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napolitanoPubblichiamo qui di seguito tre brevi commenti di Antonio Moscato, storico e osservatore politico, che mettono in rilievo alcuni aspetti legati alla vicenda della elezioni del presidente della repubblica italiana. I testi sono stati scritti “a caldo” in concomitanza con l’evoluzione, caotica, della situazione. (Red)

 

 

Non è un golpe, ma… *

 

Ho sempre criticato gli eccessi verbali, le “frasi rivoluzionarie”, che impediscono di descrivere efficacemente la realtà. Mi ha dato fastidio l’abuso del termine fascista per definire quasiasi regime autoritario, o per insultare un avversario politico. Non sono stato d’accordo quindi con Grillo quando ha definito un “golpe” l’elezione di Napolitano. È stata una scelta indecennte, ma rientra perfettamente nel quadro del “normale” funzionamento di una democrazia parlamentare in cui la grande maggioranza degli eletti sono abituati a ingannare e calpestare la volontà dei propri elettori, confidando sulla loro memoria corta, e sull’efficacia delle campagne di intossicazione condotte dai mass media.

Non mi piace il termine non perché è “esagerato”, ma perché finisce per mitizzare indirettamente il sistema parlamentare, che è sempre stato corrotto e corrompibile. La vera “Marcia su Roma” di Mussolini (in vagone letto) è stata possibile perché c’era una maggioranza di popolari e di liberali pronta a votarlo come premier, e un re e un apparato militare complici e impegnati a paralizzare chiunque avesse voluto resistere. Non occorreva in quel momento la forza, che era stata usata in abbondanza nei due anni precedenti per spezzare e piegare la resistenza dei lavoratori, e che sarà poi usata di nuovo, utilizzando l’intero apparato statale, negli anni successivi.

Non sono dunque d’accordo con l’uso in questo caso del termine “golpe” non certo per assolvere i tanti registi della conclusione di questa farsa, ma per esprimere la mia critica nei confronti della democrazia parlamentare, che nei grandi classici del marxismo dei primi decenni del Novecento era scontato definire corrotta e al servizio del grande capitale.

Ma come rimproverare Beppe Grillo per una parola sbagliata, quando all’unisono destra (vera) e centrosinistra (finto) hanno ripetuto il mantra della “Marcia su Roma annunciata da Grillo” e poi fallita? Una menzogna totale, che verrà usata come precedente per vietare qualsiasi manifestazione di piazza nella Capitale, etichettandola come “marcia su Roma”. Finora lo si era fatto – arbitrariamente – solo contro gli studenti che cercavano di portare la loro protesta sotto i palazzi del potere…

Capisco anche l’esasperazione di tanti parlamentari eletti nelle liste del M5S che si sono sentiti insultare in aula per aver esercitato il loro diritto di non alzarsi e non applaudire per rendere omaggio a chi è stato nominato in oscuri conciliaboli alle spalle del parlamento. Napolitano, per giunta, non merita rispetto non solo per i modi con cui è stato imposto per realizzare un governo di “larghe intese” non gradito alla maggior parte degli elettori (compresi quelli di centrodestra che credono alle sparate berlusconiane contro i comunisti) ma anche e soprattutto per aver esercitato il suo potere nel settennato precedente andando ben al di là delle sue prerogative, introducendo forzature extraparlamentari e presidenzialiste per far passare la sua volontà di obbligare il suo debole e incoerente partito di provenienza a una collaborazione suicida con una destra spudorata e insaziabile, guidata da un pregiudicato che in ogni altro paese sarebbe al bando, e che in Italia ha l’ardire di proporsi come ministro della giustizia…

 

* domenica 21 aprile 2013

 

Il peggio non è mai morto*

 

Incredibile e scandaloso. Il gioco al massacro che appariva incomprensibile alla maggior parte degli esseri normali, ha una spiegazione. Era impossibile far ingoiare con altri mezzi le “larghe intese”, cioè riportare al governo Silvio Berlusconi, la Santanché, il grottesco Gasparri, quindi si è dovuto mobilitare personalmente Giorgio Napolitano, fautore da sempre di quell’unità nazionale che ha prima logorato poi distrutto la sinistra, alleandola a quelli che un tempo erano i suoi nemici e cancellandone l’identità. Così potranno fare tutti insieme le famose “riforme” che distruggeranno gli ultimi residui di democrazia formale.

Mi pare difficile che questa orribile soluzione venga bocciata, tenuto conto che si mobiliterà in suo favore tutta la destra, e soprattutto che nessuno della cosiddetta sinistra ha osato rifiutarla apertamente. Persino Vendola, mentre formalmente annunciava il suo voto ancora per Rodotà, ha ribadito la sua stima per Giorgio Napolitano, senza avere il coraggio di dire che non la merita, che non è al di sopra delle parti, ma è l’esponente di una fazione che conduce una guerra feroce contro ogni residuo dei diritti dei lavoratori.

Una minima possibilità di un’ulteriore votazione a vuoto c’è, ma è legata a un motivo tutt’altro che nobile: le nullità, vecchi e giovani, che riempiono il parlamento, possono temere che Napolitano proceda a uno scioglimento anticipato delle camere, e quindi che le nuove elezioni siano pericolose per molti di loro indipendentemente dalla legge elettorale, che per giunta a breve scadenza sarebbe inevitabilmente il porcellum.

Sarebbe stato meglio verificare la reazione dell’elettorato del Friuli Venezia Giulia a questa crisi politica. Una bastonata non solo al PD ma a tutti i partecipanti a questo squallido gioco poteva rafforzare l’ipotesi di una convergenza di un pezzo del PD sulla candidatura di Rodotà (in sé non fortissima e non risolutiva,ma neppure sovversiva e scardinante come la presentano i furfanti come Gasparri). Sarebbe bastato non drammatizzare il fatto che non si è eletto il presidente nelle prime votazioni, e si fossero fatti altri tentativi a vuoto, come si è fatto in tante altre elezioni presidenziali senza che accadesse nulla di drammatico. Ad esempio Sandro Pertini (il più amato e onesto, anche se pasticcione e confusionario), fu eletto al sedicesimo scrutinio).

Non è vero come ripetono tutti i commentatori più infami che l’Italia è in crisi perché è senza governo, casomai è ancora più in crisi proprio perché il governo c’è: Monti ha continuato a far danni, sotto la guida dei superburocrati dell’Unione Europea e con la benedizione di Napolitano. Per uscire dalla crisi servirebbe ben altro: una svolta radicale, e soprattutto una ripresa dell’attività degli sfruttati, degli oppressi, dei pensionati umiliati, degli esodati non protetti, dei licenziati e dei precari.

Magari per fare come è stato fatto in America Latina (in Argentina, Ecuador, Bolivia), scendendo in piazza per cacciare un ceto politico lontanissimo dai problemi del paese.

 

*20 aprile 2013. Per ulteriori approfondimento sul ruolo e al storia di un personaggio come Napolitano rimandiamo agli articoli sullo stesso blog di Antonio Moscato http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_tag&task=tag&tag=napolitano

 

Un’occasione mancata!

 

Non ho commentato lo squallido spettacolo del voto per il presidente della repubblica, un po’ perché non riesco ad appassionarmi alla questione: con questa repubblica, nessuno, neanche il migliore dei candidati potrebbe cambiare davvero le cose. D’altra parte ci si è appassionati per un nome o per l’altro, senza che si sia mai discusso dei compiti, dei programmi. Quando i 160 deputati e senatori del M5S hanno scoperto finalmente la possibilità di far politica e di incidere sulle contraddizioni del PD, lo hanno fatto proponendo al PD dei candidati accettabili: hanno scelto (sia pure in modo non limpidissimo, dato che hanno evitato di comunicare i voti raccolti da ciascuno) quasi tutte persone per bene, ma senza la minima caratterizzazione di classe.

Rodotà ad esempio è un buon democratico, infastidito dalle trattative suicide di Bersani, ma non in nome di un’altra linea, e non a caso ha potuto essere presidente del PDS, che era un partito un po’ meno caotico, ma non più decente del PD. Prima di lui erano emerse nella lista due persone degne, l’una come giornalista davvero indipendente e capace di non farsi intimidire dalle querele, l’altro come chirurgo di guerra che agli occhi di una destra troglodita ha la “colpa” di non domandare al ferito prima di operarlo da che parte combatteva. Ma sia Milena Gabanelli, sia Gino Strada hanno coerentemente declinato sapendo bene di non avere le forze per fare qualcosa di utile anche in quel mondo politico istituzionale italiano che appare simile a una gabbia piena di serpenti, jene e sciacalli e altre belve.

Meno comprensibile che nella rosa di nomi del M5S ci fossero anche due persone tutt’altro che rispettabili come la Bonino e Prodi, ma è una prova in più che questo nuovo movimento è assai vicino a quel “popolo della sinistra” che finora ha continuato a ripetere sciocchezze sui “grillini complici della destra”. La Bonino è esponente di una destra cinica e filoimperialista, ma come rimproverare a dei dilettanti della politica di aver creduto ai miti sparsi sulla sua figura dai leader del centrosinistra che l’hanno più volte candidata? Per Prodi, il discorso è più o meno analogo. Oltre ad apparire “al di sopra delle parti” solo perché un paio di volte è stato defenestrato da una congiura di palazzo partita dall’interno del suo stesso schieramento, e si è per un po’ defilato, è soprattutto l’uomo che ha smantellato l’industria di Stato, regalandone i pezzi migliori a prezzi di svendita ai privati, come nel caso clamoroso dell’Alfa Romeo. E il suo governo ha continuato gli impegni nelle guerre imperialiste in Medio Oriente, continuato con la corsa agli armamenti, introdotto forme di lavoro precarie.

Naturalmente la scelta di questi candidati presidenti, insieme ad altri, in genere magistrati, alcuni rispettabili come Imposimato, e altri come Caselli, che sono invece assai sensibili alle lusinghe del potere, quando si tratta di grandi affari come la TAV, conferma l’assurdità di catalogare il M5S come di destra. I suoi candidati sono tutti più o meno di sinistra o almeno considerati tali, ma la questione è che nessuno di loro è davvero alternativo al sistema politico e sociale esistente. In questo l’operazione di Grillo di puntare sulle contraddizioni del PD, non è solo tardiva ma ha il difetto di mettere al centro solo questioni “sovrastrutturali”: il conflitto di interessi o l’ineleggibilità di Berlusconi, come se si trattasse di una contestazione “girotondina” più grande, ma della stessa natura, mentre non ci sono proposte che affrontino i problemi tragici della distruzione di milioni di posti di lavoro, e tantomeno una proposta per rilanciare un sindacalismo di classe. È di sinistra, ma inadeguato come il PD…

Ho già commentato a suo tempo l’uscita infelice di Grillo a Brindisi sulla soppressione dei sindacati perché “vecchi come i partiti” (sbagliata perché, come i partiti, anche i sindacati sono degenerati e sono diventati un’altra cosa “nuova”, ma che non serve a niente), che era aggravata dalla toppa peggiore del buco: si faceva eccezione per la FIOM e un imprecisato “Cobas” :Quale? Ce ne sono diversi, alcuni molti settari e quindi poco utili alla ricostruzione di un vero sindacato di classe; quanto alla FIOM, sono fondati i dubbi sulla sua capacità di reggere alle pressioni della direzione della CGIL e alle difficoltà dei compiti… Ne abbiamo parlato più volte, e anche oggi lo ha fatto Sergio Bellavita: Landini e Camusso verso il patto sociale

Credo che questa situazione fa sentire la necessità di costruire uno strumento che serva a contrastare la totale frammentazione delle forze, e a dare vita a una iniziativa unitaria capace di nuova efficacia sociale, di cui abbiamo dato notizia con speranza. Uno strumento che possa porsi anche il problema di una tattica nei confronti egli elettori (e degli stessi eletti) del M5S. Non è possibile che una grande forza che ha un quarto della rappresentanza parlamentare continui a stuzzicare il PD con polemiche marginali che riguardano solo i rimborsi e gli inciuci, senza attaccarne l’inadeguatezza totale rispetto ai problemi dell’occupazione e della difesa dei salari. Non aiuta liquidare in modo preconcetto l’idea stessa di partito, in quanto tale, tanto più se in pratica, a parte alcune trovate propagandistiche e terminologiche, si funziona più o meno nello stesso modo. I frammenti della vecchia sinistra raggruppatisi confusamente intorno alla debolissima candidatura di Ingroia (ancora una volta un magistrato…) non sono stati capaci di assolvere a questo compito, e hanno considerato il fenomeno Grillo solo come un concorrente fastidioso, oltre a dare un pessimo esempio di democrazia nei criteri di formazione delle liste e di rimaneggiamento continuo dei programmi…

È uno dei compiti urgenti che invece si porranno di fronte ai compagni raccolti intorno alla proposta: Costruire un movimento politico anticapitalista e libertario che a differenza di “Rivoluzione civile” e altri tentativi analoghi ha il vantaggio di NON ESSERE una proposta elettorale…

Postilla.Avevo finito questo articoletto da ieri, ma avevo aspettato a pubblicarlo per la possibilità di qualche sorpresa nella quarta votazione. Una vera sorpresa non c’è stata, anche se la rapidità del processo di decomposizione del PD e dell’intero ceto politico si è accelerata. La crisi che ha bruciato due candidati “forti” (almeno sulla carta), un Franco Marini che aveva il solo merito di essere stato scelto da Berlusconi, e un Romano Prodi accettato all’unanimità da un assemblea mattutina e non votato in aula da almeno cento grandi elettori del PD, non si spiega solo con l’incapacità del segretario, ma con un inconfessabile timore di una linea che potesse portare a un conflitto con il centro destra con il rischio di elezioni ravvicinate. C’entra poco la questione delle origini democristiane o “comuniste”: quelli che non hanno votato disciplinatamente sono tanti e provenienti da ogni parte. In comune hanno solo il timore di non essere rieletti, e l’abitudine a mentire sempre. Neppure per un momento hanno pensato di votare insieme ai grillini una persona perbene come Rodotà, sanno che provocando il caos, riusciranno a far passare una linea oggi indigeribile a buona parte del loro elettorato, quella di un “governo di tutti”, cioè con Berlusconi e la Santanché. Che naturalmente gongolano, hanno attirato il PD in una trappola, e ora riprendono l’iniziativa, facilitati dal fatto che di personaggi infami da riproporre al PD, anche pescati al suo interno come Giuliano Amato, ne hanno molti, moltissimi. E hanno dalla loro la moral suasion di Napolitano (che la userà anche quando sarà sostituito al Quirinale), e quella della cosiddetta Europa, cioè dei banchieri e finanzieri, a partire da Draghi, che ripetono ogni istante che “i mercati” esigono un governo stabile ( e amico…). Per non parlare degli editorialisti dei grandi quotidiani, che vedono come unica salvezza per il PD il suicidio definitivo…

La maggior parte dei deputati vivono alla giornata, quindi si accontenterebbero di finire la legislatura, magari tra i fischi e le monetine o i bulloni tirati dalla loro base. Pensare a qualcosa di diverso sembra impossibile a un partito che ha praticato da sempre gli accordi più o meno segreti con l’avversario. Ma non solo dal 1994, come ha sostenuto Marco Travaglio in una efficace panoramica su “il Fatto quotidiano”: la storia del PCI è tutta intessuta, dal 1944 in poi, di frasi roboanti che coprivano accordi che calpestavano le aspirazioni e gli interessi della sua base sociale. Per anni aveva funzionato come collante il mito dell’URSS, che era riuscito a far ingoiare rospi giganteschi alla parte meno politicizzata della classe operaia, i guai sono cominciati quando è apparso evidente che non funzionava più, e si è cominciato a cercare a tentoni, sotto la guida di Berlinguer, e la supervisione di Napolitano, altri riferimenti, magari “l’ombrello protettivo della NATO”…

Ne ho parlato a lungo, in scritti che ora sono sul sito (ne cito uno solo: Il PCI al bivio, anche se ce ne sono parecchi altri che possono essere utili, come Il PCI al governo. 1944-1977), ma ricominciamo a discuterne nella sinistra, o prevarranno spiegazioni inconsistenti, che attribuiranno tutti i guai del PD solo alla stupidità del suo ultimo segretario, o viceversa a un inspiegabile “tradimento” di un quarto dei deputati, come fa Pierluigi Bersani, o magari al “destino cinico e baro”. Tutto meno che una spiegazione materialistica del penoso naufragio di una zattera costruita con i resti di altri naufragi.

 

* 19 aprile 2013