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“L’intervento francese è il risultato di un’urgenza, ma, una volta bloccata l’offensiva (degli islamisti), dobbiamo applicare la risoluzione 2085 in tutti i suoi punti, anche nel processo politico” (Onu dixit).

Ma è ben lungi dall’obiettivo iniziale, quello di bloccare le due colonne di  autocarri dirette verso la città di Mopti. Sicuramente, sarebbe stato più difficile ottenere un quasi consenso nazionale e internazionale dichiarando: “la Francia interviene in Mali per sradicare i terroristi che impediscono alla nostra multinazionale Areva di sfruttare in tutta tranquillità i giacimenti di uranio del vicino Niger, e naturalmente l’armata francese resterà il tempo necessario e spendendo grandi quantità di denaro….”.

 

Già dal tempo del colonialismo, le potenze occidentali si vantano dei loro interventi  a favore della civilizzazione, dell’educazione e del benessere degli “indigeni”; interventi approvati anche da una parte della sinistra. Per i circa sessanta interventi francesi in Africa, il ritornello è sempre stato lo stesso: la protezione dei rifugiati e delle popolazioni civili, la difesa delle libertà; un ritornello ad uso univoco dell’élite politica e mediatica, a tal punto da commuovere persino un sindacato dei giornalisti. (1)

 

Chi sono i responsabili?

 

In effetti, sono rari coloro che riconoscono le responsabilità dei dirigenti francesi, sia nella situazione del Mali che nella guerra in Libia, che ha trasformato questa rivoluzione nascente in un confronto tra la NATO e l’armata di Gheddafi, destabilizzando la regione, sia sottolineando il sostegno a mala pena nascosto della diplomazia francese al MNLA (Movimento di liberazione nazionale di Azawad), con la speranza che garantisse la sicurezza della regione contro gli jihadisti. Rari anche coloro che evidenziavano il legame tra questa guerra e gli interessi d’Areva, pur evidenti da quando l’esercito francese si è impegnato in Niger per mettere in sicurezza le miniere di uranio.

Questa guerra non fa altro che sostenere il potere delle dittature africane. Chi può credere seriamente che il Quai d’Orsay (2) esigerà da Idris Déby (3) (che fornisce al Mali  2000 soldati ciadiani agguerriti) un’inchiesta internazionale sulla sparizione d’Ibni Oumar Mahamat Saleh (4), nella quale è implicato direttamente, o che ponga fine all’arruolamento di  bambini soldato?  Quale ministro francese protesterà contro la terribile repressione nei confronti dei dirigenti dell’opposizione togolese, imprigionati e torturati dalla clicca di Faure Gnassimbé che ha inviato  733 soldati per difendere….la libertà del popolo maliano?

Il governo francese indica la necessità di impegnare più di tre mila uomini sul terreno e ci informa  che questa operazione è già costata 30 milioni di euro, cioè già più della metà degli aiuti annuali allo sviluppo concessi al Mali. Somme che erano introvabili per i bisogni sociali, sia in Africa che in Francia, e che ora possono essere sbloccati, senza che il Medef, pur così scrupoloso quando si tratta di spese dello Stato, abbia nulla da ridire.

 

Una popolazione in trappola

 

In tre settimane di guerra, molte sono le atrocità denunciate dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Le popolazioni Tuareg, ma anche quelle arabe, sono considerate jihadiste, vengono effettuate esecuzioni sommarie come a Sévaré, dove una dozzina di corpi sono stati gettati in un pozzo. Le gerarchie  militari francesi e maliane sostengono di non aver visto nulla. Ebbene, come sempre, ancora una volta  i crimini di guerra vengono relativizzati o ignorati. Rivelano  però il rischio di un confronto violento tra comunità. L’intervento della Francia può spingere le differenti comunità a tentare di ribaltare le carte nella regione del nord del Mali, dove la posta in gioco sono i numerosi traffici leciti ed illeciti. Le popolazione maliane sono costrette a sopravvivere da un lato tra bande mafiose e/o jihadiste che non esitano a commettere le peggiori atrocità, e dall’altra, con una classe dirigente fallita e corrotta, legata ad un imperialismo francese che mira solo ai propri interessi.

Osiamo affermare che una terza via è auspicabile e possibile. Con la mobilitazione delle popolazioni e le loro organizzazioni, per una rifondazione politica del Mali, dove ognuno/a avrà il suo posto, qualunque sia la sua origine o la sua religione.

 

*  articolo apparso giovedì 31 gennaio 2013 sul settimanale “Tout est à nous!”. La traduzione è stata curata dalla redazione di Solidarietà.

 

1. http://www.afriquesenlutte.org/afrique-de-l-ouest/mali/article/mali-info-ou-intox

2. È la sede del ministero degli esteri francesi (NdT)

3.  Attuale presidente del  Ciad. “Un anno dopo la conquista del potere dal parte di Habré, Déby fu nominato comandante in capo dell’esercito, ruolo nel quale si distinse sconfiggendo le forze filo-libiche nella parte orientale del Ciad. Nel 1985 fu rimosso dall’incarico, ed inviato a Parigi per seguire i corsi della École de Guerre. Al suo ritorno venne nominato capo consigliere militare della Presidenza. Due anni più tardi, guidò nuovamente l’esercito contro le truppe libiche nel Ciad orientale, ottenendo notevoli successi sul campo. Nel 1989 emerse un contrasto tra Habré e Déby sul crescente potere della Guardia Presidenziale e a seguito delle accuse mossegli da Habré, secondo il quale Déby era in procinto di preparare un colpo di stato, riparò dapprima in Libia, e successivamente in Sudan dove fondò il Movimento Patriottico di Salvezza, gruppo armato di insorti che, grazie al supporto di Libia e Sudan, attaccò le forze regolari di Habré nell’ottobre del 1989. Un anno più tardi, il 10 novembre 1990, le truppe di Déby sferrarono l’attacco decisivo, che le condusse, pochi giorni dopo (2 dicembre) ad entrare nella capitale N’Djamena senza incontrare resistenza”. (Voce Vikipedia NdT)

4. Ibni Saleh è stato rapito il 3 febbraio 2008 al suo domicilio da militari ciadiani. A quell’epoca il Ciad era in preda ad una guerra civile (2005-2010). Nel corso di questa guerra civile diversi eminenti membri dell’opposizione (come Ibni Saleh) furono rapiti e presumibilmente uccisi. A livello internazionale vi è da tempo una pressione affinché sia creata una commissione di inchiesta su queste sparizioni.

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