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Giorgio-Giudici-e-Marco-BorradoriDa qualsiasi parte li si prenda, i risultati delle elezioni comunali suppletive svoltesi in Ticino lo scorso fine settimana hanno segnato (e confermato) una svolta a destra chiara.

 

Tralasciamo nella nostra valutazione il risultato del nuovo comune di Pedemonte dove si è affermata una lista rosso-verde che poteva contare già su una forte presenza in alcuni dei comuni che partecipano a questo nuovo raggruppamento comunale (oltre a questo andrebbero indagate anche ragioni “sociologiche” che spiegano questo risultato).

Ci concentriamo, nella nostra riflessione, su Lugano e Mendrisio che rappresentano comunque due tra le maggiori realtà politiche del Cantone; gli elettori dei questi due comuni rappresentano circa un quarto di tutto l’elettorato del cantone: di che farne una sorta di voto che saggia gli umori a metà della legislatura cantonale.

Fanno sorridere i commenti sulla “lotta” all’ultimo sangue che Lega e PLR avrebbero condotto per la conquista della maggioranza a Lugano, ormai la città-faro del Ticino sia per le sue dimensioni che per la sua forza economica (ingente seppur un po’ crisi). Ora nessuno ha capito su cosa verteva questa lotta. Certo, vi era in ballo la poltrona di sindaco e la maggioranza relativa in Municipio. Ma, al di là di questo, nessuno può seriamente pensare che tra Lega e PLR vi siano delle divergenze di fondo su contenuti e forme della gestione di Lugano.

Tanto e vero che il duello si è dovuto, per forza, concentrare sulle persone. E non è che questo abbia modificato i termini del confronto. In fondo, per usare un linguaggio renziano, a scontrarsi erano due elementi da “rottamazione” come Borradori e Giudici. A noi, evidentemente, questo tipo di linguaggio non piace; ma è evidente che entrambe le figure rappresentano la più assoluta continuità di quella “casta” (o “classe politica” come si ama chiamarla da noi) che ha governato, d’amore e d’accordo, le sorti del cantone negli ultimi dieci-quindici anni.

A Lugano questa alleanza è stata particolarmente visibile nell’asse di ferro tra Bignasca e Giudici, che hanno governato la Città e tutti i processi economici, politici e sociali ad essa legati: dalla politica fiscale a quella delle fusioni, dalla politica sociale e quella pianificatoria.

In questo contesto credere che a Lugano vi sia stata una lotta è assolutamente ridicolo. Per contro il risultato ottenuto sia dal PLR che dalla Lega (entrambi si sono elettoralmente rafforzati): il PLR passa (utilizziamo i dati del Consiglio Comunale) dalle 4’032 schede del 2008 alle attuali 4’495, mentre la Lega addirittura dalle 2’978 schede del 2008 alle 4’553 di queste elezioni. E questo significa una sola cosa: che la destra (che, come detto, appare abbastanza omogenea sugli orientamenti di fondo) si è rafforzata elettoralmente in questa tornata elettorale. E lo ha fatto senza eccezionali travasi voti. Basti pensare, ad esempio, che sia il PPD che l’UDC ottengono risultati non molto diversi da cinque anni fa. Il PPD migliora leggermente il suo risultato passando dalle 2’121 schede di quattro anni fa alle 2’177 di quest’anno mentre è l’UDC a perdere passando dalle 658 schede del 2008 alle 412 di quest’anno: una perdita importante percentualmente ma assolutamente ininfluente dal punto di vista numerico (basti pensare che la Lega ha ottenuto oltre 1’500 schede in più rispetto a cinque anni fa!

In casa socialista le cose non sono andate molto bene. Il PS ed i suoi alleati totalizzano 2’099 schede, di meno delle 2148 ottenute dalle stesse forze nel 2008. Naturalmente ci si può accontentare di aver mantenuto il seggio. Ma non vi sono dubbi che le elezioni di Lugano confermano perlomeno una stagnazione, vedi un declino, che caratterizza l’era Lurati. La vittoria di Bellinzona di due anni fa aveva in parte oscurato le difficoltà e le perdite social-liberali, sia rispetto alle precedenti comunali che, soprattutto, alle elezioni cantonali del 2011. Tutti hanno già dimenticato la perdita di seggi pesanti come quello nel Municipio di Locarno, Chiasso, Biasca, ecc.

Da Mendrisio non giungono segnali diversi: anzi, l’entrata della Lega in Municipio non è altro che la conferma di un forte blocco sociale e politico condotto da un PPD (particolare conservatore a Mendrisio) che supera il 40% dei voti, anche se deve segnare una piccola flessione di schede.

Anche qui la sinistra social-liberale, pur mantenendo il proprio seggio (verosimilmente grazie all’apporto dei nuovi comuni della Montagna nei quali tradizionalmente la presenza della sinistra – un po’ per le stesse ragioni sociologiche evocate per Pedemonte – è sempre stata di gran lunga superiore alla media cantonale), è ridotta ad una presenza poco più che testimoniale.

Infine, sempre per quel che riguarda la sinistra social-liberale, vale la pena segnalare l’assoluta continuità (per non dire il rafforzamento) delle logiche concertative nelle scelte degli eletti che la rappresenteranno in Municipio. I due nuovi municipali PS di Lugano e Mendrisio, nell’ambito delle correnti all’interno del PS, rappresentano sicuramente le ali più “liberali” e “concertative: strumenti inadatti, qualora questa fosse l’intenzione del PS, a rifarsi un’immagine “opposizione”.

Infine i Verdi. Non hanno cantato vittoria, malgrado abbiano migliorato la loro posizione rispetto alle precedenti elezioni comunali. Ma per loro il confronto con le elezioni cantonali – nelle quali avevano sfondato – è davvero impietoso. Ed è forse la comprensione di questa difficile situazione che spinge Savoia a cercare raccattare consensi in tutte le direzioni con annunci di svolte strategiche e di iniziative politiche un giorno si e uno no. Basti pensare che alle ultime elezioni cantonali nella sola città di Lugano (non ancora allargata ai recenti comuni) i Verdi avevano ottenuto quasi 1’096 voti, molti ma molti di più dei 720 ottenuti ora nel comune allargato. Non abbiamo voglia e tempo per fare un ricerca tenendo conto dei nuovi comuni: ma non ci sorprenderebbe scoprire che a Lugano (aggregata) il numero di schede conseguite lo scorso fine settimana da Verdi rispetto alle elezioni cantonali di due anni fa sia praticamente quasi dimezzato. Certo, non solo elezioni comparabili: ma sono dati che dovrebbero far riflettere.

L’aspetto che dovrebbe far riflettere, almeno per chi ancora si muove in una prospettiva di sinistra, è constatare come la crisi sociale abbia rafforzato la destra e non, come si sarebbe potuto pensare, le forze della sinistra.

Una constatazione che implicherebbe una discussione su diversi punti.

Primo tra tutti il rapporto tra crisi sociale e traduzione in termini elettorali, assioma sul quale da sempre si è fondata la politica delle forze della sinistra.

Un secondo elemento, ad esso collegato, è una valutazione sulle politiche che le forze che si richiamano alla sinistra hanno condotto a livello istituzionale: forse l’immagine che ne esce non è tale da spingere i salariati a orientarsi verso queste forza al momento dell’emergere della crisi sociale.

Sono piccoli grandi interrogativi; che tuttavia ci dicono che forse è ora di ripensare cosa significhi una politica di sinistra.