Dall’inizio dell’anno siamo ormai al terzo morto sui cantieri in Ticino. Ancora una volta, nei giorni scorsi, si sono sprecati i propositi di tutti (sindacati e padronato in primis) che promettono di voler intervenire per evitare che simili tragedie si ripetano.
Propositi certamente lodevoli, ma che nelle loro motivazioni e nelle prospettive che indicano tendono ad eludere sia le cause vere che sono alla base di questi tragici avvenimenti, sia, di conseguenza, a non mettere al centro quelli che potrebbero essere gli orientamenti di politica sindacale necessari a sconfiggere questi fenomeni.
È vero che da parte sindacale si indicano, nel momento in cui si verificano questi avvenimenti, ragioni che sono oggettivamente alla radice del problema. In un comunicato immediatamente successivo all’ultimo episodio (il lavoratore morto in una betoniera), il sindacato cristiano sociale ha fatto notare come “i ritmi frenetici di lavoro, l’attenzione nello spingere l’attività al massimo profitto, la concorrenza sleale tra imprese, gli abusi in materia contrattuale più volte accertati ai danni di lavoratori, la presenza sui cantieri di manodopera non adeguatamente formata nella prevenzione infortuni (lavoratori interinali o distaccati), sono tutte componenti di rischio per l’incolumità dei lavoratori edili. Non passa inosservato il fatto che trattasi di tre lavoratori frontalieri, che giornalmente addizionavano a frenetiche ore di lavoro sul cantiere il tragitto casa lavoro”.
È sicuramente vero che tutti i temi qui evocati possono trovare risposte adeguate. Maggiore formazione, maggiori regole per sconfiggere la concorrenza rovinosa, diminuzione dei ritmi di lavoro. Certamente vi sono proposte di ordine contrattuale e legale che possono in qualche misura alleviare tali problemi.
Ma la questione di fondo resta un’altra: le condizioni di lavoro sui cantieri, sui luoghi di lavoro. Senza un mutamento radicale dei rapporti di forza sui luoghi di lavoro, senza una rimessa in discussione del poter padronale – assoluto – sui luoghi di lavoro, tutte queste proposte rischiano di rimanere poco più che buone intenzioni.
E per poter modificare i rapporti di forza sui luoghi di lavoro, per poter far contare in modo determinante il punto di vista dei salariati (sui temi della sicurezza e della salute, ma anche su altre questioni) appare necessaria un profondo cambiamento della politica sindacale.
Vale ricordarlo in questi giorni di tradizionale festeggiamenti (1° maggio). La politica sindacale appare sempre più come pura e semplice politica istituzionale. Le organizzazioni sindacali appaiono come organizzazioni di servizio (assistono individualmente i lavoratori attraverso pratiche giuridiche) che svolgono poi la loro attività sindacale prevalentemente nel quadro di attività istituzionali (dalle commissioni paritetiche, alle iniziative popolari, alla presenza nei diversi parlamenti, ecc.).
Sempre più la capacità di confliggere e di mobilitare i lavoratori sui luoghi di lavoro fa difetto. Per restare nel settore dell’edilizia da cui siamo partiti: come non ricordare la sconfitta incassata dalle organizzazioni sindacali in occasione dell’ultimo rinnovo. Una sconfitta che, senza dubbio, ha poi depresso ulteriormente la capacità di azione sui luoghi di lavoro e la capacità sindacale di incidere nei rapporti di forza quotidiani sui luoghi di lavoro.
Non crediamo di esageriamo affermando che i morti di questi giorni sono anche il risultato di questo declino.