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Alla fine si sono messi tutti d’accordo. L’accettazione di un paio di richieste sindacali da parte della commissione della gestione ha spinto tutti i maggiori partiti (tranne la Lega che da sempre agita la questione della cassa pensione contro i dipendenti cantonali) a sostenere la “riforma” della cassa pensione. Anzi, a farsi promotori attivi di questo cambiamento, i rappresentanti del fronte “rosso-verde”, con in testa Sergio Savoia, relatore per la commissione della gestione.

 

Commedia degli inganni perfetta quella interpretata da Savoia. Da un lato pugnace nel difendere il salario di funzionari e docenti contro il taglio del 2%; dall’altro portavoce attivo di una “riforma” della cassa pensione che taglierà il salario di funzionari e docenti (perché la pensione altro non è che salario…) in ben altra misura…

Contenti anche i sindacati che, dopo aver fatto la voce grossa – neanche tanto, alla fine hanno deciso di soprassedere. Ed hanno aggiunto questa sconfitta di grande portata alle sconfitte parziali accumulate negli scorsi anni, quasi sempre senza reagire, convinti che quei cedimenti avrebbero permesso di salvare l’essenziale, cioè evitare quello che oggi, invece, sta succedendo, attraverso il passaggio di sistema, dal primato delle   prestazioni a quello dei contributi.

 

Una discussione squisitamente politica

 

La prima considerazione da fare attorno alle cosiddette difficoltà della cassa pensione dei dipendenti del Cantone è che si tratta di un esito legato a scelte squisitamente politiche.

A cominciare dal mitico tasso di copertura. Che, come abbiamo visto negli ultimi anni, è tutto meno che qualcosa che si possa definire in termini tecnici, matematici, attuariali o qualsiasi altro termine si voglia invocare.  Basti pensare che, per qualche anno, tutta la discussione si è incentrata su un tasso di copertura del 100%. Discussioni, progetti, modelli, proposte: tutto partendo che questo doveva essere il punto di riferimento fondamentale che avrebbe garantito la soluzione di tutti i problemi. E questo, evidentemente, sulla base di criteri che il mondo politico ci presentava come tecnicamente necessari. Poi, ci hanno pensato le camere federali a ricordarci come questo criterio sia per molti aspetti un dato eminentemente politico, decidente che per le casse pensioni pubbliche il tasso di copertura poteva essere dell’80%. Anche qui con le sue brave giustificazioni “tecniche”.

Ora potremmo citare tutta una serie di studi, e di esperti tutt’altro che sprovveduti, che ci spiegano come  anche con un tasso di copertura del 60% una cassa pensione pubblica potrebbe benissimo funzionare a lungo termine e rispondere ai propri compiti. Scegliere un tasso di copertura ed imporlo serve solo per un progetto politico chiaro: diminuire le prestazioni a lungo termine della cassa pensione. Ed è proprio quello che succede con la “riforma” che il Gran Consiglio si appresta ad approvare.

 

Gli elementi della “crisi”

 

Detto questo non vi sono dubbi che la situazione finanziaria della cassa pensione sia oggi peggiore di quanto non lo fosse vent’anni fa. Un semplice sguardo all’aumento del deficit lo conferma. Ma tutto questo non è stato causato, se non in minima parte, da meccanismi “tecnici”, quali, ad esempio, il continuamente invocato mutamente del rapporto tra coloro che contribuiscono e coloro che percepiscono delle prestazioni. Certo, è un elemento presente, ma che non spiega assolutamente le difficoltà.

Le ragioni sono altre e vanno ricercate in una serie di scelte effettuate sia dal datore di lavoro (Cantone) sia dalla cassa stessa.

Il primo elemento è da individuare nella politica di finanziamento del Cantone che, storicamente, aveva nella Cassa pensione del Cantone uno dei suoi finanziatori che remunerava con un tasso “politico” (non necessariamente sempre più alto del mercato). Questa prassi è venuta meno a partire dagli anni ’90, quando si decise che lo Stato doveva rivolgersi al mercato per scontare tassi di interesse più bassi. In questo modo certo lo Stato ha ottenuto tassi di interesse più bassi, spostando tuttavia una parte delle sue uscite al di fuori del circuito stesso dello Stato. Infatti la remunerazione della cassa pensione evitava (e così è stato per lungo tempo) al cantone datore di lavoro di dover immettere altri soldi per finanziare la propria quota. Senza dimenticare che andando a finanziarsi sul mercato un parte delle risorse dello Stato uscivano dal circuito statale stesso per andare a remunerare i detentori privati del debito cantonale.

Una seconda ragione è da individuare nella politica seguita dal Cantone in questi ultimi vent’anni. Una politica, come abbiamo avuto modo di dire, che ha depresso i salari sia dal punto di vista della loro evoluzione complessiva, sia dal punto di vista della loro valorizzazione. Non si contano le misure di contenimento salariale che in questi anni hanno visto stagnare i versamenti dei contributi alla cassa pensione; così come una politica di contenimento del personale ha fatto pressione nella stessa direzione. Tutto questo, a lungo termine, non poteva non riverberarsi sulle entrate provenienti dai contributi, vero e proprio “polmone” di qualsiasi cassa pensione.

Infine non possiamo dimenticare il sostanziale fallimento di quella che dovrebbe essere la politica di una cassa pensione fondata comunque sul principio della capitalizzazione, cioè sull’idea che è il rendimento sul mercato dei capitali degli averi della cassa a garantire, sul lungo termine, la continuità del finanziamento delle prestazioni. Ebbene il mercato, alla prova dei fatti, ha dimostrato di non essere quella straordinaria occasione di valorizzazione del capitale che spesso ci è stata vantata. Non solo infatti molti anni mostrano un rendimento assolutamente misero, ma l’analisi dei rendimenti negli ultimi vent’anni mostra benissimo quei picchi di rendimento negativo (l’ultimo nel 2008, il penultimo nel 2001) in concomitanza con lo scoppio di alcune bolle speculative.

 

Prospettive inquietanti per i salariati

 

È alla luce di queste considerazioni che va avviata la discussione attorno alla situazione della Cassa pensione. E tenendo conto di questi fattori non possiamo non vedere come sia responsabilità delle forze politiche di governo l’attuale situazione della cassa, in particolare attraverso le scelte relative alla politica del personale, al finanziamento dell’ente pubblico, alla politica di investimenti della cassa stessa (su quest’ultimo punto vi è naturalmente anche la responsabilità di chi ha rappresentato gli assicurati senza opporsi ad una certa politica di investimenti).

Le prospettive future appaiono tutt’altro che rassicuranti dal punto di vista delle prestazioni. In particolare poiché alcuni elementi alla base delle proiezioni future sono tutt’altro che acquisiti. Infatti il nuovo meccanismi di funzionamento della cassa seguirà grosso modo quello di base della Legge federale. Le rendite saranno così sostanzialmente determinate dalla evoluzione di parametri quali il tasso di remunerazione del capitale e il tasso di conversione.

Ancora una volta siamo confrontati con elementi che vengono fissati sulla base di decisioni d’ordine politico che poggiano su elementi apparentemente di tipo «tecnico» (rendimenti medi dei mercati, evoluzione della speranza di vita, ecc.).

Non vi sono dubbi che le attuali promesse (ad esempio remunerazione del capitale, negli anni futuri, del 3-4%) siano semplice polvere negli occhi.

Questa riforma porterà invece, nello spazio di un paio di decenni, a rendite più basse nella misure del 20-30% rispetto a quelle attuali. Un sconfitta di proporzioni storiche per i dipendenti del cantone e per tutti i salariati.

Ed è per queste considerazioni  che la “riforma” proposta va assolutamente rigettata. Ed è quello che farò, per quel che vale, con il mio voto di opposizione in Gran Consiglio