La recente conferenza stampa di Laura Sadis ha avuto perlomeno un merito: quello di far capire a tutti, attraverso le parole allarmate della consigliera di Stato, che il dumping salariale è una realtà che, dopo un periodo di stasi, ha ricominciato a svilupparsi e ad approfondirsi in modo inesorabile.
Naturalmente le autorità politiche dimenticano di denunciare la propria colpevolmente responsabilità nello sviluppo di questa situazione. Il dumping, infatti si sviluppa, poiché al processo di liberalizzazione relativo alle procedure per affacciarsi sul mercato del lavoro non sono state associate misure di regolamentazione delle condizioni di lavoro indispensabili per impedire il dumping.
Quelle che sono state chiamare “misure di accompagnamento” (e che, ce lo hanno giurato politici e sindacalisti, ci avrebbero protetto dal dumping salariale) si sono rivelate assolutamente inefficaci, anche nei pochi casi in cui si sono potute effettivamente applicare.
Peggio (e l’esempio ticinese è significativo) una certa applicazione di queste misure di accompagnamento rischia di creare il risultato opposto. Infatti , l’introduzione di salari minimi legali obbligatori eccessivamente bassi rischiano di spingere il resto dei salari di coloro che sono già occupati ulteriormente verso il basso: ed è proprio questo che si indica con l’espressione dumping salariale.
Un piccolo esempio
Nella conferenza stampa, come oramai è consuetudine, ci si è “sorpresi” con la celerità con la quale la manodopera estera (frontaliera) penetra nel settore terziario. Tale “sorpresa” è ormai diventato un mantra tra le autorità politiche ed amministrative. Al che sorge spontanea: ci sono o ci fanno? Già prima degli accordi sulla libera circolazione il Ticino conosceva una forte presenza di lavoratori frontalieri in diversi settori importanti: costruzione, ristorazione, industria. Le misure di controllo all’entrata e la priorità all’impiego dei lavoratori indigeni avevano impedito che tale presenza si allargasse anche al cosiddetto settore terziario ed in particolare la mondo del lavoro impiegatizio e della grande distribuzione.
Ma era chiaro a chi voleva vedere (e discuteva con un minimo di onestà) che la scomparsa di qualsiasi misura di controllo sul mercato del lavoro avrebbe avuto come conseguenza l’assunzione di lavoratori frontalieri anche nel settore terziario. Anche grazie al fatto che l’assenza di regolamentazioni contrattuali nel settore e il livello relativamente elevato dei salari offrivano ed offrono una situazione ideale per l’affermazione di una politica di dumping.
I servizi del DFE della signora Sadis hanno attirato l’attenzione sul fenomeno dei nuovi permessi per frontaliere rilasciati per gli impiegati di commercio. Un’inchiesta, tuttora in corso, dell’ispettorato del lavoro ha tuttavia segnalato, sulla base dei primi riscontri, una situazione qualificata come “allarmante”. Infatti su 415 permessi rilasciati, ben 146 erano inferiori al “salario minimo di riferimento”, cioè i 3’160 fr. previsti per impiegati con formazione di base triennale e definito dalla Società degli impiegati di commercio d’intesa con i partner sociali del CCL.
Facciamo un po’ di calcoli
La prima cosa che dobbiamo chiederci è quale sia (o debba essere) in realtà quello che viene indicato come “salario di riferimento”. Qui viene assunto come tale il salario fissato in un CCL di settore che, tuttavia, non ha alcuna validità. Infatti questo contratto è firmato dalla Società Svizzera degli Impiegati di Commercio (SIC) e dalla Camera di Commercio; ma non si applica automaticamente a tutte le aziende affiliate alla Camera di Commercio: queste decidere indipendentemente (cfr art. 35 del CCL) se sottoscriverlo o meno. In assenza di questa decisione, che spetta al padronato, i salari indicati nel CCL (di per sé già bassi) devono essere considerati puramente indicativi: in nessun caso disegnano una realtà salariale e nessun caso possono essere considerati “salari di riferimento” come invece pensano il DFE ed i suoi servizi.
Ed allora l’unico punto di riferimento non può che essere quello relativo ai dati rilevati dall’Ufficio federale di Statistica che, seppur sommariamente, ci offrono punti di riferimento più precisi. Ci danno almeno due dati sui quali riflettere, entrambi relativi alla mediana dei salari (cioè quella cifra che tagli in due parti esattamente uguali il gruppo al quale si riferisce). Così il salario mediano per tutto il settore terziario in Ticino è di 5’572 franchi. Naturalmente si tratta di un salario che ingloba tutte le funzioni. Se però restringiamo il tutto al settore impiegatizio abbiamo un valore di 4’175 franchi, il 30% in più del “valore di riferimento” assunto dal DFE per i suoi calcoli.
Ed allora non vi sono dubbi che i salari rilevati finora costituiscono un chiaro indizio di dumping salariale.
Quale salario legale minimo?
A questo punto il problema fondamentale è la fissazione di un salario minimo. L’orientamento di governo e commissioni tripartite è di prendere come punto di riferimento alcuni salari minimi fissati in qualche regolamentazione (come abbiamo visto per gli impiegati di commercio, nemmeno troppo aderente alla realtà) e farla diventare il salario mimino di riferimento. I contratti normali in via di pubblicazione adottano questo orientamento fissando attorno ai 3’000 franchi i salari minimi. Da quanto possiamo desumere, anche per gli impiegati di commercio si penserebbe di far diventare quel 3’160 fr. il nuovo salario minimo legale.
In realtà questo modo di procedere non può che favorire il dumping perché la fissazione di salari eccessivamente bassi rispetto ai salari realmente pagati tende a spingere i livelli salari verso il minimo.
Quello che non si capisce (o si fa finta di non capire) è che i nuovi minimi salariali legali non sono validi solamente per gli assunti che provengono dall’estero (come era il caso per i salari d’uso prima della liberalizzazione del mercato del lavoro). I salari minimi legali oggi dichiarati tali sono legalmente validi anche per chi in Ticino vive e deve far vivere la propria famiglia. Diventano cioè salari che possono essere applicati, rispettando la legge, a qualsiasi lavoratori attivo, in quel settore, sul territorio cantonale.
È proprio l’incomprensione di questa dinamica che porta al risultato che abbiamo denunciato: salari minimi legali come quelli oggi previsti dai nuovi contratti normali di lavoro tendono di fatto non a impedire o limite il dumping, ma, in prospettiva, a favorirne lo sviluppo.