In questo numero di Solidarietà dedichiamo ampio spazio a situazioni, se così possiamo dire, di contestazione . Vi è, tumultuosa, la situazione politica italiana; vi è quella delle rivoluzioni arabe, in movimento tra molte contraddizioni; vi sono fenomeni come quello relative ai risultati della iniziativa Minder che mostrano, comunque, un movimento per il momento sotterraneo, nelle coscienze individuali dei salariati di questo paese, che per il momento non si manifesta ancora in forme di contestazione collettiva.
A tutto questo potremmo aggiungere le grandi manifestazioni che stanno investendo in queste ultime settimane la Spagna; o, ancora, la straordinaria mobilitazione di domenica scorsa in Portogallo, una delle più ampie dalla rivoluzione dei garofani della metà degli anni ’70.
Queste forme di contestazione, per limitarci a quelle a livello europeo, non hanno tutte, evidentemente , la stessa valenza. Alcune, come detto, si esprimono solo a livello istituzionale ; altre si muovono su un terreno eminentemente sociale senza avere, almeno per il momento, sbocchi istituzionali o politici .
Eppure tutte sono espressione di una stessa crisi. Quella di un capitalismo entrato in una fase di convulsioni e contraddizioni che investono non solo la sfera economica, ma anche i suoi strumenti di organizzazione e gestione del consenso.
La crisi delle democrazie liberali e delle cosiddette « forme della rappresentanza » apre scenari politici del tutto nuovi.
Non certo e non tanto perché da queste crisi potrebbero nascere governi e rappresentanze politiche « alternative » a quelle dominanti finora. Sappiamo, e ne abbiamo avuto in questi mesi delle chiare testimonianze, che la « crisi » delle rappresentanze politiche (governi, parlamenti, ecc.) altro non è che la dislocazione del potere verso altri lidi (quello che sta succedendo a livello europeo illustra assai bene questa dislocazione e quali siano i « luoghi » della cosiddetta « governance »).
Bisogna quindi analizzare a fondo quanto succede, capire da questi movimenti sociali ed anche da quelli che appaiono solo sulle superficie di tipo istituzionale (come nel caso di fenomeni elettorali, di votazioni, ecc.), quali siano le possibili dinamiche, le rivendicazioni, le strategie migliori per allargarli e per trasformarli in soggetti capaci di mettere in discussione il potere del capitale.
Significativa, in questo senso, la discussione che anima la sinistra radicale greca, per la maggior parte strutturare in Syriza, ma con componenti diverse. Ebbene, oggi una delle componenti più apertamente di sinistra di questa coalizione pone con forza la necessità di un governo di sinistra che debba avere come missione fondamentale l’inizio di un processo di rottura con il capitalismo. Cosciente che il vero potere non stà oggi né nelle stanze governative, né in quelle parlamentari. Cosciente che solo la rimessa in discussione del dominio assoluto della proprietà potrà aprire prospettive sociali che delineino un’alternativa a quella che si va sempre più configurando come una fase di barbarie del capitalismo reale.