Capita sempre più spesso, nel corso di discussioni di carattere politico-sindacale, vedere una certa convergenza tra dirigenti sindacali e dirigenti padronali attorno all’idea della “centralità” dello strumento del contratto collettivo di lavoro (CCL).
In Svizzera i CCL non rappresentano molto, come noto: solo il 40% dei lavoratori è sottoposto ad un CCL ed i CCL che contengono un salario minimo decretato di obbligatorietà generale (cioè valido per tutti i lavoratori, come fosse un articolo di legge) rappresentano meno del 20% di tutti i lavoratori attivi in Svizzera. Come dire che, con i soli CCL, non si va molto lontano.
Eppure questa idea della centralità dei CCL continua ad essere l’elemento attorno al quale si strutturano proposte ed attività sindacali.
È partendo da questa idea, ad esempio, che le organizzazioni sindacali hanno accettato il sostegno agli accordi bilaterali avallando le cosiddette “misure di accompagnamento” che avrebbero dovuto proteggere i lavoratori contro il dumping salariale. Queste misure di accompagnamento sono incentrate sul sistema dei CCL (infatti dovrebbero facilitare la loro adozione, nonché la loro decretazione di obbligatorietà). Ma di tutto questo, e sono passati molti anni, nemmeno l’ombra. Sono ormai tutti d’accordo (lo ammettono implicitamente persino i dirigenti sindacali) che le misure di accompagnamento sono state un vero e proprio flop. Il dumping aumenta e i dirigenti sindacali continuano a ripetere che le misure di accompagnamento vanno potenziate, ripensate, ecc. ecc.
Un secondo esempio riguarda l’iniziativa sul salario minimo lanciata dall’USS e sulla quale l’anno prossimo saremo chiamati a votare. Anche qui il salario minimo viene proposto quale sorta di complemento ad una politica salariale tutta incentrata sui CCL. Per questo è stato scelto un salario minimo (4’000 franchi) che a livello nazionale appare eccessivamente basso. Un salario che servirebbe a tutelare quei 400’000 lavoratori che, secondo le stime sindacali, riceverebbero un salario al di sotto dei 4’000 franchi. Per gli altri la via maestra sarebbe quella dei CCL.
Ora noi non vogliamo certo qui sminuire la validità e l’importanza dei CCL. Ma gioco forza è constatare almeno due cose.
La prima è che la loro forza è andata via via scemando negli ultimi anni. Il numero dei lavoratori sottoposti ad un CCL è aumentato in cifre assolute (diminuito comunque in percentuale) solo perché negli ultimi anni una serie di lavoratori che avevano uno statuto legale di protezione ( i funzionari federali ad esempio) si sono visti “degradati” a un rapporto di diritto privato, retto quindi da un CCL. Un progresso per i CCL, un regresso per i lavoratori.
La seconda è che, in concomitanza con la liberalizzazione del mercato del lavoro, il padronato ha avviato un vero e proprio processo di rimessa in discussione del ruolo, seppure debole come abbiamo visto, dei CCL. Laddove i CCL restano, il padronato tenta tuttavia di svuotarli di contenuto: essi regolano sempre meno le condizioni di lavoro e di salario.
La cronaca regionale delle ultime settimane ci ha segnalato due vicende in questo ambito. La prima è la vicenda della MES di Stabio , azienda metalmeccanica che occupa diverse centinaia di lavoratori. Qui il padronato, con l’obiettivo dichiarato di comprimere i costi salariali, non ci han pensato due volte a disdire il CCL. La seconda è quella dei lavoratori del granito ticinesi che non vogliono né un CCL cantonale di categoria (l’hanno disdetto a fine 2011), né adeguarsi, come vorrebbe la legge, a quello nazionale dell’edilizia principale.
Come andranno a finire queste due vertenze non è dato sapere al momento. Le organizzazioni sindacali hanno promesso l’inizio di “stagioni di lotta”, ma per il momento non se ne vedono i segni. Ma, al di là di questo, appare ormai sempre più chiara non solo la ritrosia del padronato alla stipulazione di CCL, ma un ruolo sempre più inadeguato di questo strumento per la difesa della condizioni di lavoro e di salario di ampi settori di lavoratori e lavoratrici.