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f 4524316f0e3c01a5059b32f9d0f1066bChe cos’è la «preferenza nazionale»? È una parola d’ordine sviluppatasi in Francia negli ultimi vent’anni sotto la spinta di esponenti del Front National di Le Pen. L’idea di fondo che sta dietro a questa parola d’ordine è che nell’occupazione e in tutta un’altra serie di questioni di ordine economico la priorità venga data ai cittadini di nazionalità francese. Il corollario di questa rivendicazione è la pretesa di rifiutare, tra l’altro, qualsiasi prestazione sociale a persone che non abbiano la cittadinanza francese.

 

Naturalmente questo atteggiamento non è appannaggio solo della destra francese (anche se in Francia la sinistra tradizionale – a cominciare dal PCF – hanno spesso flirtato con questa rivendicazione xenofoba). Molti paesi europei hanno sviluppato, nella loro legislazione, un simile orientamento. Anche la Svizzera, nella sua politica di immigrazione, ha per lungo tempo organizzato i flussi migratori attorno a questo orientamento. È a partite dal 2002, con l’entrata in vigore degli accordi sulla libera circolazione, che questa priorità gli «indigeni» (intendendo con questo termine coloro che risiedono sul territorio nazionale) è venuta a cadere.

L’accelerazione della crisi, il manifestarsi della vera natura della cosiddetta «libera circolazione» (che altro non è stata se non una totale liberalizzazione del mercato del lavoro, senza efficaci misure atte ad impedire l’affermarsi del dumping salariale) hanno rilanciato in Ticino questa idea della «preferenza cantonale».

Un’idea che non è oggi di fatto condivisa solo dalla Lega che, naturalmente, è a proprio agio nell’assumere questa rivendicazione xenofoba diffusa dai cugini francesi della destra fascisteggiante di Le Pen. Ma oramai tutti i partiti di governo, con minore o maggiore intensità, difendono questa idea e ne fanno un elemento fondamentale del proprio orientamento politico quotidiano.

Lo ha fatto il PPD, l’UDC,il PLRT; ma lo ha fatto, primo tra tutti, addirittura il PS che, in un suo congresso di Locarno di circa tre anni fa, ha addirittura adottato questa rivendicazione in una risoluzione ufficiale. E gli interventi del suo presidente molto spesso tendono a fare riferimento a questa idea che si devono «preferire» gli indigeni piuttosto che i lavoratori frontalieri.

Hanno decisamente adottato questa posizione buona parte delle organizzazioni sindacali. L’OCST ad esempio continua sistematicamente a rivendicare misure che premino quelle imprese che danno la priorità ai lavoratori indigeni.

Ora, tutto questo muove dall’idea che si debba impedire che, approfittando dell’enorme offerta di manodopera costituitasi con l’introduzione, il padronato sostituisca manodopera «indigena», più costosa, con manodopera frantaliera, disposta ad accettare remunerazioni più basse.

La stampa, con servizi, inchieste; i parlamentari con denunce di casi isolati; i partiti e i sindacati con esternazioni ormai quotidiane: tutti tendono con la loro impostazione a rafforzare quest’idea della «preferenza cantonale».

Noi crediamo che essa vada fortemente rifiutata e l’obiettivo debba essere spostato. Al centro delle nostre denunce non devono esserci i lavoratori frontalieri che «fanno concorrenza» ai lavoratori indigeni. Porsi su questo piani significa fare proprio il discorso padronale che vuole proprio questo (e gli accordi sulla libera circolazione proprio questo volevano ottenere): mettere in concorrenza i lavoratori, dividerli per meglio sfruttarli e pagarli il meno possibile.

Rifiutare l’idea della «preferenza cantonale» significa invece mettere l’accento sulla politica padronale, unica responsabile del dumping salariale e sociale; significa ricordare i legami tra questo padronale e i partiti politici che maggiormente lo rappresentano; significa affermare in modo chiaro che solo attraverso risposte sul piano sociale (a cominciare da una salario minimo legale degno di questo nome) e suoi luoghi di lavoro (favorendo l’unità tra tutti i lavoratori contro le politiche padronali) sarà possibile sconfiggere il dumping e, soprattutto, sconfiggere i sentimenti xenofobi sulle quali si costruisce la «messa in concorrenza» dei lavoratori sulla quale il padronato fa affidamento per meglio garantire i propri interessi.

Diciamo quindi no a tutti i discorsi che si muovono in questa prospettiva della «preferenza cantonale»: è l’unica strada per sbarrare il terreno alla crescita ulteriore di un sentimento xenofobo e di divisione che rischia di rafforzarsi anche sul piano politico.

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