Lo sciopero nel settore pubblico cantonale è stato senza dubbio un fatto estremamente positivo. Questo giudizio (su alcuni aspetti di fondo relativi alla sua importanza ritorniamo nell’editoriale di questo stesso numero del giornale) non deve tuttavia esimerci da un giudizio di fondo realistico sia sugli aspetti quantitativi che su quelli qualitativi.
È la precondizione per dare un seguito a questa mobilitazione, come auspicano anche i responsabili sindacali. Limitarsi ad analisi impressionistiche servirebbe a ben poco: capirne i limiti è decisivo proprio per poterli superare.
È proprio in questa prospettiva che vogliamo proporre I punti che seguono.
1. La valutazione di duemila partecipanti alla manifestazione del pomeriggio ci pare assai verosimile. Si tratta di un dato confortante dopo le manifestazioni un po’ anemiche del mercoledì pomeriggio alle quali ci avevano abituati le direzioni sindacali in questi ultimi anni. Anche l’ultima, di qualche settimana fa, per protestare contro la cassa pensione era stata contrassegnata da una partecipazione tutto sommato deludente (non più di 6-700 persone). Inoltre, val la pena ricordarlo, questa manifestazione si inseriva in un’azione più «radicale» di protesta, ultima «tappa » di una giornata all’insegna dello sciopero. Questo conferma, e lo andiamo dicendo da tempo, che non necessariamente più le forme della protesta sono blande e maggiore è la partecipazione dei salariati. Ci pare di poter dire che, dopo anni di chiamate per manifestazioni convocate sulla base di una forma minima di protesta, alla prima richiesta di un impegno importante i salariati hanno risposto nel complesso positivamente.
Se poi riflettiamo sulla partecipazione dei diversi settori del pubblico impiego cantonale, non possiamo non vedere quello che tutti hanno visto: la presenza massiccia dei docenti e una flebile partecipazione degli altri settori.
Pure debole dal punto di vista quantitativo, anche rispetto alle esperienze del passato comparabili (pensiamo al 2003), la partecipazione degli studenti del settore medio superiore.
2. Se passiamo alla’analisi della partecipazione allo sciopero (cioè l’astensione dalle lezioni e dal lavoro amministrativo e di cura) le differenze appaino ancora più ampie. I dati ufficiali (che arriveranno sicuramente tra qualche giorno) confermeranno quello che tutti hanno potuto constatare: una buona disponibilità e partecipazione allo sciopero nel settore scolastico di fronte ad una sostanziale difficoltà a mobilitare i lavoratori nel settore amministrativo e in quello sociale (se si escludono un paio di situazioni particolari e storicamente attivi durante tutte le mobilitazioni come l’OSC).
La partecipazione nella scuola è stata sicuramente importante ed i dati ufficiali non le rendono e non le renderanno giustizia. Infatti l’organizazzione delle lezioni e la scelta sindacale del mercoledì pomeriggio per la conclusione dell’azione (pomeriggio nel quale tutti i settori – tranne quello medio superiore non hanno lezione) hanno sicuramente concorso a diminuire il numero dei docenti che, in un contesto normale, avrebbero aderito allo sciopero. Un dato, questo, ancora più incoraggiante quando si pensa che è proprio su questo le settore che pressioni dirette ed indirette, attraverso la polemica relativa alla questione della garanzia di un «servizio minimo», si sono maggiormente esercitate.
3. Alla luce delle considerazioni che abbiamo fin qui svolto, risulta evidente che la giornata del 29 novembre promossa dal movimento della scuola (MdS) ha svolto un ruolo decisivo nel preparare e favorire la partecipazione degli insegnanti alla giornata di sciopero del 5 dicembre.
Questo significa che tra gli insegnanti, come l’MdS sottolinea ormai nel suo intervento da anni, le questioni legate alla degradazione della condizione di lavoro e della figura del docente hanno ormai assunto un’importanza fondamentale, che va al di là della semplice, seppur importante, questione salariale attorno alla quale si è organizzato principalmente lo sciopero del 5 dicembre.
La grande partecipazione alla giornata del 29 novembre degli insegnanti (decine e decine le sedi di ogni ordine coinvolte), la creatività e la determinazione con la quale hanno organizzato le attività, la capacità di trasmettere pubblicamente gli obiettivi della giornata, tutto questo testimonia di una forte volontà dei docenti a mobilitarsi a difesa della loro professionalità, per un’altra organizzazione della scuola, per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro.
Tutti temi che il Manifesto per la scuola lanciato dall’MdS nelle scorse settimane solleva, seppure in forma ancora sintetica e generica, e che oggi, a nostro parere, rappresentano la traccia fondamentale che dovrà guidare la mobilitazione degli insegnanti nel prossimo periodo.
4. La diversa partecipazione alla mobilitazione testimonia certo di situazioni diverse e di rapporti di lavoro e di forza diversi. Ma è anche l’indice di un difficoltà più generale del movimento sindacale ad uscire dalla visione classica di un sindacalismo concertativo e sostanzialmente istituzionale, poco attento alle questioni legate ai contenuti del lavoro.
Tutto questo è invece avvenuto nel settore della scuola, grazie al lavoro paziente fatto in questi lungi dieci anni dal Movimento della scuola, che ha di fatto (indipendentemente dalla sua volontà) svolto un ruolo sostitutivo rispetto al sindacato, proponendosi, lo ripetiamo, come l’interprete più intelligente di un nuovo sindacalismo che parta dalle condizioni di lavoro concrete dei lavoratori ai quali si rivolge, coinvolgendo la loro intelligenza e la loro partecipazione.
Discussione, riflessione e azione: questo chiedono i lavoratori e le lavoratrici; è da qui che il movimento sindacale dovrebbe ripartire se vuole avere la speranza di dare continuità ed efficacia alla sua azione.