Pubblichiamo qui di seguito l’editoriale dell’ultimo numero Solidarietà del 21 marzo 2013.
La politica di austerità “immaginata” dal governo cantonale per riportare i conti dello Stato in pareggio entro la fine della legislatura ha segnato, negli scorsi giorni, due momenti importanti.
Il primo è stato il risultato, presentato a grandi linee dal governo nel corso di una conferenza stampa seguita alla due giorni di riflessione dedicata a questo tema. Pareggio dei conti, contenimento della spesa pubblica, riorganizzazione dei compiti tra Cantone e Comuni (cfr. il nostro articolo su questo stesso numero di Solidarietà). Il secondo, pochi giorni dopo, è stato l’inizio di questo percorso, che si vuole concertato con il Parlamento ed in particolare con la sua Commissione della gestione; il governo ha infatti trasmesso un primo documento alla Commissione della gestione nel quale spiega le sue intenzioni di fondo e mostra la volontà di procedere velocemente su questa strada, organizzando già nei prossimi giorni un primo incontro.
Le cose dunque si fanno serie ed è necessario individuare gli elementi di fondo a partire dai quali una politica di sinistra degna di questo nome possa contrastare questo progetto, sia a livello istituzionale che, soprattutto, cercando di organizzare un risposta sul terreno della mobilitazione sociale. Ma la possibilità che tutto questo avvenga è strettamente collegata ad un orientamento politicamente chiaro e profilato che individui una serie di punti attorno ai quali tentare di costruire questa mobilitazione. In questa direzione vi sono almeno tre aspetti fondamentali.
Il primo è quello di una chiara opposizione all’obiettivo del pareggio dei conti e al contenimento, vedi diminuzione del debito pubblico. È questo un punto decisivo poiché proprio dalla sua definizione quale priorità da parte del governo cantonale derivano poi le scelte di austerità che si declineranno nelle varie misure di risparmio e di “riorganizzazione” dei compiti dello Stato.Senza la contestazione di questo punto difficilmente si potrà sviluppare una politica coerente e comprensibile di opposizione alle diverse misure di risparmio che verranno presentate.
Il rifiuto di questa politica deve partire dalla considerazione di fondo che essa non è una condizione necessaria per sviluppare un intervento “virtuoso” dello Stato a favore dell’economia e dei bisogni sociali; ma, per contro, dalla considerazione – ormai acquisita quasi generalmente (cfr. l’articolo di Michel Husson su questo stesso numero di Solidarietà) che politiche di questo tipo non fanno altro che spingere l’attuale crisi economica verso una dinamica depressiva.
L’opposizione a questo principio dovrà poi concretizzarsi non solo nell’opposizione alle singole misure di risparmio che seguiranno, ma anche a quelle proposte che rappresentano veri e propri strumenti di concretizzazione di questo principio: pensiamo, innanzitutto, alla proposta dei legge sul freno alla spesa.
Il secondo aspetto investe il problema delle entrate dello Stato. È evidente che non può esserci risposta alla crisi, in una prospetta di sinistra, senza un processo di redistribuzione della ricchezza che presenta due aspetti. Il primo è quello della distribuzione primaria della ricchezza (in particolare attraverso la remunerazione salariale e il salario sociale in senso ampio), il secondo attraverso una fiscalità radicalmente diversa che vada ad imporre alti redditi e sostanze.
Su questo ultimo aspetto appare evidente la necessità di contestare gli orientamenti prevalenti nel governo, tesi non solo a favorire fiscalmente gli alti redditi (attraverso possibili sgravi fiscali), ma anche attraverso una riforma delle stime della proprietà immobiliare che non comportino oneri supplementari, se non limitati, per i proprietari.
Infine (ed è il terzo aspetto, già menzionato) solo attraverso una ripartizione della ricchezza primaria si potrà rimettere eventualmente in moto la dinamica economica. Esattamente il contrario di quello che il governo, con atti diversi, sta facendo. Dalle detrazioni sui salari dei dipendenti cantonali alla introduzione di salari minimi legali che di fatto riconoscono i risultati del dumping salariale (i famosi 3’000 franchi recentemente introdotti in alcuni settori industriali ed in quello della vendita con meno di 10 dipendenti), dalla diminuzione dei sussidi alle casse malati a quelle di diverse altre prestazioni, dall’aumento di alcune tasse scolastiche alle politiche sempre più severe nel quadro dell’assistenza: nel complesso una politica che asseconda l’iniqua distribuzione di ricchezza che è la vera fonte della crisi nella quale il capitalismo si sta ormai sempre più avvitando.