Sabato 13 aprile si è tenuta al Volkshaus di Zurigo una giornata di solidarietà con il popolo siriano in lotta contro la dittatura di Assad. Si sono incontrate oltre 200 persone ed hanno partecipato a una conferenza-dibattito nel quadro di un prolungato movimento di solidarietà concreta e politica. La somma raccolta in questa occasione verrà destinata ad aiutare direttamente i bambini siriani.
L’incontro ha consentito di scambiare punti di vista tra i /le siriani/e impegnati/e nella lotta antidittatoriale. I partecipanti erano tutti originari della regione. I loro impegno, in diverse forme, nella battaglia democratica, per la libertà e la giustizia, attribuisce particolare rilievo al loro contributo nella discussione. Gilbert Achcar ha inquadrato la sollevazione siriana come parte del processo regionale (Tunii, Egittto, Yemen, Libia, ecc.). Il padre Paolo Dall’Oglio ha riconfermato il suo impegno militante nello scontro contro la ditttatura, alla luce dei suoi trenta anni di vita attiva in Siria, ed ha riferito sulla sua recente presenza nel paese, nonostante le minacce del regime contro di lui. George Sabra, presidente del Consiglio Nazionale Siriano (CSN), ha illustrato gli ostacoli incontrati dalla rivoluzione siriana e ha posto l’accento sulle scelte di quello che possiamo chiamare, in generale, un polo di sinistra in questa lotta difficile ma decisiva per l’intera regione.
Di seguito pubblichiamo l’intervento di Nahed Badawia. L’essenziale della conferenza-dibattito è stata filmata in DVD, che sarà messo a disposizione di chiunque sia interessato. (redazione de A l’Encontre: http://alencontre.org/) La traduzione è di Titti Pierini
Rivoluzione siriana
Durante la rivoluzione ho partecipato alle manifestazioni quando svolgevo la mia attività di giornalista. Ho anche partecipato al sostegno delle famiglie colpite dalla repressione nelle città e nei quartieri in rivolta di Damasco e nei suburbi di questa città come Duma. Barzeh, Al-Hajar, Al-Aswad; Artus e Dareya.
Sono stata attiva fin dall’inizio della rivoluzione, perché era questo il mio sogno fin dagli anni 1980, quando ero studentessa e partecipavo alla lotta contro il regime dittatoriale che dirige il nostro paese da ormai quarant’anni.
Quando eravamo giovani, la nostra fu l’ultima generazione politicamente impegnata, cosa vietata all’epoca dal regime di Assad. Ora c’è una nuova generazione di giovani che vogliono il cambiamento. Non vogliono più vivere come i loro genitori. Vogliono una “apertura”, un futuro in questo paese, che è bloccato, pietrificato; esigono una vita nuova e un paese libero. Vogliono vivere in uno Stato democratico, in uno Stato di Diritto, che trasformerebbe la Siria nel paese di tutti i siriani e di tutte le siriane.
Sono questi giovani, essenzialmente, che continuano a sostenere la rivoluzione siriana. Attualmente, tuttavia, ho l’impressione che nei mezzi di comunicazione di massa e nelle “istituzioni internazionali” esista la volontà di cancellare dal paesaggio, dalla lotta contro la dittatura, il popolo
Ci sono domande continuamente reiterate che interrogano anche me.
Rivoluzione
Sì, perché dopo il crollo del “campo comunista” (1989) e la fine della cosiddetta guerra fredda, la situazione che grava sul popolo siriano da quarant’anni sono senza comune confronto, nel mondo arabo e oltre, tranne la Corea del Nord.
In Siria, una famiglia mafiosa dispone del monopolio del potere, nei suoi vari aspetti, grazie a sistemi repressivi raramente visti nel mondo. La Siria è un paese chiuso, povero e privato di tutto. Il popolo siriano non ha libertà di espressione e di organizzazione, dispone di scarsissime possibilità di lavoro e manca di un’educazione moderna. Gli hanno portato via la dignità. Il regime ha vietato i sindacati, la stampa e i mezzi di comunicazione di massa liberi, le organizzazioni della società civile e i partiti politici.
La vita politica, storicamente attiva in Siria, è stata repressa: i membri dei partiti politici di opposizione sono stati imprigionati per vari decenni, provocandone l’atomizzazione. Anche i partiti che non hanno fatto opposizione al governo sono stati indeboliti, frammentati e sono privi di base popolare.
Si è innescata una politica di desertificazione del paese a tutti i livelli, sociali e politici. La Siria è stata diretta da dieci sezioni di servizi segreti e organi di repressione (Mukhabarat). La situazione è peggiorata nel corso degli ultimi sei anni, dopo che Assad era convinto di avere vinto la battaglia con gli Stati Uniti. Poi, tanto per far capire, ha messo la Siria nelle mani del potere iraniano, pur di salvaguardare il suo posto di dirigente. In un discorso pro-nunciato nel 2006, ha dichiarato che la sicurezza era prioritaria rispetto alla modernizzazione e allo sviluppo, e gli ultimi sei anni precedenti l’inizio della rivoluzione sono stati i peggiori che si siano conosciuti in Siria.
Guerra civile?
Quando è cominciata la rivoluzione, avevo paura del settarismo confessionale. Giorni prima che la rivoluzione cominciasse, scrissi un articolo intitolato “Come superare in Siria gli anni ’80, perché i giovani non cadano nel settarismo”.
In seguito, però, mi sono accorta di avere sbagliato. Di fatto, il fondamentalismo è stato utilizzato dal regime e dalle sue Chabihas (le milizie pro-Assad che non arretrano di fronte ad alcun atto di barbarie).
Per la nostra generazione è una fortuna vedere giovani siriani rifiutarsi di vivere come hanno vissuto i genitori. Grazie all’era delle comunicazioni e dell’informatica, hanno conosciuto una vita diversa. Sono andati in piazza per concretizzare il loro sogno. Il loro primo slogan è stato: “Uno, uno, uno, il popolo siriano è solo uno!”. Esprimono l’aspirazione a cercare di non cadere nel settarismo lottando per la libertà, la dignità, l giustizia.
Per questo, indipendentemente dai tentativi del regime di provocarli, finora non hanno avuto alcuno scontro confessionale rilevante.
Non ha paura degli integralisti?
Sì, certo, ho paura dei gruppi islamisti radicali. Li temo né più né meno di tutti gli integralisti, di tutti gli estremisti, siano essi sunniti o sciiti, o anche laici, nazionalisti, cristiani o ebrei. Oggi questi gruppi islamisti hanno acquisito – è visibile – una certa influenza sul campo. Questo però ha a che vedere col fatto che ci troviamo nel contesto di una lotta armata. La loro legittimazione è forte perché si battono contro il regime e, quindi, proteggono settori della popolazione dalla tremenda violenza dello Stato. Ma una volta che sia cessata questa violenza statale senza limiti, in seguito all’abbattimento del regime, tutto sparirà anche ciò che dà loro credibilità o ne fa scusare il “radicalismo”.
Non credo, assolutamente, che le loro poche migliaia di membri possano prendere il con-trollo del paese, né grazie alle armi né dopo attraverso le urne. Quindi dovremo magari combatterli, ma si tratterà di una battaglia politica. E quel che conosco della pratica religiosa predominante tra i siriani mi fa credere che non saranno assolutamente in grado di trionfare.
Che cosa ti aspetti dalla comunità internazionale?
Quello che ci aspettiamo dalla comunità internazionale oggi è, soprattutto, che cominci a considerarci un popolo normale che aspira alla libertà, e cioè che capisca e accetti la volontà del nostro popolo di avere accesso alla democrazia.
Ma ci aspettiamo anche che riconosca il volto civile di questa rivoluzione, volto che non si scorge mai sui mezzi di comunicazione di massa: ad esempio, le numerose manifestazioni pacifiche che continuano ad esserci in tutte le regioni della Siria, sia in quelle già liberate sia in quelle ancora sotto controllo del regime. Ogni venerdì si contano circa 200 manifestazioni, nonostante i franco tiratori, le fucilate, i bombardamenti.
È assolutamente indispensabile effettuare una vera indagine, con relativa denuncia ufficiale, sui detenuti nelle carceri siriane; senza dimenticare le terrificanti condizioni di detenzione e l’estrema sofferenza dei detenuti, torturati in più occasioni, fino a morirne. Nell’ultimo mese, peraltro, il numero di persone morte in carcere sotto la tortura è notevolmente aumentato. A volte, non si restituiscono neppure i cadaveri ai parenti. La maggior parte di queste persone nelle carceri sono giovani attivisti pacifici e, a volte, giornalisti, medici, manifestanti, intellettuali o persone impegnate nell’aiuto umanitario.
Per fare un esempio, in una cella prevista per 10 persone se ne ammucchiano 100: Mancano di tutto: ossigeno, cibo, igiene, cure mediche… ma nonostante tutto continuano a torturarle.
Occorrerebbe, inoltre, riferire ampiamente sulle attività in corso da parte della gioventù ri-voluzionaria: si pubblicano decine di giornali liberi che, in varia forma, tengono testa ai tre giornali ufficiali del regime.
Esistono poi consigli locali per la direzione delle zone liberate. Si effettua un lavoro di ap-prendistato per garantire la protezione degli edifici pubblici, onde evitare un incontrollabile caos nel caso in cui crolli il regime.
Vorremmo che questo risvolto civile compaia sui mezzi di comunicazione di massa, un volto civile che esiste in Siria da migliaia di anni. Si tratta di una realtà cui va restituito tutto il suo spazio, mentre il volto della rivoluzione viene ridotto sostanzialmente a “foto di barbudos”, a uomini in armi, per non parlare dell’islamofobia che impregna tanti di quei resoconti.
Una volta che questa verità sia conosciuta da tutti/e, sarà più facile estendere la solidarietà effettiva con il popolo siriano che lotta e procurargli i mezzi necessari per condurre in porto la rivoluzione e ridurne le sofferenze.
Per concludere, voglio inoltre affermare che la Siria non riguarda soltanto i siriani. Deve in-teressare tutto il mondo, poiché questo paese, questa regione, rappresenta la memoria dell’umanità.
Va tenuto presente che il regime di Assad non rispetta neppure il patrimonio archeologico siriano: saccheggia e distrugge siti archeologici e parti di città storiche. Tra l’altro, questi siti archeologici contengono la memoria ebraica, cristiana, musulmana, ottomana, romana, greca e araba, oltre a quella delle antiche civiltà. Non ci dimentichiamo che il primo alfabeto è nato in Siria.
Vorrei qui citare l’archeologo André Parrot – che ha diretto scavi in Libano, Irak e Siria fin dagli anni ’30 e che fu direttore del Museo del Louvre dal 1969 al 1972 – che ha detto una volta: Ogni persona ha due patrie: la sua e la Siria”.
È il vostro paese, sostenetelo! Difendetene l’esistenza!