Tempo di lettura: 5 minuti

Si va dalla “presentazione del rapporto finale sulle modifiche della Legge concernente l’aggiornamento dei docenti” alla “nuova classificazione/scale stipendi dei docenti”, dal nuovo “modello di abilitazione: stipendi docenti in formazione” al “ruolo e ai compiti del docente” per finire con la “riduzione dell’onere insegnamento”.

Un ordine del giorno, come si vede, impegnativo che, di fatto, enumera tutti i temi oggi in discussione nel mondo della scuola. Temi che, di fatto, sono stati sollevati dai docenti stessi, dalle loro associazioni (in particolare ha svolto un ruolo il Movimento della scuola) , negli ultimi anni e in particolare nelle mobilitazioni che hanno coinvolto i docenti, unitamente a tutti gli altri impiegati cantonali, nell’ultima parte del 2012, nell’ambito della lotta contro i tagli salariali e la riforma della cassa pensione.

Contemporaneamente le organizzazioni sindacali ci informano di avere scritto al governo (21 marzo) affinché vengano avviate trattative su “richieste da tempo presentate”. In particolare si tratta di “una rivalutazione degli stipendi e una riclassificazione delle funzioni” con l’obiettivo di “recuperare il rincaro perso negli ultimi 15 anni” e “per mantenere attrattive le funzioni”; accanto alla questione salariale le richieste investono l’orario di lavoro per il quale si propone una “sensibile” riduzione. “Sensibile” che significa, per le organizzazioni sindacali, una riduzione da 42 a 41 subito e una seconda tappa che permetta di giungere a 40 ore.

Il quadro rivendicativo appare quindi chiaro: aumenti salariali e diminuzione dell’orario di lavoro. Un quadro che, sia detto di passata, è stato deciso dall’alto, cioè dai comitati sindacali senza alcun lavoro né di discussione né di coinvolgimento dei membri dei sindacati, oltre che di tutti i lavoratori interessati. Ma, tant’è: il problema non è, a questo punto, nemmeno questo (anche se è difficile mobilitare le persone partendo da rivendicazioni che non “sentono”); il problema è come costruire una mobilitazione attorno a questi temi (salario e orario) nell’attuale contesto politico. E su questo, ci pare, le organizzazioni sindacali non mostrano di avere le idee chiare.

 

Il governo tira dritto…

 

Non vi sono dubbi che nella fase attuale (ed è così da molti anni) l’iniziativa politica è saldamente nelle mani di governo e parlamento. Sono loro a dettare i ritmi delle discussione e del dibattito politico. In particolare attraverso la politica finanziaria del Cantone che, in questi ultimi anni, non ha lasciato alcuno spazio significativo per soddisfare le rivendicazioni che, come ricordano i sindacati, sono state “da tempo presentate”.

In altre parole gli ultimi anni abbiamo assistito ad una costante offensiva da parte di Governo e Parlamento sul terreno delle condizioni di lavoro e di salario del personale. Le organizzazioni sindacali hanno risposto con grande difficoltà ed incertezza, limitandosi ad una politica di intervento istituzionale che cercasse di “limitare i danni”. Così è stato, ad esempio, sul tema della cassa pensione. Per anni si sono accettati peggioramenti con l’idea che questi “sacrifici” avrebbero permesso di “salvare” il sistema fondato sul primato delle prestazioni; ma, trovando poca opposizione, alla fine il governo ha pensato bene di “sfondare” ed è riuscito ad imporre il passaggio al primato dei contributi. Un peggioramento sostanziale nella struttura della cassa pensione (e quindi del sistema salariale: non dobbiamo mai dimenticare che le pensioni altro non sono che salario; differito ma sempre salario).

La stessa incertezza sui tagli salariali. Se è vero che l’ultimo contributo al risanamento delle finanze è stato combattuto fino allo sciopero, è anche vero che la prima esperienza di contributo al risanamento (in governo ancora Marina Masoni) era stata per finire “concordata” con le organizzazioni sindacali.

È questo , dunque, l’attuale contesto con un governo che sembra sempre orientato all’attacco delle condizioni lavorative e salariali dei dipendenti e che sa di avere, almeno per il momento, un rapporto di forza favorevole.

È in questo contesto che vanno inserite tutta un serie di indicazioni che emerge l’intenzione di continuare su questa linea di risparmio e di rigore: un dato concretizzato nella presentazione nel rapporto sul primo aggiornamento delle Linee direttive e del piano finanziario 2012-2015.

Le intenzioni del governo sono chiare. Non solo si indica una volontà generale di limitare le spese e di realizzare cospicue misure di risparmio; ma si esprime in modo chiaro che le spese per il personale saranno sicuramente uno degli elementi fondamentali di questa generale volontà di contenimento delle spese: “La concretizzazione di questo principio (cioè che le spese per il personale non devono crescere oltre il tasso di rincaro Nda) imporrebbe di valutare misure che permettano di contenere la spesa sia a livello quantitativo in termini di unità di personale impiegate sia a livello quantitativo in termini di salari e indennità versate”. E ancora: “Per quanto riguarda la presente legislatura, a queste misure dovranno possibilmente aggiungersene altre, in particolare nell’intento di compensare gli effetti finanziari della misura sul personale (contributo di risanamento) che   decadrà a partire dal     2014 L’obiettivo di rientro è quindi fissato a 12 milioni di franchi; le misure che lo concretizzeranno dovranno possibilmente essere decise già nell’ambito del Preventivo 2014”.

 

A cosa serve una trattativa?

 

È evidente che partecipare ad una trattativa è sempre possibile. Bisogna ancora chiedersi a che cosa possa servire in un contesto nel quale il governo non ha intenzione di cedere nulla ( e come potrebbe, visti gli orientamenti qui sopra richiamati?). Diciamo che si tratta, almeno per quel che riguarda salari, orari di lavoro e altri temi che implicano comunque un aumento di spesa – come quello dell’aggiornamento) , di tempo perso. Questo nella migliore delle ipotesi. Perché vi è anche un altro giudizio che può essere dato a questo tipo di pratica: quello di seminare inutili speranze che possono solo avere come conseguenza una sorta di disinteresse da parte dei lavoratori.

Infatti dobbiamo dire con chiarezza che non esiste alcuna trattativa degna di questo nome nel settore pubblico (perlomeno sui temi fondamentali). E questo per almeno due ragioni. La prima, l’abbiamo illustrata chiaramente, perché la controparte è orientata (e sempre di più lo sarà visti gli ultimi sviluppi) verso un contenimento della spesa per il personale: il che cozza con qualsiasi ipotesi di aumenti salariali o di diminuzione del tempo di lavoro.

Ma la seconda, fondamentale ragione, è legata ai rapporti di forza che, in questa fase, non sono certo favorevoli ai salariati del settore pubblico. I dati sulla partecipazione allo sciopero di dicembre confermano quello che abbiamo sempre sostenuto: di una discreta disponibilità alla mobilitazione da parte dei docenti (una disponibilità che si poteva cogliere da tempo) ed una per ora scarsa disponibilità da parte dei funzionari (sono stati meno di 200 su diverse migliaia a partecipare allo sciopero).

 

Costruire un rapporto di forza

 

È evidente che per poter negoziare (e affinché il negoziato sia qualcosa di diverso da una semplice resa alle offerte del governo) bisogno costruire un rapporto di forza. E questo è possibile solo con la costruzione di una presenza sindacale ed un ciclo di lotte sui luoghi di lavoro.

L’esperienza dello scorso dicembre avrebbe potuto diventare, se sufficientemente seguita dal punto di vista della strategia sindacale, un punto di partenza per tentare di costruire questo rapporto di forza. Ma le forze sindacali per orientamento ormai consolidato e altre forze per mancanza di convinzione (pensiamo qui al Movimento della Scuola che, ancora una volta, sembra volersi astenere a svolgere un ruolo “sindacale” diverso da quello tradizionale che potrebbe ben interpretare) sembrano essersi accontentate del risultato di novembre/dicembre e rinunciato a dare continuità alla loro azione.

Così, mentre il governo rilancia il principio dell’austerità con conseguenze per il personale, per le condizioni di lavoro e per lo sviluppo del servizio pubblico, non vi pare essere nessun che, subito, raccoglie la sfida e organizza una risposta per dire che questa politica, dal punto di vista del principio stesso ed ancora prima delle misure di dettaglio che arriveranno in autunno, è assolutamente inaccettabile. Ed attorno a questo rifiuto di fondo tentare di costruire una mobilitazione che, utilizzando la forza accumulata in dicembre, tentasse una nuova mobilitazione ancora prima dell’estate.

Non è tutto perduto. Ma per evitare di dover ricominciare tutto daccapo in autunno sarebbe utile che si cominciasse a discutere di questa mobilitazione, degli orientamenti e delle prospettive, già sin d’ora. Tutto gli impegni in altro ambito (iniziative, dibattiti, ecc), per rispettabili ed interessanti possano essere, sembrano sostanzialmente, in una prospettiva di mobilitazione dei salariati del settore pubblico, solo tempo perso.