Guillermo Almeyra è argentino, ma scrive soprattutto per il Messico (dove ha vissuto a lungo e dove pubblica ogni domenica un articolo su “La Jornada”), e si avvale di una lunga esperienza militante in molti paesi. Questo nuovo commento alla situazione post elettorale in Venezuela affronta uno dei problemi su cui l’opposizione a Chávez e a Maduro ha puntato molto, il diffondersi di una criminalità diffusa che colpisce molti strati della popolazione.
Lo fa alla luce di alcune esperienze di autorganizzazione di milizie popolari in Messico (ma se ne potrebbero portare altre, segnalate ad esempio da Raúl Zibechi in Bolivia) come strumento efficace per isolare e colpire i delinquenti espellendoli dalle comunità. Uno strumento certo più efficace delle molte polizie che il chavismo ha ereditato dal regime precedente, e che a giudizio unanime sono particolarmente corrotte e corrompibili. Ma da questo problema Almeyra parte per raccomandare l’autorganizzazione dal basso, come strumento per rafforzare il chavismo di fronte a un avversario insidioso e tentato nuovamente dal golpe. I giornali italiani non lo dicono, o fanno credere altrimenti, ma le vittime degli scontri violenti dei giorni scorsi erano tutti sostenitori di Nicolás Maduro.
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La maggioranza elettorale chavista va guadagnata o riconquistata ogni giorno, soprattutto quando gli effetti dell’inflazione e della svalutazione ridimensionano i salari reali, la delinquenza suscita insoddisfazione e insicurezza e non si è intervenuti per correggere la corruzione e l’inefficienza dell’apparato statale ma, in particolare, quando tutto – economia e società – dipende dal sempre instabile prezzo del petrolio. Per questa ragione si sta facendo una corsa contro il tempo tra, da un lato, l’operato del governo chavista per consolidare la propria base sociale e, dall’altro lato, il logoramento provocato dai problemi sociali e politici (e dall’intervento controrivoluzionario) che progressivamente riduce la base elettorale del chavismo.
Così, il governo di Nicolás Maduro si scontra con il golpismo interno fomentato da Washington e deve, al contempo, procedere su una lastra di ghiaccio rischiosamente fragile, mentre sta cercando di affermarsi su basi sociali più stabili.
Ha già adottato giuste misure d’emergenza, ad esempio il commissariamento per 90 giorni dell’intera rete elettrica, per cercare di evitare i sabotaggi, poiché le interruzioni di corrente disorganizzano la produzione e danneggiano ed irritano la popolazione più povera, alla quale il chavismo si richiama.
Si trova però di fronte ad altre priorità, quali la repressione della criminalità, alimentata dall’influenza dei narcotrafficanti colombiani e dalle manovre statunitensi, ma che si basa sulla natura dell’economia venezuelana incentrata sulla rendita. Non saranno l’esercito o la polizia a ripulire questa stalla di Augía; sarà solo la forza popolare organizzata a poter bloccare la delinquenza. Se nelle comunità messicane si eleggono direttamente in assemblea corpi di polizia comunitari sorretti dalla popolazione, che ne può revocare i comandanti, anche in Venezuela si possono creare in ogni distretto milizie volontarie, armate dallo Stato, spalleggiate, garantite e controllate dagli abitanti, che scovino i delinquenti, li dissuadano o reprimano e li disarmino. La garanzia dell’autonomia di polizie comunitarie del genere verrebbe dalla nomina diretta ovunque e dal controllo assembleare di chi ne fa parte e questo attribuirebbe loro, a propria volta, autorità morale e politica. I Comitati di Difesa della Rivoluzione cubana si trasformarono presto in organismi di controllo dello Stato e del partito unico, e questo la polizia comunitaria deve evitarlo a ogni costo, grazie al controllo democratico delle comunità stesse e al pluralismo politico nella loro composizione (dal momento che vi sono decine di migliaia di venezuelani che non sono d’accordo con questa o quella politica specifica del governo chavista, ma non per questo sono agenti dell’imperialismo o controrivoluzionari.
Altro compito del governo è la lotta contro l’inefficienza nelle imprese e contro la possibile corruzione dei rispettivi dirigenti, ma lo strumento migliore per evitare furti e sprechi è il controllo sulle spese e il rendimento delle loro fonti di lavoro da parte dei lavoratori e dei tecnici organizzati in comitati ad hoc eletti con criteri di rotazione, a prescindere da quale sia l’opinione politica o sindacale di chi ne fa parte.
Per altro verso, lo stesso Hugo Chávez guidò un piano ambizioso di costruzione di abitazioni popolari che si sta quantitativamente e qualitativamente realizzando, anche se non è ancora sufficiente a coprire la grave carenza che esiste in quest’ambito. Tuttavia, a differenza di Cuba – dove si cercò di rimediare al problema tramite l’autocostruzione, ma con scarsi risultati data la carenza di materiali – il Venezuela ha la possibilità di rafforzare la partecipazione popolare a questa campagna, combinando uno sforzo economico con un forte sostegno tecnico all’utilizzazione della manodopera dei futuri beneficiari.
Per quanto riguarda la trasformazione delle basi dell’economia venezuelana, essa richiede piani a medio e lungo termine, poiché la dipendenza dall’esportazione di petrolio verso gli Stati Uniti costituisce una spada di Damocle pendente sul processo rivoluzionario. Il Venezuela deve perlomeno creare una base per la sua sicurezza alimentare e produrre nel paese i beni alimentari e quelli di base, attraverso un piano sostitutivo di importazioni e di incentivo alla creatività in materia di innovazione tecnologica e della riduzione di inutili sperperi, accanto a misure selettive nel concedere permessi d’importazione. La “boliborghesia” protesta se non ha whisky, champagne ecc., ma protesterebbe meno la gente comune se potesse trovare tutti i giorni il latte, i pannolini, il sapone e i beni di prima necessità che scarseggiano crudelmente.
Ultima grande priorità che, per affrontarla, richiede solo l’indispensabile volontà politica, è la fiducia nella capacità di comprensione e di organizzazione dei lavoratori chavisti, sviluppandone l’autorganizzazione, dando alla democrazia il più ampio margine possibile e il più ampio margine di autonomia delle sue organizzazioni rispetto all’apparato statale (sia esso il governo o l’esercito) con il quale certo devono coordinarsi, senza tuttavia essere a questo subordinato.
Questo, d’altronde, il reale significato dell’idea che bisogna colmare il vuoto lasciato dalla personalità di Chávez con una direzione collegiale, perché questo concetto non possa portare a un direttorio di notabili ma all’assunzione delle sue responsabilità e della decisione politica da parte del popolo chavista organizzato nei molteplici strumenti di potere popolare. Essi saranno, così, gli strumenti di questo Stato attuale in una fase di difficile transizione e, soprattutto, embrioni di altro Stato non capitalista nel prossimo futuro.
Gramsci scrisse che perché un operaio metalmeccanico fosse socialista avrebbe dovuto smettere di essere metalmeccanico, e cioè, che doveva smettere di distinguersi come membro di una categoria e di una classe. Perché dal chavismo possano nascere elementi socialisti occorre prima consolidare l’autorganizzazione socialista a spese dell’attuale dipendenza verticale, anche se chavista, dallo Stato.
Traduzione è di Titti Pierini per www.antoniomoscato.altervista.org