Si chiama “gestione ottimale della transizione presso le Officine FFS di Bellinzona” la questione fondamentale dalle quale dipenderà non solo il futuro delle Officine, ma anche la riuscita, in quanto tale del progetto di Centro di competenza nel settore ferroviario, il cui studio di fattibilità è stato presentato nei giorni scorsi da Christian Vitta, incaricato lo scorso anno dal Consiglio di Stato.
Dietro questa formula vi sta al seguente domanda: riusciranno le Officine FFS a sopravvivere alla politica delle FFS in attesa che il centro di competenza prenda avvio, si sviluppi e giri a pieno regime (e ci vorranno diversi anni)?
Il rapporto
Il rapporto stilato da Vitta ha almeno tre meriti. Il primo è quello di dimostrare la fattibilità (era il suo obiettivo fondamentale) del progetto: un progetto al quale pochi in passato hanno creduto, persino dopo la presentazione dello studio SUPSI (al quale Vitta si è ispirato, per sua stessa ammissione, in modo assai importante). Una dimostrazione che apporta un nuovo elemento di giudizio sulla lotta dei lavoratori dell’Officina, che hanno dimostrato non solo di saper “difendere”, ma anche “attaccare”, cioè fare proposte per il rilancio produttivo della loro azienda. Non bisogna infatti dimenticare che tutto il progetto centro di competenza (a partire dallo studio SUPSI fino a quello oggi presentato da Christian Vitta) è sorto quale tentativo di concretizzazione dell’iniziativa popolare lanciata dai lavoratori dell’Officina durante le settimana immediatamente successive all’inizio della lotta nel 2008.
Il secondo merito dello studio di Vitta è di aver sollecitato ed analizzato una serie di proposte concrete (anche se per ora sono per lo più nella fase ideativa o di progettazione) che tuttavia mostrano come il progetto potrebbe svilupparsi concretamente e rappresentare non solo una fonte di sviluppo e differenziazione produttiva per le Officine, ma un contributo allo sviluppo economico del Cantone: una cosa, di questi tempi, assolutamente tutt’altro che trascurabile.
Infine, e non è poco, il rapporto di Vitta mette in luce (pur non affrontando di fatto la possibile soluzione della questione) una possibile dinamica contraddittoria tra le esigenze temporali per lo sviluppo del progetto e le opzioni delle FFS sul futuro dell’Officina di Bellinzona. È questa contraddizione che mette in luce la citazione (tratta dalla sintesi del rapporto) che abbiamo citato all’inizio del nostro articolo.
Le FFS ci sono…o no?
Qualche giornalista, senza dare alla cosa alcun valore malevolo, ha fatto notare che alla conferenza stampa di presentazione del rapporto di Vitta c’erano proprio tutti: governo, rappresentanti del lavoratori, dei sindacati, degli enti regionali, del Comune di Bellinzona, ecc….Mancavano solo le FFS….
Non vogliamo certo noi aggiungere interpretazioni malevole, ma è evidente che l’assenza delle FFS ad un appuntamento di questo tipo ha sicuramente un valore simbolico.
Tanto più, come abbiamo detto, finora che in tutto questo progetto il grande interrogativo è proprio costituito dall’atteggiamento delle FFS. Un atteggiamento sul quale abbiamo scritto a più riprese e che ribadiamo: pensiamo che l’adesione delle FFS al progetto centro di competenza abbia un aspetto non strategico, ma tattico. In altre parole, le FFS sperano, attraverso questo progetto, di collaborare a stimolare la nascita di attività che possano in qualche modo supplire alle carenze (in termini produttivi e di posti di lavoro) che verranno all’Officina dalla messa in pratica dai progetti che stanno elaborando e che, tra non molto, renderanno pubblici (si tratta in particolare del cosiddetto progetto LAGO).
Delle intenzioni delle FFS sappiamo tuttavia già qualcosa. Sappiamo, ad esempio, che essi vedono, in prospettiva, una chiusura dell’attività revisione carri e di altre attività ad essi legate, ritenendo sostanzialmente che solo l’attività delle revisione locomotive possa restare all’Officina FFS. Con quale prospettiva, per quanto tempo e in che modo è ancora tutto da verificare.
Se questa è la prospettiva delle FFS (che potremmo definire, prendendola in prestito dallo studio della SUPSI, di un declino programmato) è evidente il loro interesse a fare in modo che “qualcosa” si muova attorno all’Officina, magari con la speranza di compensare questo quadro di declino. Questa ipotesi, d’altronde, è alla base dell’accordo concluso tra il governo e le FFS qualche tempo fa.
La politica concreta delle FFS
Un giudizio sulla politica concreta delle FFS rispetto all’Officina di Bellinzona non può certo essere data dimenticando quello che, ormai da un paio d’anni, sta avvenendo all’interno dello stabilimento di Bellinzona. Il comitato di sciopero ha, a più riprese, denunciato questa politica e tentato, possiamo dire quotidianamente, di opporvisi. I contorni di questa politica sono chiari e sembrano essere orientati, come già detto, di un declino programmato. Una politica fatta di molti aspetti, apparentemente tra loro disordinati, ma riconducibili ad una stessa strategia.
Segnaliamo, in questa direzione, la quasi totale mancanza di una strategia concreta (e dei mezzi) per guadagnare nuove commesse sul mercato “esterno”, cioè al di fuori dei clienti tradizionali ed interni (a cominciare da Cargo SA); un ruolo “invadente” di Cargo SA che sfrutta la propria posizione di “maggior cliente” (e cliente interno e privilegiato) per occupare a proprio piacimento l’apparato produttivo dell’Officina, impedendole quella flessibilità necessaria per mantenere i clienti esterni e,soprattutto, per conquistarne di nuovi; una politica del personale assolutamente disastrosa che tende a far scappare (meglio: che ha fatto scappare) molti quadri qualificati e di valore e ad instaurare una politica del personale fondata sul lavoro precario e su una tendenza continua ed inesorabile alla crescita del dumping salariale; una politica di investimenti assolutamente non all’altezza delle esigenze dell’Officina (significativo in proposito l’ultimo investimento – quello relativo alle sale – che per la sua dimensione permette di raggiungere obiettivi assolutamente limitati e al di sotto di qualsiasi prospettiva di sviluppo di questa importante attività produttiva, per la quale esiste in Europa un grande mercato); infine una politica finanziaria e amministrativa tesa a penalizzare l’Officina (dall’aumento dei prezzi di fatturazione assolutamente ingiustificati ad una politica di addebitamento interno che pesa in modo abnorme sui conti dell’Officina, senza dimenticare i “prezzi di favore” – di fatto sottocosto – praticati negli ultimi anni a favore di Cargo SA).
Tutti questi elementi costituiscono il problema centrale legato alla cosiddetta fase di transizione alla quale accenna nel suo rapporto Christian Vitta. Se essi non verranno risolti non vi sarà né transizione, né tantomeno sviluppo del progetto di centro di competenze che abbia come forza propulsiva l’Officina FFS di Bellinzona.
La centralità dell’Officina
Ed è proprio quello appena accennato, forse, uno dei punti più “deboli”, “incompiuti”, dello studio di Vitta: cioè di inserirsi in modo forse eccessivo nella logica delle FFS che vedono nel progetto di centro di competenze, come abbiamo a più riprese sottolineato su questo giornale, una sorta di progetto “a rete” senza in realtà un vero centro propulsore, avendo esse altri progetti per l’Officina (non molto promettenti come abbiamo detto) e rifiutando di assegnarle questo ruolo. Certo, lo studio di Vitta, qua e là asserisce questa centralità che poi, tuttavia, si perde un po’ nello sviluppo del progetto, in particolare quando si arriva alla illustrazione dei vari progetti concreti. Nella loro illustrazione non sempre il collegamento con l’Officina è chiaro e immediatamente visibile. In questo senso andrà fatto un ulteriore lavoro di messa in luce dei legami concreti tra i progetti in discussione e il ruolo dell’Officina, per cercare di ribadirne il ruolo centrale, al di là dei progetti e delle strategie delle FFS.
Non solo formazione…
Grande attenzione e grande enfasi è stata messa sulla necessità di costituire un istituto di formazione (da integrare nel quadro dell’Officina) che risponda alle nuove esigenze di formazione sia rispetto ai progetti del centro di competenze, sia rispetto alla tecnica ferroviaria legata ad Alptransit, sia per le esigenze di riqualificazione all’interno delle FFS. Il progetto verrà implementato con il sostegno attivo della SUPSI, verosimilmente integrandosi nella stessa scuola.
Non vi sono dubbi che si tratti di un progetto interessante e da sostenere. Un progetto, d’altronde, che non poteva non considerarsi implicito nell’idea stessa di un centro di competenze. Che senso avrebbe infatti un centro di questo tipo che si limitasse ad irradiare, sviluppare, animare progetti produttivi senza tenere in considerazione l’elemento fondamentale di qualsiasi progetto produttivo, e cioè l’elemento forza-lavoro?
Detto questo il rapporto di Christian Vitta, insistendo in modo forse eccessivo sulla valenza di questo progetto (e così hanno fatto altri attori, in particolare il Consiglio di Stato), dà l’impressione di puntare su questo elemento come fattore “portante” di tutto il progetto centro di competenza.
Se così fosse ci troveremmo di fronte ad un progetto sicuramente valido, ma che rischia di “azzoppare” tutti gli altri aspetti fondamentali che nell’ambito del progetto centro di competenze andrebbero sviluppati. Non vorremmo che, ancora una volta, un grande progetto strategico si risolva nella realizzazione concreta di un aspetto marginale che suono un po’ come un “contentino” per il Ticino. Non è estranea a questa nostra lettura ed interpretazione anche la ponderazione eccessiva che questo progetto trova nella convenzione firmata poco tempo fa tra le FFS ed il Consiglio di Stato.
Non vorremmo che le FFS pensassero che, con questo aspetto formativo del progetto, la questione fosse per l’essenziale risolta. Nel senso che toccherebbe agli altri continuare e le FFS riterrebbero la loro funzione ed il loro ruolo nel progetto centro di competenza ormai esaurito.
Per concludere possiamo dire che gli spiragli che apre lo studio presentato da Vitta sono diversi e sicuramente positivi. Ma se non si risolvono apertamente le contraddizioni che abbiamo qui segnalato (e che, dobbiamo dirlo, Vitta in parte correttamente segnala) il progetto non andrà molto lontano. Ed il futuro dell’Officina FFS di Bellinzona non sarà sicuramente dei più radiosi. Le premesse, tuttavia, per un’azione che tenda a superare queste contraddizioni ci sono tutte: e lo studio può sicuramente, con la sua presenza concreta, essere uno strumento in mano ai lavoratori per tentare, ancora una volta, di determinare il loro futuro.