È iniziata da qualche settimana la raccolta di firme a favore della cosiddetta iniziativa “AVS plus”. L’iniziativa, per quel che riguarda l’aspetto delle rendite, chiede che esse vengano aumentate del 10% e l’USS, che ne è l’autrice, l’ha lanciata nel quadro del suo orientamento tradizionale che vorrebbe un rafforzamento dell’AVS a vantaggio della Casse pensione.
Naturalmente non ci si può opporre a qualsiasi proposta che propone, per quanto limitati possano essere, dei miglioramenti delle rendite AVS. Su questo stesso numero del giornale vi è un articolo di Werner Carobbio che invita a firmare questa iniziativa.
Ma, detto questo, dobbiamo interrogarci sulla validità della strategia proposta attorno a questa iniziativa e sui rapporti tra le strategie annunciate e i mezzi e le proposte messe in campo.
Cominciamo quindi con il dire che questa iniziativa non cambia per nulla i rapporti tra primo e secondo pilastro, né apporta miglioramenti significativi e realmente importanti ai pensionati. Infatti, e questo sono costretti a riconoscerlo persino gli ambienti sindacali, l’aumento del 10% delle rendite servirà a malapena a recuperare il terreno perso in questi ultimi anni a causa di successive misure di blocco degli adeguamenti delle rendite. Obiettivo al quale non ci si può certo opporre, ma che non permette di fare passi avanti significativi, quanto semplicemente a ritornare alla situazione di partenza di qualche anno fa.
Questo recupero parziale del primo pilastro non permetterà poi di recuperare quanto i pensionati hanno perso (e perderanno) a causa delle diverse riforme del secondo pilastro. Dalla diminuzione del tasso di conversione alla sistematica riduzione del tasso di interesse, alle diverse riforme regolamentari che hanno interessato le casse pensioni una volta basate sul primato delle prestazioni, tutto questo ha fortemente intaccato le rendite del secondo pilastro.
Il problema reale è che il sistema pensionistico di questo paese non riesce a garantire una rendita complessiva che permetta ai pensionati di vivere dignitosamente. Non lo permette a chi, pur avendo livelli salariali discreti, deve contare con pensioni sempre più insufficienti; non lo permette a chi già doveva contare su un basso salario che corrisponde a prestazioni pensionistiche insufficienti.
Le pensioni, val la pena ricordalo, altro non sono che salario. E hanno subito (e subiscono) l’offensiva che il capitale conduce da ormai due decenni contro il salario, onde poter mantenere e migliorare i livelli di remunerazione del capitale.
Di fronte a tutto questo non si può non vedere l’insufficienza, la pochezza, la totale inadeguatezza della proposta sindacale. È come mettere un cerotto sulla fronte di qualcuno gravemente colpito dalle metastasi di un tumore.
La cosa appare ancora più grave poiché, è evidente, questa proposta rappresenterà l’attività sindacale su questo terreno per i prossimi anni. Il segno evidente di una crisi di prospettive politiche e sindacali.
Solo riflettendo ad un’alternativa in termini di progetto, solo costruendo delle resistenze contro i piani di riorganizzazione pensionistica che imprese pubbliche e private da anni ormai mettono in atto (sovente, purtroppo, con la colpevole collaborazione di sindacati e forze politiche social-liberali), sarà possibile far emergere un’alternativa concreta alle politiche del capitale e dei suoi partiti.