Pubblichiamo qui di seguito l’editoriale dell’ultimo numero di Solidarietà (nro 21 del 13 dicembre 2012).
Tra i numerosi aspetti positivi che lo sciopero della scorsa settimana ha messo in evidenza, vogliamo sottolinearne tre.
Il primo è quello della sua legittimità. Certo, il governo ha cercato di imbrogliare un po’ le carte, dicendo e non dicendo, confondendo servizio pubblico con servizio minimo (nella sua circolare i due concetti vengono confusi a due riprese); ma, al di là degli aspetti giuridici, questo sciopero ha ribadito la legittimità per i lavoratori e le lavoratrici, persino per quelli – a torto considerati privilegiati – del settore pubblico.
Una legittimità che non emerge tanto dalle parole del governo (che ha dovuto, come sempre, concedere sul principio astratto e cercare poi di limitarne la portata – come fa tutta la legislazione svizzera – con i relativi distinguo) ma dal modo in cui coloro che hanno partecipato allo sciopero – e pensiamo soprattutto ai docenti – hanno saputo spiegare, e in modo convincente, le ragioni della loro protesta.
Bisogna leggerli i comunicati, i materiali, le lettere alle famiglie con le quali i docenti hanno espresso il loro disagio, hanno spiegato che non ne possono più ed hanno in questo modo legittimato il ricorso allo sciopero.
Un secondo aspetto riguarda il rapporto tra il potere politico e l’arma dello sciopero. È sorprendente vedere come, tutto sommato, la classe politica abbia accolto di buon grado la protesta. Non abbiamo avuto (al di là delle solite esternazioni leghiste) grandi «sollevazioni» di indignazione per questo gesto «sconsiderato» che avrebbe gettato nel «caos» la scuola e la pubblica amministrazione.
La ragione di questo atteggiamento, tutto sommato moderato, è da ricercare forse nella consapevolezza, da parte dei rappresentanti dei maggiori partiti di governo, di avere in qualche modo esagerato, percorrendo, ancora una volta, la strada più semplice, già percorsa a più riprese in passato, andando a colpire di funzionari pubblici e i docenti. In altre parole, al consapevolezza di avere versato la goccia che ha fatto traboccare il vaso…
Una terza riflessione merito il rapporto tra questo strumento di azione e la strategia nel suo complesso. Da questo punto di vista rappresenta sicuramente una novità positiva il fatto che la direzione della VPOD, finalmente si potrebbe dire, abbia deciso di indire uno sciopero, stabilendo una data con un certo anticipo e costruendo poi una campagna massiccia a sostegno dell’obiettivo. Ricordiamo, ad esempio, che l’ultima volta che il governo aveva proposto una misura di decurtazione salariale come quello oggi combattuta, le organizzazioni sindacali l’avevano…accettata.
Negli ultimi anni le organizzazioni sindacali si sono molto spesso limitate a “contenere i danni”, accettando tuttavia che dei danni, anche se in modo lento, venissero fatti. Quante volte abbiamo sentito, in questi ultimi mesi, indicare la lunga lista di peggioramenti (salariali, normativi, previdenziali) che hanno colpito i lavoratori del cantone ed i docenti.
Ebbene molto spesso il sindacato si è limitato, di fronte a quei peggioramenti, a sottolineare come la sua pressione (esercitata in ambito essenzialmente istituzionale) avesse scongiurato “il peggio”. L’ “opposizione” sindacale non andava quindi mai oltre la rituale assemblea del mercoledì pomeriggio. A questa inazione sindacale si sostituiva poi una pratica orientata su referendum e iniziative popolari quali strumenti sostitutivi dell’azione sindacale, con un indebolimento della capacità di azione sui posti di lavoro che, anche in questa positiva occasione, si è potuta comunque toccare con mano, soprattutto nel settore amministrativo.
Questa comunque positiva esperienza sarà l’occasione per un cambiamento di rotta, per la costruzione di un sindacalismo combattivo e di classe nel settore pubblico cantonale. C’è solo da sperarlo. Perché senza di questo non andremo sicuramente molto lontano.