Il ruolo delle principali confederazioni è molto importante per il successo di Obama. Ma pesa la crisi di iscritti e di ruolo che i lavoratori statunitensi vivono ormai da anni.
Quale tipo di campagna, per le elezioni presidenziali, stanno conducendo i principali sindacati americani? Nella grande maggioranza dei casi il sostegno va a Obama, la tradizionale collocazione nell’orbita del Partito Democratico continua a prevalere, ma questo non significa che a livello sindacale si condividano i medesimi obiettivi. Anche solo per il semplice motivo che le prossime elezioni americane del 6 novembre non riguardano solo la Presidenza. Nello stesso giorno si eleggono l’intera Camera dei Rappresentanti, un terzo del Senato, una decina di Governatori dei singoli stati e non è detto che gli interessi delle varie lobbies sindacali, locali e nazionali, coincidano sempre. E i conti si fanno spesso con le forze reali sul campo, guardando la reciproca consistenza.
Come prima cosa bisogna dire che il tasso di sindacalizzazione negli Usa è in continua diminuzione. Gli ultimi dati disponibili parlano di un 11% di lavoratori iscritti a un sindacato (circa il 7 % nel settore privato e il 35% in quello pubblico ). Le cause di questo declino, che sembra inarrestabile, sono molteplici. Vanno dalla profondità dell’attacco ai diritti e alla condizioni di lavoro negli ultimi due decenni di neoliberismo bipartisan, al fallimento del tentativo di “riforma democratica” dei sindacati della fine anni ’90, alla scissione della Federazione nazionale dei sindacati del 2005, all’accentuazione dell’approccio corporativo delle singole categorie per arrivare all’attuale progressiva frammentazione dovuta essenzialmente all’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti ed a una gestione autoritaria, quasi di tipo imprenditoriale, delle strutture sindacali. A tutto questo si deve aggiungere che generalmente le quote di iscrizione a un sindacato sono insostenibili per dei lavoratori precari, i dati ufficiali dicono il 30% della forza-lavoro ma se si adottassero parametri e criteri di calcolo “europei” la percentuale raddoppierebbe.
La Union Auto Workers, 380 mila iscritti attivi e 600 mila pensionati, è lo storico sindacato dei lavoratori dell’industria dell’auto che ha dovuto far fronte all’emorragia di iscritti ed alla consistente perdita di valore dei propri fondi pensione alla Borsa di Wall Street con un massiccio reclutamento di iscritti che nulla hanno a vedere con la produzione di auto o di macchine operatrici. Oggi si contano decine di migliaia di iscritti che sono insegnanti, lavoratori del pubblico impiego, dell’università, della sanità e persino dei Casinò. Tra i lavoratori delle tre grandi industrie dell’auto, Ford, General Motor e Chrysler da anni la UAW non gode più di buona fama visti gli ultimi contratti che hanno significato una perdita secca di salario, diritti e occupazione. E i referendum, solo tra gli iscritti perché gli altri lavoratori non contano, per approvare i contratti sono stati più simili a una truffa organizzata che a una pratica democratica. Infatti nell’ultimo referendum sul contratto dell’auto è stato superato a malapena il 55% dei consensi. La UAW è probabilmente il sindacato più esposto nella campagna pro-Obama in tutti i sensi. Ha distribuito alcuni milioni di copie di un opuscolo in cui il messaggio centrale è : non sono elezioni in cui si confrontano i Democratici con i Repubblicani ma una lotta tra il giusto e lo sbagliato. Ha mobilitato i propri funzionari nelle phone-bank, luoghi in cui si concentrano i sostenitori di Obama a telefonare, inviare mail e tweet agli elettori indecisi. Per non dire dell’immagine che si vuole veicolare a tutti i costi e cioè quella di un’industria dell’auto compatta, dai lavoratori ai consigli di amministrazione, dietro il Presidente nella battaglia del bene contro il male, dove quest’ultimo comprende anche i produttori di auto cinesi.
La International Brotherwood of Elettrical Workers ha 700 mila iscritti tra i lavoratori della produzione di energia, delle costruzioni, delle telecomunicazioni, delle ferrovie e dei ministeri. Per contrastare la diminuzione degli iscritti, come l’UAW, ha aperto le porte ad altre categorie tanto che risulta difficile dire che sia ancora il sindacato degli elettrici. Come del resto ha lo stesso approccio dell’UAW nella gestione delle relazioni sindacali e nella campagna elettorale.
La Service Employees International Union, due milioni e 100 mila iscritti tra il pubblico impiego, la sanità, gli addetti alle pulizie, gli autisti di bus ha anticipato tutti dichiarando il sostegno a Obama già nel novembre dello scorso anno alla fine di una delle più grandi manifestazioni di Occupy Wall Street, anche con lo scopo di condizionare il movimento. E’ l’organizzazione sindacale più in sintonia con la burocrazia politico-amministrativa Democratica, tanto che molte volte si fa fatica a tracciare i confini tra le due. Nell’ultimo anno ha impegnato funzionari e risorse per costruire un’area moderata nel movimento Occupy cercando di stabilire un ponte con il Partito Democratico. Non è un caso che lo slogan della SEIU, in questa campagna presidenziale, sia: “Le nostre voci e le nostre scelte per una politica del lavoro per il 99%”. Il piccolo particolare che la SEIU fa finta di non conoscere è che una politica del lavoro per un sindacato passa attraverso anche momenti di conflittualità come gli scioperi, completamente vietati nel settore pubblico. Se non si può scioperare – è previsto addirittura l’arresto – quali sono i luoghi e le forme di trattativa concessi? Sono i tavoli, nelle atmosfere rarefatte degli ultimi piani dei grattacieli di Manhattan, tra burocrati sindacali e burocrati dell’Amministrazione, tutti Democratici ovviamente. Due anni fa la SEIU ha azzerato tutti i comitati degli iscritti perché si erano viste timide richieste di controllo e democrazia. I dati non ufficiali la indicano come il maggior sponsor sindacale nella raccolta di fondi per Obama. Da qui, probabilmente, provengono la maggioranza delle donazioni sotto i 200 dollari spacciate come iniziative spontanee dell’elettorato di Obama. Insomma, a un’immagine “movimentista” corrisponde una struttura fortemente accentrata e autoritaria con interessi politici consolidati.
L’American Federation of Teachers, un milione e 250 mila iscritti attivi e 300 mila pensionati tra insegnanti, personale tecnico-amministrativo della scuola e infermieri. Anche nella campagna elettorale del AFT arriva l’eco del movimento Occupy. La principale critica che viene fatta a Romney è di voler privatizzare l’educazione a favore del 1%. Ciò che lascia perplessi, si fa per dire, è che non si è contrari alle privatizzazioni se queste sono a favore del 99%. Come questo sia possibile non viene spiegato. La campagna per Obama ha un taglio soprattutto ideologico. Gli insegnanti devono riconquistare un’autorevolezza e un rispetto sociale perduti al contrario degli agenti di polizia e dei vigili del fuoco e Obama è la principale risorsa disponibile. Non conta se l’attuale Presidente ha ulteriormente tagliato i fondi per la scuola pubblica che in molte zone del paese versa in uno stato di degrado dovuto a una didattica che ha come unico scopo il traghettamento (verso dove?) degli studenti nel minor tempo e con i minor costi possibili. Ma nel caso del AFT l’ideologia acceca e ad Obama viene accreditato il merito di aver “creato o salvato” 300 mila posti di lavoro nella scuola pubblica, un proseguimento – dichiarazione testuale – del sogno americano. Dove questo sia avvenuto non è dato sapere. Non sicuramente a Chicago dove un sindacato locale di insegnanti, la CTU con 30 mila iscritti, in settembre ha proclamato nove giorni consecutivi di sciopero – considerato illegale pure dall’AFT- anche contro i tagli all’occupazione nella scuola pubblica voluti dal sindaco democratico Emanuel, tra i principali sostenitori di Obama.
Infine la National Education Association, con 3 milioni e 200 mila iscritti tra gli insegnanti, docenti universitari, personale tecnico e studenti in procinto di diventare insegnanti. E’ il maggior sindacato americano. Il più articolato dal punto di vista della composizione politica perché al suo interno sono presenti settori organizzati di lavoratori di fede repubblicana che fanno campagna per Romney. Qui non c’è stata, fin dall’inizio, l’esplicita mobilitazione degli iscritti a sostegno di Obama, è stata adottata una strategia di convinzione più sottile ma non meno incisiva. Per mesi sul sito web, nelle pubblicazioni ufficiali, nei convegni e nelle assemblee con gli iscritti si sono messe a confronto le due proposte in materia di educazione di Obama e Romney, facendo sfoggio di un atteggiamento pragmatico: “che cos’è meglio per il personale educativo della scuola e dell’Università ?” Una pantomima durata un pò di tempo, mai andata oltre vaghe dichiarazioni di principio sulla scuola di qualità, non importa se pubblica o privata, e mai entrata nei risvolti concreti delle reali conseguenze dei programmi dei due candidati, in gran parte indistinguibili. La settimana scorsa la conclusione del lungo dibattito interno con la pubblicazione del numero autunnale della rivista sindacale, distribuita in 5 o 6 milioni di copie, che in copertina riportava un appello a sostegno di Obama da parte degli Educatori per Obama della National Education Association. In poche parole il gruppo dirigente del sindacato per mantenere una neutralità formale ha creato un’associazione a sostegno di Obama che si richiama al sindacato stesso e fa uso dei suoi strumenti di stampa e dei siti web nazionali ed ha sborsato 13 milioni di dollari per la campagna di Obama e di altri deputati e senatori democratici.
Certo, Obama ha bisogno anche dei sindacati per essere rieletto. Ma i sindacati hanno ancor più bisogno di Obama per continuare a svolgere un ruolo riconosciuto e istituzionalizzato, allontanando il più possibile il terrore di una qualsiasi forma di autorganizazione del conflitto da parte dei lavoratori. Lo sciopero generale autorganizzato a Oakland lo scorso novembre e il blocco dei porti della West Coast il mese successivo ad opera di Occupy sono ancora argomenti di suscitano paura e riprovazione negli apparati sindacali. Aggrapparsi a Obama è il modo per perpetuare quella sorta di concertazione ingabbiata che in fondo è una garanzia alla riproduzione dei gruppi dirigenti e al controllo della rappresentanza dei lavoratori. Ed anche una salvaguardia delle strutture organizzative e finanziarie dei sindacati. Preoccupa parecchio una possibile vittoria di Romney perché significherebbe un’ipoteca, non tanto per le condizioni di vita dei lavoratori scarsamente prese in considerazione, ma sul funzionamento della “macchina sindacale” e delle società finanziarie annesse e connesse.
Tratto da www.ilmegafonoquotidiano.globalist.it