Pubblichiamo qui di seguito l’editoriale dell’ultimo numero di Solidarietà (nro 19 del 15 novembre 2012).
La giornata del 14 novembre ha visto, per la prima volta dopo molti anni, la convergenza di manifestazioni, azioni, proteste in diversi paesi europei. La scadenza è nata da un appello, invero assai moderato della Centrale sindacale europea (cfr. il dossier pubblicato sull’ultimo numero di Solidarietà) che voleva in questo modo protestare contro l’adozione del Patto di bilancio europeo (cioè il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, anche chiamato Fiscal compact).
Naturalmente agli occhi della CES questa giornata di “protesta” non doveva avere che un valore simbolico; e simboliche erano le azioni previste (presenze davanti alle sedi istituzionali, meeting, ecc.). Ma, complice la dinamica della crisi e le politiche di austerità che, a livelli dei diversi paesi europei, stanno di fatto realizzando la messa in pratica di questo trattato, in una serie di paesi sono state le organizzazioni sindacali membri della stessa CES a spingersi più in là.
Abbiamo così avuto grandi manifestazioni sindacali e fermate del lavoro importanti (anche se non proprio degli scioperi generali come proclamato all’inizio) in alcuni paesi , colpiti da feroci politiche di austerità come il Portogallo, la Grecia e la Spagna. Qualche manifestazione e fermata del lavoro in paesi come l’Italia, la Francia, il Belgio. Qualche azioni eminentemente simbolica in paesi come il nostro.
Al centro di queste proteste le politiche di austerità condotte a livello europeo sotto la guida della ormai famigerata Troika composta dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Le misure di austerità varate in nome delle direttive (approvate dai governi degli stati nazionali – non dimentichiamolo mai, di fronte a quelli che amano ripetere che “è Bruxelles che ha deciso”) e che vanno a colpire i salari e le pensioni, peggiorano condizioni di lavoro, riducendo fortemente la spesa pubblica. Colpiscono in modo potente il potere d’acquisto di salariati e pensionati, contribuendo in questo modo a ad aumentare la miseria e la povertà. Si contano ormai a milioni e sono in forte aumento le persone che vivono in situazioni di estrema povertà (non la povertà “tradizionale” misurata, negli ultimi anni, riferendosi a condizioni reddituali al di sotto di una certa “soglia”. No, qui si tratta di milioni di persone che in paesi come la Spagna, l’Italia, la Grecia e altrove conducono una lotta giornaliera per sopravvivere, anche qui da intendersi non in senso generico, ma in senso quasi letterale: cioè trovare tutti i giorni da mangiare.
Inutile aggiungere poi, è diventata un’evidenza per tutti coloro che vogliono vedere, che queste politiche di austerità non solo aggravano i problemi della popolazione, ma aggravano la situazione economica generale, spingendo le economie capitaliste verso dinamiche recessive e depressive. E chi spinge in questa direzione lo sa benissimo. Ma sa altrettanto bene che è questa l’unica strada per mantenere livelli di profitto adeguati per finanziarie, capitalisti e tutti coloro che vogliono difendere privilegi e patrimoni.
Naturalmente il contributo di questo 14 novembre ad una modificazione dei rapporti di forza sociali e politici è stato assai modesto. Anche perché i dirigenti sindacali che hanno promosso queste manifestazioni puntano su altre vie, quelle politico-istituzionali, per modificare le situazioni. Oppure, semplicemente, per avere altri governi che per finire, come abbiamo visto e come stiamo vedendo, portano avanti politiche che hanno lo stesso segno.
Ma il 14 novembre ha avuto un’eco maggiore di quanto non si pensava. Perché la “tranquilla” giornata di protesta ha assunto i toni di una contestazione robusta delle politiche di austerità e dei governi che le impongono, qualsiasi sia il loro “colore” politico ufficiale. Questo è stato possibile grazie alle spinte dal basso che in diversi paesi hanno obbligato le direzioni sindacali ad andare più in là di quanto non volessero.
È un piccolo passo avanti, un piccolo incoraggiante successo sulla strada della costruzione di un movimento di alternativa politica e sociale, ispirato ad un sempre più necessario paradigma europeo. È questa la direzione nella quale devono impegnarsi tutti coloro che vogliono costruire un’alternativa al capitalismo reale.