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L’annuncio da parte di alcuni collegi dei docenti di voler cominciare subito con azioni di protesta ha sollevato tutta una serie di obiezioni.

 

I docenti del Liceo di Lugano e quelli delle scuole Medie di Viganello (i primi hanno sospeso la loro partecipazione alle gite scolastiche, i secondi gli incontri con i genitori) sono stati accusati (con commenti, lettere, comunicati) di «strumentalizzare» gli allievi a fini politici.

Alla base di questo massiccio attacco vi è un’idea che da tempo ormai circolare e si rafforza, spesso con la complicità degli stessi responsabili politici. E l’idea di fondo, alla base di questo attacco, è quella che vede il lavoro del docente ridursi alle ore di lezione in classe, al massimo al tempo consacrato alle mitiche *correzioni».

Gabriele Gendotti, nel difendere l’aumento dell’orario di lavoro per i docenti nel 2005,  aveva dato un contributo non secondario a rafforzare questa idea, arrivando a paragonare le 23/24 ore di «lavoro» degli insegnanti a quelle di altre categorie (tutte, naturalmente, oltre le 40 ore).

Per questo vale la pena ribadire, e sarà necessario fare un profondo lavoro in questa direzione, che il lavoro del docente non si limita alle ore di lezione, né tantomeno al solo tempo dedicato alle correzioni. Vi sono altri tempi importanti dedicati all’attività scolastica. Pensiamo al lavoro di preparazione delle lezioni e del materiale relativo; alle attività istituzionali previste dai diversi regolamenti (consiglio di classe, giudizi, riunioni di materia, colloqui con i genitori, uscite di studio, uscite scolastiche). Molte di queste attività, pensiamo visto che siamo in tema alle gite scolastiche, necessitano spesso un lungo e paziente lavoro organizzativo  (organizzazione del programma, allestimento dei preventivi, organizzazione del viaggio, informazione degli studenti e delle famiglie, ecc.). Si tratta quindi di lavoro vero e proprio.

A capire almeno questo è l’attuale ministro della scuola Manuele Bertoli che, nel prendere posizione, sulla decisione dei docenti di Viganello di sospendere gli incontri con i genitori, ricorda che «tali attività sono considerate parte integrante dell’onere lavorativo del docente».

A questo punto però il nostro  Bertoli cade malamente, rimproverando ai docenti di Viganello la loro decisione, poiché «controproducente».

Ora delle due cose l’una: o queste attività, come le ore di lezione, sono lavoro e come tale possono essere oggetto di protesta da parte di chi lavora; oppure non lo sono e il discorso è chiuso.

Nelle prossimi settimane i dipendenti cantonali e quindi anche i docenti sciopereranno. Si asterranno cioè dal lavoro. Nella scuola, ad esempio, astenendosi dalle ore di lezione, faranno cadere anche le ore di recupero, sicuramente molto utili agli allievi in difficoltà. Verranno allora accusati di essere insensibili alla sorte degli allievi più deboli?

La realtà è invece molto più semplice. I salariati non hanno  arma più efficace di quella legata al loro lavoro, nei suoi diversi aspetti. Devono quindi punta su di quella e esercitare la giusta pressione se vogliono ottenere qualcosa. E questo vale, naturalmente, anche per gli insegnanti.

Certo, si può discutere su quale aspetto della protesta puntare (astenersi dalle lezioni o da altre attività lavorative). I docenti di Lugano e di Viganello hanno cominciato da queste ultime. Si può discuterne dal punto di vista dell’efficacia, ma è un loro sacrosanto diritto.

E non crediamo che Bertoli volesse sollevare un problema di tattica sindacale (è giusto scioperare, ma fatelo in modo diverso…).

Lui ritiene che sia meglio non farlo del tutto.

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