioni sui luoghi di lavoro, contro il dumping salariale e sociale, contro le divisioni reali o indotte: tutto questo dovrebbe rappresentare il compito prioritario, ad esempio, di organizzazioni dei lavoratori

all’altezza della situazione.

Vi è poi la necessità di una pressione sociale e politica costante. Anche su questo terreno l’MPS si impegnerà per promuovere una mobilitazione sociale e politica di tutti coloro che vogliono combattere il dumping salariale e sociale.

Infine vi è la necessità di un intervento anche a livello istituzionale, introducendo strumenti, misure e regolamentazioni che permettano, in qualche modo, di attaccare anche sul piano legale il fenomeno del dumping salariale e sociale.

Altri atti parlamentari:

– iniziativa elaborata 30.05.2011 “Modifica dell’art. 24 della legge sulle commesse pubbliche”

– iniziativa generica 30.05.2011 “Legge cantonale di controllo e gestione del mercato del lavoro”

– iniziativa generica 30.05.2011 “Creazione di un Registro delle infrazioni del lavoro” sono da considerarsi come atti autonomi, ma scaturenti dalla stessa premessa sopra sviluppata e vengono inoltrati proprio per concretizzare questo ultimo punto.

In Ticino sono in vigore diversi contratti normali di lavoro (CNL). I più importanti esistono da molti anni (ad esempio nel settore agricolo e in quello della vendita). Altri CNL, che concernono un numero più limitato di persone, sono più recenti. Essi sono i seguenti: Contratto normale di lavoro

per il personale dell’agricoltura, Contratto normale di lavoro per il personale domestico, Contratto normale di lavoro per giovani alla pari, Contratto normale di lavoro per il personale di vendita al

dettaglio e Contratto normale di lavoro per i saloni di bellezza.

Le condizioni fissate in questi contratti sono ben al di sotto del limite che si può ipotizzare per un salario in grado di permettere di vivere, in Ticino, in modo dignitoso. Abbiamo individuato questo salario minimo in un salario mensile lordo di 4’000 franchi per 13 mensilità (sulla base di 40 ore

settimanali). È questa d’altronde la proposta che avevamo formulato nell’iniziativa popolare cantonale ritenuta irricevibile dal Gran Consiglio nel 2008.

Da più parti si invocano misure concrete contro il dumping salariale. Noi pensiamo che il Governo debba mostrare la propria volontà di agire su questo tema contribuendo in modo deciso a fissare regole chiare alle quali attenersi in tutti gli atti che lo coinvolgono in materia salariale; è il caso, per l’appunto, della stipulazione di contratti normali di lavoro.

 

Alla luce di queste considerazioni si chiede al Governo di:

 

1. attuare tutti i passi necessari per adeguare, entro fine 2011, i salari minimi fissati in tutti i contratti normali di lavoro cantonali ai parametri summenzionati: 4’000.- franchi mensili per 13 mensilità per un orario settimanale base di 40 ore (a dipendenza dell’orario di lavoro fissato in ogni singolo settore il salario minimo di riferimento varierà);

2. attenersi ai parametri summenzionati nel caso in cui decidesse (di propria iniziativa o su richiesta di altri attori – organizzazioni sindacali, commissioni tripartite, associazioni padronali,

ecc.) di promulgare altri contratti normali di lavoro.