Pubblichiamo qui di seguito la presa di posizione odierna del Movimento per il Socialismo in riferimento alla pubblicazione di tre contratti normali di lavoro con un salario minimo di fr. 3000.–.
La pubblicazione di tre contratti normali (due nel settore industriale e uno per le aziende del commercio con meno di 10 addetti) ha rilanciato la discussione sul salario minimo legale. Il minimo salariale di questi contratti (in vigore dal prossimo 1° aprile) è stato fissato a 3’000 franchi mensili.
L’MPS è da sempre favorevole alla fissazione di salari minimi legali. Ha sempre sostenuto questa rivendicazione, a tal punto da lanciare un’iniziativa popolare cantonale per l’introduzione di un salario minimo legale di 4’000 franchi (per 13 mensilità e sulla base di un orario di 40 ore settimanali). Iniziativa, come si ricorderà, ritenuta inaccettabile dal Gran Consiglio ticinese.
Tuttavia l’MPS ritiene che il livello salariale fissato in questi contratti normali sia assolutamente inaccettabile ed eccessivamente lontano dai livelli salariali praticati in questi settori, nonché da alcuni elementi di raffronto che possono essere utilizzati a titolo di paragone (ad esempio, in alcuni settori, i salari contrattuali o il salario mediano). Il rischio che questi livelli salariali, estremamente bassi, generino una pressione verso il basso dei livelli salariali complessivi dei settori in questione è quindi più che concreto. Il risultato di questa operazione rischia di essere esattamente il contrario di quanto invocato: cioè un ulteriore sviluppo del dumping salariale e non il suo contenimento.
D’altronde da simili livelli salariali, estremamente bassi , scaturiscono poi redditi disponibili estremamente problematici. Ricordiamo che un salario lordo di 3’000 franchi corrisponde, mediamente, ad un salario disponibile mensile (una volta decurtati gli oneri sociali) di circa 2’600 franchi mensili. Salari (e redditi) dunque che non permettono, come ha invece preteso la signora Sadis nelle dichiarazioni di questi giorni, di vivere “dignitosamente”.
Alla base di questa nostra posizione vi sono poi alcune altre considerazioni che esponiamo qui brevemente.
1.Se ci riferiamo, ad esempio, al settore della vendita oggetto di uno di questi contratti (e sicuramente in termini numerici il più cospicuo come numero di salariati potenzialmente toccati dalla misura) un salario mensile di 3’000 franchi è del 30% inferiore a quello versato da alcune delle grandi catene di distribuzione. COOP, ad esempio, versa salari minimi vicini ai 4’000 franchi mensili per il personale non qualificato; lo stesso fa Migros ed altri grandi magazzini (anche quelli che non sottopongono i propri dipendenti ad un contratto collettivo di lavoro come nel caso di Manor). Vale la pena notare che molti di questi gruppi hanno filiali (pensiamo a COOP) nelle quali lavorano meno di 10 persone: una situazione lavorativa di fatto identica a quella che vuole regolamentare il nuovo contratto normale. Lo stesso si potrebbe affermare per altre realtà commerciali caratterizzate proprio da negozi indipendenti con meno di 10 occupati: pensiamo, ad esempio, al migliaio di dipendenti che lavorano al FoxTown, dove vige un salario minimo (per personale non qualificato) di 3’900 franchi (per tredici mesi e per 40 ore lavorative). Si tratta quindi di alcune migliaia di dipendenti che ricevono salari oggi superiori del 30% rispetto al salario minimo fissato in questo contratto normale e che lavorano in una condizione quadro simile a quella regolamentata dal contratto normale.
Le stesse riflessioni, ancora più pesanti in termini di conseguenze, sono quelle relative ai salari rilevati dalle statistiche federali. Infatti il salario mediano nel settore della vendita al dettaglio in Ticino (cioè quel valore salariale che divide esattamente a metà l’insieme dei lavoratori) era, nel 2010, di 4’178 franchi mensili Anche qui la differenza supera il 30%.
Da questo punto di vista non vi sono dubbi che il livello salariale fissato (3’000 franchi) rischia di diventare, a medio termine, un potente elemento di attrazione verso il basso per i salari ad esso superiori (e sono la stragrande maggioranza). In questo modo il salario minimo qui fissato, che pretende di combattere il dumping, in realtà sospinge verso il basso i salari più alti (è questo il dumping!), alimentando a suo volta il dumping salariale.
2. Naturalmente si possono comprendere le motivazioni che hanno spinto la commissione tripartita ed il governo a fissare dei salari minimi attraverso un contratto normale. Sempre più (e qualsiasi ticinese lo può constatare) vengono offerti e praticati salari ancora più bassi di questo limite, a volte di poco sopra (o addirittura sotto) i 2’000 franchi mensili. Una situazione venutasi a creare, è bene ricordarlo, dopo che sono stati liberalizzati i meccanismi del mercato del lavoro, abolendo i controlli salariali all’assunzione. Si tratta di una chiara manifestazione dell’assoluta delle cosiddette misure di accompagnamento che, nella propaganda a favore degli accordi bilaterali, venivano presentate come atte ad impedire l’affermazione del dumping salariale. L’MPS, per contro, aveva giustificato la propria opposizione agli accordi bilaterali denunciando proprio l’inefficacia delle misure di accompagnamento proposte. Anzi, e questo si sta confermando, riteneva che quelle misure fossero piuttosto fiancheggiatrici di una affermazione sempre più evidente di fenomeni di dumping salariale.
Questa situazione, tuttavia, non deve far dimenticare un dato di fatto fondamentale. Il salario minimo qui proposto non si applica ai nuovi arrivi sul mercato del lavoro ticinese; non è in altre parole un salario con il quale si autorizza i lavoratori frontalieri (o con altro statuto) a lavorare in Ticino. Questa era la logica prevalente prima degli accordi bilaterali. Oggi i salari fissati valgono per tutti i salariati attivi in quel settore in Ticino; hanno validità legale ed universale, si applicano a tutti i lavoratori attivi in quel settore, indipendentemente dal fatto che essi vivano in Ticino o fuori dal Ticino.
In altre parole, di fronte al miglioramento della condizione salariale di alcuni casi (sicuramente in aumento) vi è il peggioramento sostanziale e strutturale delle condizioni salariali per settori interi (pensiamo qui al caso della vendita) che rischia di avere conseguenze fondamentali e durature su tutto il settore, producendo dumping salariale, facendo diventare questo estremamente basso salario (3’000 franchi) il salario di riferimento per tutto il settore.
3. Se poi la nostra riflessione si dovesse spingere fino a prendere in considerazione i problemi esistenziali posti da un reddito disponibile conseguente a questi livelli salariali, ci renderemmo immediatamente conto della sua assoluta insopportabilità. Nessuna persona in Ticino potrebbe vivere dignitosamente (per usare, ancora una volta, l’espressione della direttrice del DFE signora Sadis) con un reddito disponibile di circa 2’600 franchi mensili. Ricordiamo, a titolo esemplificativo, che il salario disponibile annuale di riferimento a partire dal quale vengono formulati i calcoli per le prestazioni complementari, è di 34’270 franchi per una persona sola (circa 2’900 franchi mensili).
4. Il fatto che il padronato sia contrario a questa proposta (e che abbia intenzione di contestarla anche sul piano giuridico) non depone di per sé a favore della bontà della stessa. Infatti l’opposizione padronale non verte principalmente sul limite proposto. L’opposizione padronale è un’opposizione ideologica, di principio, contraria a qualsiasi regolamentazione dei salari. Il padronato sostiene che non è lo Stato a dover fissare i salari per legge, ma che gli stessi devono essere fissati attraverso contratti collettivi di lavoro. E domani saranno pronti a dire che i contratti collettivi di lavoro sono delle inutili rigidità che penalizzano l’attività imprenditoriale. D’altronde il fatto che solo un terzo dei lavoratori di questo paese sia sottoposto ad un CCL e che una minoranza di questo terzo possa contare su salari minimi obbligatori, testimonia della scarsissima affidabilità delle posizioni padronali.
Alla luce di queste considerazioni, l’MPS valuterà il ricorso a tutte le misure utili per opporsi a questa proposta; non certo per il principio dell’introduzione di salari minimi legali, ma proprio per il livello dei salari proposti, assolutamente inaccettabile; possibile fonte di quello che abbiamo di recente soprannominato “dumping di Stato”.