Raramente, nella storia recente, abbiamo visto un governo cantonale mostrare più codardia, di fronte a quelli che potremmo chiamare i “poteri forti”, di quanta non ne abbia dimostrata in questi ultimi anni il governo ticinese sulle vicende che coinvolgo l’Officina.
Terminato il periodo del sostegno alla lotta dei lavoratori, una fase dalla quale non ha potuto sottrarsi soprattutto a causa della grande mobilitazione popolare, l’autorità politiche cantonali e – per loro tramite, val la pena ricordarlo, le forze politiche che ne fanno parte – si sono sempre più orientate verso uno “sganciamento” dai destini dell’Officina, lasciando di fatto “mano libera” all’azione delle FFS.
Alla base di questo atteggiamento vi è, come detto, un posizione di sudditanza nei confronti delle FFS, una delle imprese più potenti del paese. Un’impresa che, da tempo, ha dimenticato il proprio mandato pubblico e che orienta la sua politica, in modo costante, sulla ricerca della massima redditività del capitale investito, in particolare nel confronto con capitali simili investiti nello stesso settore, nell’ambito della concorrenza e competitività internazionale.
E, naturalmente, le FFS non perdono occasione per sottolineare questa loro potenza e questa dipendenza servile del Cantone. Ricordiamo, ad esempio, il recente incontro tra la ex-regia federale e il governo ticinese, nel quale, con malcelata compiacenza, le FFS hanno insistito sul quasi magico ammontare di due miliardi di investimenti previsti per i prossimi anni in Ticino. Una serie di investimenti e di progetti che le FFS fanno nel loro unico interesse aziendale: non possono certo “saltare” il territorio Ticino (anche se, potendo, lo farebbero…)