Milano. Sabato 18 marzo 1978.
Il vento di marzo sposta il lampioncino in fondo a destra, lo fa dondolare come un’altalena. Il silenzio maschera il rumore sordo di passi veloci. Sono quelli di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, detto Iaio.
Loro sono due ragazzi che vestono come una volta: jeans scampanati,camicione a quadretti, giubbotti con le frange, capelli lunghi. Di sabato, a quell’ora, percorrono via Mancinelli, la strada che divide in due il quartiere Casoretto.Trecento metri senza luce,un luogo poco frequentato, buio. Trecento metri che mettono paura.
La loro vita scorre come la trama di un film e i ricordi sono rapidi. Quelle giornate passate a suonare al Parco Lambro, sognando la California, l’India, il Messico, sempre lì, pronti ad ascoltare chi torna da mete lontane, ognuno dentro la sua piccola verità. La memoria si rincorre come le chitarre di Crosby,Stills,Nash e Young, di Keith Richard e Mick Taylor dei Rolling Stones. Le voci degli amici, delle ragazze, le lunghe discussioni politiche, le feste al Leoncavallo, concerti di jazz di blues, il teatro.
All’altezza del portone dell’Anderson School i passi d’improvviso si fermano. Fausto e Jaio avvertono il pericolo,si voltano per chiedere aiuto ma intorno a loro c’è il vuoto e la solitudine di Milano. Così due persone si avvicinano con fare sbrigativo. Li bloccano. Ora i quattro si trovano faccia a faccia. Si fa avanti uno con l’impermeabile bianco e il bavero alzato. “Siete del Centro Sociale Leoncavallo?” Fausto e Lorenzo si guardano, sono increduli. Non rispondono perché non vi è risposta alcuna.
Il senso della loro speranza si spegne sotto i colpi di otto proiettili Winchester calibro 7,65, sparati da un professionista. Un’esecuzione. Il primo a cadere è Fausto. Poi tocca a Lorenzo. Fausto è riverso sul piano stradale mentre Jaio si trova a breve distanza, centrato dal killer mentre tenta una fuga impossibile. Dopo quei colpi sordi la strada si fa ancora più scura e nel buio scappano come sempre gli assassini.
Fausto ha un carattere chiuso ma con Jaio sono un’ unica cosa. Viene da Trento ma a Milano non si trova bene, perché la città e’ troppo grande per un bimbo dagli occhi gentili. Gioca con pochi amici. Poi le medie inferiori in una scuola al Casoretto. In tre anni passa alle superiori. Prima le professionali, poi il liceo artistico.
I pomeriggi li trascorre all’oratorio di Don Perego, proprio come il suo amico Jaio. Ma nei campetti di calcio dura poco. Spesso si porta i libri in metropolitana,di mattina,quando le vetture sono cariche di persone con le mani in tasca.
Con Jaio condivide la passione per il rock. I Rolling Stones sono il suo gruppo preferito. Conosce le loro canzoni a memoria. Politicamente e’ un libertario ma simpatizza per Lotta Continua. Non e’ un militante, non accetta le gerarchie. E’ fuori dagli schemi. E’ un mondo di pace quello che Fausto immagina ma è convinto che una rivoluzione è proprio possibile.
Con la madre Danila ha un rapporto speciale, un profondo legame che li porta a parlare per ore. Fausto le confida tutti i suoi problemi, anche quelli piccoli. Fausto è un timido. Spesso guarda gli altri con quegli occhi rivolti verso il basso. E’ fatto così. Sempre pettinato, vestito con garbo, mai una piega fuori posto. I genitori degli amici lo giudicano un ragazzo per bene.
Lorenzo Iannucci conosce anche gli angoli più nascosti del Casoretto. Lui a Milano ci arriva a nove anni, dal Sud Italia. All’oratorio riesce a convivere con gli amici nonostante il carattere ribelle. Gioca a pallone. Sono gli anni della spensieratezza.
A quattordici anni Jaio si iscrive al professionale. Lorenzo abbandona i biliardini della parrocchia perché c’e’ un mondo fuori che sta cambiando e sente che bisogna fare qualcosa. Ha fretta, come tutti noi del resto a quei tempi. Nel quartiere è uno dei ragazzi più conosciuti ma non è un leader.
Poco prima del marzo 1978, Jaio abbandona la scuola per un umile lavoro. Trova impiego presso un restauratore, dodici ore al giorno, senza libretti, per una manciata di vecchie lire, quelle che possono servire per rendersi indipendente. Suona la chitarra. E’ portato per la musica. Ha un orecchio particolare.
Allegro, sorridente, un sorriso imbarazzante. Sempre preso a far progetti di vita, sogna di comprare una fattoria, vivere in una comune. Ama viaggiare: se avesse tirato su qualche soldo sarebbe andato certamente in India. Veste come gli pare, si cuce perfino i pantaloni larghi addosso. Gli piace mettersi la bombetta, comprata da un amico nei mercatini di Londra. La porta sempre. E balla per ore, senza mai fermarsi. E’ buffo con quella faccia da giovane indiano. Uno splendido indio dai capelli neri.
Non é un arrabbiato, nemmeno un filosofo: alle analisi politiche preferisce la discussione sui problemi concreti, quelli di tutti i giorni. Ma resta un sognatore. Un giorno qualcuno gli chiede: <<Cosa stai pensando>>. E lui risponde:<<Niente, sogno.>>
Due ragazzi di diciotto anni si guardano per pochi secondi,chiudono gli occhi e scoppiano a piangere. Loro,Fausto e Jaio, non li conoscono nemmeno ma la loro morte non da pace.
La notizia dell’omicidio di via Mancinelli fa in breve tempo il giro di Milano. Via Mancinelli è come un fiume in piena. La strada è ricolma, i marciapiedi non riescono a contenere tutti quei giovani. La metropolitana è come un’enorme arca che porta gente dai quartieri più periferici della metropoli.
Si organizza una manifestazione spontanea. Nessuno accetta etichette di gruppo. Le organizzazioni politiche della Nuova Sinistra offrono il loro appoggio ma promettono che nessuno striscione sarà esposto. Il corteo è scomposto, non ha una testa neppure una coda. E loro entrano dappertutto, e gridano, e urlano a gran voce: <<Hanno ammazzato Fausto e Iaio, hanno ammazzato due come noi>>.
Vetrine, macchine, lampioni: tutto viene distrutto in un disordine assordante. Piazzale Loreto, corso Buenos Aires, corso Venezia, Piazza San Babila. E alla fine giù nella grande piazza….piazza Duomo. .La manifestazione termina quando Milano dorme ormai da ore. Molti si danno appuntamento davanti alle scuole. Si stenderanno solo per rimediare qualche minuto di riposo. Ma nessuno avrà sogni tranquilli. Quei due corpi sul selciato diventeranno incubi ricorrenti, visioni notturne che cambieranno la vita.
Una viuzza stretta con poche case, costeggiata da un lungo muro grigiastro. In mezzo quattro transenne delimitano il luogo dove Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli sono stati assassinati. Via Mancinelli vede arrivare ragazzi e ragazze sconvolti dal dolore e dalla commozione. E’ il pianto di una città. Immensi cortei lasciano spazio ad un grande senso di impotenza. Andrà avanti fino al 22 marzo, il giorno dei funerali.
Milano si sveglia con il frastuono dei camion che entrano nelle tangenziali,con l’odore acre dei fumi di scarico,con le colazioni consumate nei bar. Nelle prime ore del mattino il mondo del lavoro si scuote. Gli operai bloccano i cancelli delle fabbriche. Gli studenti fermano le lezioni nelle scuole.
Per Fausto e Jaio e’ stata allestita una camera ardente, in una stanzetta spoglia. Dalla porta principale entrano ed escono in migliaia di ragazzi, i compagni di scuola, gli amici,i vicini di casa, quelli del Casoretto. Non sono condoglianze prestate con noia ma abbracci sinceri.
Poi in chiesa Don Perego inizia la messa. Un ragazzo che avrà vent’anni si avvicina giura che <<se Jaio fosse ancora vivo tirerebbe le palline al parroco.>> Le bare vengono portate via. Jaio viene trasportato al cimitero di Lambrate, Fausto torna nella sua Trento. Ricordo le parole di Danila Tinelli,madre di Fausto.
<<Quel mercoledì 22 marzo non finirò mai di dimenticarlo. Stetti lì senza piangere, tenevo tutto dentro. Mi venivano in mente gli anni vissuti con Fausto, le discussioni, le litigate, lui che mi confidava tutto. Le vacanze a Trento, guardando le montagne e correndo felici nei prati. Era tutto nascosto dentro me,lo conservavo gelosamente, non volevo che nessuno entrasse. Vedevo i volti scuri delle persone, amici di Fausto e Jaio, ragazzini come loro che giocavano per ore da piccoli. La mia vita scorreva davanti .Poi le immagini belle scomparivano e tutto mi sembrava più difficile. Guardavo al futuro con angoscia,il mio piccolo Bruno che si staccava così bruscamente dal rapporto con Fausto,la vita,il lavoro,le difficoltà di farlo crescere bene,la casa troppo piccola,i sogni di cambiamento. Quello che ricordo era tanta gente, con le bandiere rosse che sventolavano e quel vento di marzo che mi portava via tutto, un pezzo della mia vita.>>
Sapete come si riconosce un bravo cronista di nera? E’ uno che non crede mai alle verità ufficiali, compie indagini in silenzio, senza produrre troppo rumore e alla fine giunge alle sue conclusioni.
Mauro Brutto è uno di quelli. Lui lavora all’Unità, cronaca nera. Parte di prima mattina, controlla le sue fonti, verificare ogni particolare. Solo a quel punto scrive. Di sera torna in redazione. Toglie il suo impermeabile. Rimane lì fino a tardi, con la sua luce fissa e migliaia di carte che incolla. Sono appunti. Poi quando pensa di essere alla fine della sua inchiesta li srotola e tutto gli sembra più chiaro.
La sera del 18 marzo 1978, Mauro Brutto è uno dei primi giornalisti a raggiungere via Mancinelli. Ascolta le parole del capo di Gabinetto della Questura di Milano, Bessone:
<<E’ chiaro. Si tratta di un regolamento di conti, una faida fra gruppi della nuova sinistra o inerente al traffico di stupefacenti.>>
Mauro si volta di scatto, e da una rientranza del marciapiede scopre qualcosa che luccica. Un proiettile schiacciato di poco accanto a corpo di Jaio. Nessuno lo nota ma Brutto lo scorge e lo passa alla polizia. Poi corre in redazione e compone il suo articolo:
<< C’é un vuoto di dieci minuti.
Un vuoto già apparso come l’elemento risolutivo del caso.>>
Ma i depistaggi non si fermano. Alcuni inquirenti fanno circolare la voce che è una calibro 32 a uccidere Fausto e Jaio. Mauro Brutto smonta il tentativo di deviare l’indagine verso altre piste.
<< Non si capisce per quale motivo gli attentatori dovrebbero aver modificato la pistola le cui munizioni,le 7,65, sono facilmente reperibili. I killer hanno usato pistole automatiche avvolte in sacchetti di plastica. Ecco perché sul luogo dell’omicidio non sono stati trovati i bossoli ed i testimoni hanno sentito colpi ovattati. Un particolare che conferma il livello di professionalità: gli assassini non intendevano rinunciare al vantaggio della rapidità di tiro fornita da una pistola automatica senza però correre il rischio di disperdere i bossoli e lasciare quindi una traccia. La necessità da parte degli assassini di sfruttare la rapidità di tiro delle automatiche indica che intendevano essere certi di uccidere nel minor tempo possibile per non dare ai testimoni la possibilità di descrivere, anche in modo approssimativo,i loro volti>>
Mauro Brutto indaga senza sosta. Quel fatto di cronaca lo ferisce in modo profondo. E giunge ad un centimetro dalla verità. Fausto e Jaio sono stati uccisi da killer professionisti, un duplice omicidio politico, compiuto due giorni dopo il rapimento del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Tutto è più chiaro ma gli assassini non danno tregua.
5 novembre 1978. 20,45. Mauro Brutto esce dalla sua macchina ed entra nel bar tabacchi in via Murat 36. Rimane giusto il tempo per comprare due pacchetti di sigarette, beve un aperitivo poi schizza fuori. Supera la prima metà della strada, proprio sulla striscia bianca che divide le carreggiate. Guarda da una parte,c’è una Fiat 127 rossa,attende il passaggio ma nella direzione opposta appare una Simca 1100 bianca che viaggia a 70 chilometri all’ora. La vettura punta su Mauro, lo coglie di striscio,quanto basta per farlo finire sotto le ruote del 127 che lo travolgono e lo uccidono.
Questa almeno resta la versione ufficiale a cui nessuno crede, ancor oggi.
La prima pista imboccata dagli inquirenti è quella di un regolamento di conti di spacciatori di droga. Poi cambieranno versione e parleranno di assassini maturati all’interno dei gruppi di sinistra del quartiere. Ma il sostituto procuratore di Milano Armando Spataro e il poliziotto Carmine Scotti si fanno ormai un’idea precisa: è un duplice omicidio politico maturato negli ambienti della destra eversiva, romana e milanese, altro che regolamento di conti.
Fausto e Jaio fanno parte di una rete di giovani che indagano sullo spaccio di eroina a Milano. Le informazioni devono poi essere inserite in un libro bianco che esce davvero, stampato dai collettivi autonomi milanesi. Non contiene notizie dirompenti, sono ritagli di giornale che ognuno di noi può reperire in biblioteca. La destra extraparlamentare controlla il mercato di droga a Milano ma perché uccidere due ragazzini? No, non può essere quello il movente del duplice omicidio del Casoretto. Ci vuole qualcosa di più, molto di più di una semplice inchiesta di quartiere.
Infatti giunge subito la rivendicazione da Roma, un volantino firmato Brigata Franco Anselmi, in memoria a un camerata ucciso in una rapina di autofinanziamento. E’ una sigla utilizzata dai NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari, gruppo della destra eversiva responsabile di omicidi, ferimenti e della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, 85 morti e 200 feriti.
Ecco. Solo a quel punto gli investigatori si indirizzano verso la pista politica. Perquisiscono le abitazioni di alcuni fascisti milanesi, inseriscono microspie nei telefoni di bar del quartiere e ascoltano strane conversazioni: chi dice di aver dimenticato un impermeabile bianco in un locale. Verranno trovate pistole e stemmi nazisti ma nessuna prova. Dureranno anni queste indagini. Le carte passeranno negli anni tra le mani di numerosi magistrati e giudici istruttori. Si occuperanno del caso nei ritagli di tempo.
Manca dunque la volontà politica per giungere agli assassini di Fausto e Jaio ma nel silenzio lavorano i giornalisti.
Dopo lo strano incidente dove trova la morte Mauro Brutto, giovani cronisti portano avanti l’inchiesta. E’ cosa complicata avventurarsi oltre la frontiera del nemico, ma loro varcano il confine e scoprono che la base logistica dell’agguato del Casoretto é milanese ma l’operazione viene ideata e organizzata a Roma.
Perché allora giungere così lontano per uccidere due ragazzini di diciotto anni? Per provocare quali reazioni?
Le intuizioni del magistrato Armando Spataro, del poliziotto Carmine Scotti, del giornalista Mauro Brutto giungono sul tavolo del giudice Guido Salvini. Spetta a lui l’arduo compito di ricomporre l’intricato puzzle dell’omicidio di Fausto e Iaio.
Centinaia di interrogatori di collaboratori di giustizia della destra eversiva, un lavoro paziente e attento sui documenti di rivendicazione e sugli atti giudiziari di altri processi, portano Salvini a formulare un’ipotesi:
<<Il delitto fu rivendicato da un volantino a firma “Esercito nazionale rivoluzionario-Brigata Combattente Franco Anselmi e numerosi pentiti già aderenti a gruppi di estrema destra hanno indicato nell’ambiente romano dei Nar il contesto in cui fu preparato l’attentato. Il comportamento degli sparatori riporta inequivocabilmente ad una matrice eversiva di destra: esecuzione a sangue freddo delle due vittime mentre esse si trovavano nei pressi di un centro sociale di sinistra,giovane età degli sparatori,abbigliamento,utilizzo di un sacchetto di plastica per raccogliere i bossoli e non consentire una perizia comparativa con altri episodi analoghi.>>
Tre gli indiziati: Massimo Carminati, Claudio Bracci e Mario Corsi. La loro posizione sarà archiviata in modo definitivo il 6 dicembre 2000 dal Giudice delle Udienze preliminari del Tribunale di Milano,Clementina Forleo. Questa è la sua conclusione:
<<Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolari degli attuali indagati(Massimo Carminati, Mario Corsi e Claudio Bracci),appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura de relato delle pur rilevanti dichiarazioni.>>
Cosa vuole dire? Si conoscono i possibili autori dell’omicidio ma non ci sono prove. Molti,forse troppi indizi. Ma non prove. Perché l’omicidio di Fausto e Jaio conserva un segreto indicibile, qualcosa che si può sussurrare, ma non gridare ad alta voce.
Il punto “d” del decreto di archiviazione si intitola: ”La pista di via Montenevoso”.
Sì, perché al numero 8 di via Montenevoso c’é un appartamento affittato dalle Brigate Rosse. Viene scoperto il 1 ottobre del 1978. Oltre a dieci terroristi, nel covo gli inquirenti trovano le carte originali del memoriale di Aldo Moro, lettere scritte dallo statista, verbali del suo lungo interrogatorio prima di essere ucciso.
Ma attenzione. Nel 1978, in zona Lambrate, ci sono sei appartamenti utilizzati da Brigate Rosse e Prima Linea. Il quartiere è tenuto sotto controllo da
carabinieri, polizia e servizi segreti. Davanti al covo, proprio al primo piano, abita Fausto Tinelli, la finestra della sua camera è a soli sette metri da quella dei brigatisti. Sette metri.
Quando tieni le finestre aperte oltre a vedere quello che fanno nell’appartamento di fronte, senti tutto. Le parole delle persone, la televisione accesa, il segnale orario della radio. All’ultimo piano della casa di Fausto, c’è invece una mansarda trasformata in un mini appartamento. Non ci abita una coppia di anziani maestri in pensione. Lì dentro trovate appostati con moderni e sofisticati apparecchi fotografici muniti di teleobiettivi, agenti dei servizi segreti che controllano da mesi il primo piano di via Montenevoso 8: il covo delle B.R. Alla Commissione Moro, anni dopo, diranno che l’appartamento era stato affittato solo nel luglio del 1978, ma la Danila, la mamma di Fausto è pronta a giurare che già dal gennaio del 1978 vedeva persone entrare in quella mansarda con scatoloni, strane parabole. La Commissione Stragi accerterà che il covo delle Br di via Montenevoso è individuato ben prima del giorno indicato dai carabinieri.
E allora ..Perché uccidere due ragazzini?
Delitti e stragi perfetti nella loro imperfezione.
Corrado Guerzoni, il collaboratore più stretto di Aldo Moro, provò a spiegare un giorno una teoria: quella dei cerchi concentrici.
Prestate attenzione.
“ Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di recarsi in Piazza Fontana e mettere una bomba.
Non accade così.
Al livello più alto della stanza dei bottoni si afferma: il Paese va alla deriva, i comunisti finiranno per andare presto al potere.
Poi la parola passa a quelli del cerchio successivo e inferiore dove si dice: sono tutti preoccupati, cosa possiamo fare?
Si va avanti così fino all’ultimo livello, dove c’è qualcuno che dice “ va bene, ho capito ”.
Poi succede quello che deve succedere.
Una strage in una banca, in una stazione, in una piazza, sopra un treno.
Oppure, come nel nostro caso, un omicidio di due ragazzini.
Così nessuno ha mai la responsabilità diretta.
E se vai a dire all’onorevole X che lui è il mandante della strage di Piazza Fontana, ti risponderà di no.
Anche se si è avviato proprio questo meccanismo.
Per cerchi concentrici.
La memoria è come un film in bianco e nero. A volte viene nascosta, chiusa chiave nei cassetti della storia. Ma altre volte, torna, ritorna, e lascia tracce…. indelebili.
E’ la memoria del marzo 1978.
Nel quadrato di asfalto lasciato dalle transenne, ragazzi di vent’anni lasciavano in quei giorni bigliettini,scritti di getto su fogli a quadretti, carta da lettere, sopra pagine strappate di agende e diari,sul retro di volantini.
Versi di poesie, messaggi di arrivederci, come si fa per gli amici e per chi si vuole bene davvero.
E accanto a quelle parole libere porgevano fiori,regali,cioccolatini.
<<Uno,due,tre. I rintocchi del pendolo,è notte,fantasmi si aggirano per la stanza:i miei pensieri. Orrore, paura e rabbia, tanta rabbia che esplode improvvisa. Accendo la radio,musica,comunicato,frasi di circostanza,tutto è finito, su un marciapiede bagnato di sangue,coperto dai fiori ho lasciato una parte di me.>>
<<Non ce la faremo mai a cambiare perché le macchine continuano a passare,rallentano un poco e vanno,perché siamo in pochi e la gente è senza cuore.>>
<<Bruciati ora,su queste piazze fra queste strade,affermazione negata dall’uomo rinchiuso che fugge dalle tue parole,come un cane a cui vuoi togliere la museruola,per lasciargli abbaiare la sua rabbia e mordere chi lo vuole tenere alla catena.>>
<<Sono qua,seduta su un foglio dove scorre l’inchiostro e mi appare il tuo viso,dolce,allegro. Sono fra mille persone,ognuna è diversa ma ognuna sei tu. Ti vedo in ogni corpo,ti sento in ogni voce,ti cerco in ogni strada. E poi,nell’allegria dell’inchiostro ti ritrovo e ti bacio. Adesso il tuo viso non è più trasparente,adesso ti posso accarezzare,il tuo sorriso è caldo e vicino,i tuoi occhi chiusi sono davanti ai miei. Ti ho con me e domani ti porterò,ti rivedrò in ogni viso,ti cercherò altre volte,nell’allegria di un sorriso:per poi tornare ad avvolgermi nella felicità di ritrovarti ancora con me.>>
<<E questa foto tua,che guardi lontano,un po’ serio. Se te la facessi vedere ora,ti metteresti pure a ridere dicendo che non era venuta bene,che in fondo non eri proprio tu. E Tu,Jaio, dov’eri?Mi tornano in mente tutte le leggende antiche dei greci,quando i vivi si mettono a parlare con i morti. Poi non è più successo. La gente ha iniziato a dire che erano dei pazzi,che era meglio lasciare perdere. Perché bisogna dire che la tua è una morte politica dimenticando chi era Jaio? O dire solo che eri Jaio e dimenticare tutta quella gente sotto il sole e il vento di Milano con le montagne dietro?>>
<<…Ti ho portato in spalla,dentro tutto quel legno. Pensavo che eri tutto sballonzolato, sbattuto di qui e di là. Ora non possiamo più fare progetti insieme. Quando ti ho visto con i capelli tirati indietro,ho capito che non appartenevi più a te stesso. E mi sono messo il cuore in pace. Facevi parte di un rito. Lì all’obitorio. Poi,nel corteo,mentre ti portavo in spalla,eri cambiato. Eri dentro, dentro e dietro agli occhi. Quando ti hanno messo davanti alla chiesa ero un po’ geloso di consegnarti alla gente. Poi ho visto che ti trattavano bene. Non c’era nessuno che fingeva. Ti sono passati tutti davanti,i fiori,i pugni tesi,si vedevano i tendini,le mani serrate. Li ho visti,non fingevano, Jaio, fidati,ti hanno trattato bene.>>
<<Di te conoscevo solo i sogni,il tuo sorriso,i tuoi libri,avevo visto solo i tuoi grandi occhi e la musica che avevi dentro,non ricordo le tue mani,non so chi amavi,di me non conoscevi niente,non volevo scoprirmi. Solo falsità e come vorrei avere i tuoi pensieri verso un cielo stellato e una luna che ha visto e sentito o verso un selciato sporco e una strada buia. Puoi sentire quello che non ti ho mai detto?>>
Fausto e Iaio avevano diciotto anni.
Uccisi come Franco Serrantini, Saverio Saltarelli, Roberto Franceschi, Claudio Varalli, Giannino Zibecchi, Pietro Bruno, Giorgiana Masi, Walter Rossi, Carlo Giuliani.
Oggi conosciamo una verità storica ma non abbiamo ancora giustizia.
Dimenticandoli li uccideremo una volta ancora.
Per chi ama ancora sognare.