Il dibattito sull’aggiornamento dei docenti entra in una nuova fase con la pubblicazione del progetto di messaggio che il DECS ha inviato in consultazione. Esso è stato elaborato in seno ad un gruppo di lavoro del quale facevano parte sindacati e associazioni magistrali.
Il documento va in consultazione con il sostegno di fondo di tutti i partiti, sindacati ed associazioni, con la sola, lodevole ai nostri occhi, eccezione del Movimento della scuola (MdS).
Pubblichiamo la versione quasi integrale del documento con il quale l’Mds ha motivato la sua contrarietà al progetto.
La versione integrale del testo ed altri documenti connessi a questa presa di posizione possono essere consultati sul sito dell’MdS, www.movimentoscuola.ch. (Red)
1. Un cambiamento terminologico: da aggiornamento a formazione continua
Nella nuova proposta di legge in più punti il termine “aggiornamento” è stato sostituito con quello di “formazione continua”. Quest’ultima espressione è stata preferita, poiché – si è detto – dà un senso più dinamico ed evolutivo alla formazione; oggi – si è aggiunto – nel corso della carriera un insegnante non può più limitarsi ad aggiornare sporadicamente la propria formazione iniziale, deve piuttosto inserirsi in un processo di costante adattamento della propria formazione alle esigenze di un contesto che muta a ritmi molto sostenuti.
Il Movimento della Scuola ha da sempre considerato le attività di formazione continua come momenti fondamentali nella definizione dell’identità professionale del docente. L’obiettivo di valorizzare le attività di formazione sviluppate nel corso della carriera ci pareva essere un buon proposito. Ma ritenevamo nel contempo che, per affrontare con cognizione di causa un tema così importante, fosse necessario avviare preliminarmente una riflessione di fondo sullo statuto professionale del docente e sulla cultura di riferimento per la formazione dell’insegnante, una riflessione capace di rispondere, alla luce dei cambiamenti intervenuti negli ultimi vent’anni, a domande quali: che cosa fa oggi di un insegnante un buon insegnante? che significato assumono la formazione e l’autoformazione nella professione docente? quale profilo professionale dobbiamo cercare di promuovere? di quale formazione necessita il docente per tenere vivo lo stimolo all’educazione? Si trattava insomma di provare a ridisegnare, aggiornandolo, l’impianto concettuale della legge, che risale all’inizio degli anni ’90.
Tale compito avrebbe dovuto implicare in particolare un serio confronto su cosa significhi passare da una legge che promuoveva una cultura dell’aggiornamento ad un’altra che promuovesse una cultura della formazione continua, coscienti del fatto che attorno al termine formazione continua vi possono essere concezioni assai differenti, alcune delle quali ai nostri occhi assai discutibili. Si sarebbero dovuti considerare nodi cruciali come ad esempio: il nesso tra autoformazione e corsi d’aggiornamento (con la prima che dovrebbe assumere un peso crescente e determinante); quello tra formazione iniziale e continua; il concetto di studio e ricerca quale parte costitutiva di una professione che fa dell’autonomia intellettuale e della responsabilità deontologica gli elementi fondanti della qualità pedagogica; o ancora, il rapporto tra tempo dedicato all’insegnamento e tempo dedicato alla formazione, con l’obiettivo di evitare che il primo prevarichi sul secondo proprio mentre l’aumento dell’onere lavorativo impedisce un’adeguata attenzione all’autoformazione.
Di questo genere di riflessioni purtroppo nella modifiche proposte non vi è nessuna traccia. Ci si è limitati a sostituire qualche termine o qualche definizione, ma la nuova legge (in gran parte un calco della precedente) non recepisce nella sostanza una nuova cultura formativa.
2. La pianificazione e il monitoraggio delle attività di formazione continua
Nella nuova versione della legge è stato inserito il principio della pianificazione della formazione continua: il Cantone ogni quattro anni elaborerà delle Linee direttive atte ad orientare le iniziative organizzate dal DECS e dagli altri enti preposti a promuovere attività di formazione degli insegnanti (il DFA-SUPSI in primo luogo).
Altro principio introdotto dalla revisione della normativa è quello del monitoraggio. Da una parte il Cantone si impegnerà a verificare alla fine del quadriennio l’attuazione degli interventi prospettati dalla pianificazione. Dall’altra, ogni quattro anni ogni singolo docente dovrà render conto della propria attività di formazione continua, producendo al riguardo della documentazione. La legge demanda al Regolamento d’applicazione la definizione delle modalità con le quali attuare questo secondo tipo di monitoraggio: nel Rapporto finale del gruppo di lavoro si suggerisce, a questo proposito, un colloquio individuale quadriennale con direttore ed esperto di materia o ispettore.
Infine, terza novità, si introduce il vincolo di un quantitativo minimo di giornate di formazione continua da frequentare. Anche in questo caso si demanda la definizione del quantitativo al Regolamento d’applicazione: nel Rapporto finale del gruppo di lavoro si suggerisce che tale quantitativo sia di 8 giornate ogni 4 anni.
La scelta di vincolare l’obbligo della formazione continua a una contabilità del tempo speso per frequentare corsi d’aggiornamento (introducendo un minimo di giornate di attività di formazione da documentare) legittima l’errata convinzione secondo cui il buon insegnante, l’insegnante preparato, è colui che frequenta tanti corsi, e suggerisce l’idea di uno statuto “quantitativo” della formazione. Si badi bene: il problema non riguarda di per sé il numero di giornate di formazione minimo proposto dal gruppo di lavoro (tutto sommato esiguo), quanto piuttosto il cambiamento di natura dell’obbligo che ogni insegnante ha sempre avuto di formarsi e di mantenersi aggiornato; esso da vincolo deontologico della professione si riduce a mero impegno certificativo. Per questa via la nuova legge paradossalmente svilisce il senso e l’importanza della formazione continua: uno dei mezzi utili per assolvere al compito di essere un insegnante preparato – frequentare corsi di formazione continua – assume un carattere dirimente, mentre altre modalità di formazione e autoformazione, non così facilmente certificabili ma altrettanto se non più importanti, diventano accessorie. Il problema della preparazione del docente è ben più complesso!
Una seconda considerazione va fatta in relazione all’evidente rischio che l’intenzione di controllare sistematicamente l’attività di formazione di ogni singolo docente possa sfociare nell’introduzione di forme di valutazione individuale dell’operato dell’insegnante. La modalità esecutiva di questo monitoraggio suggerita dal gruppo di lavoro – un colloquio nel quale il singolo docente, grazie alla documentazione prodotta, dovrebbe render conto della propria attività formativa al direttore della propria sede di servizio e all’esperto di materia o all’ispettore – non offre sufficienti garanzie in senso contrario e inoltre appesantisce gli oneri burocratico-amministrativi degli insegnanti e degli istituti.
Qualche perplessità sorge anche di fronte alla prospettata pianificazione delle attività di formazione continua. Il rischio che si potrebbe facilmente correre qualora, ad esempio, si impongano troppo rigidamente assi tematici su cui concentrare le iniziative di formazione a livello cantonale, è quello di omogeneizzare l’offerta formativa rivolta agli insegnanti e, conseguentemente, di ridurre i margini di autonomia con i quali i docenti avrebbero la possibilità di scegliere il proprio individuale percorso di formazione. In tal senso, l’idea di una pianificazione avrebbe piuttosto dovuto tener conto della “carriera” dell’insegnante (diversi infatti sono i bisogni dopo 5, 15, 30 anni di scuola) e introdurre il principio secondo cui regolarmente, a periodi cadenzati, il docente abbia diritto a degli sgravi orari per tornare a studiare, a progettare, a sperimentare. Inoltre essa diventa fonte di preoccupazione soprattutto se messa in relazione con l’obbligo di frequentare un quantitativo minimo di corsi. Nella proposta di legge non vi sono indicazioni chiare su chi deciderà quali iniziative saranno inserite in questa contabilità e quali no: sarà il singolo docente in piena autonomia? sarà necessario per ogni corso l’assenso della Divisione scuola? quale ruolo assumeranno in questo genere di decisioni direttori, esperti di materia e ispettori?
3. L’accessibilità delle iniziative di formazione continua
Con le nuove modifiche apportate alla legge, ogni docente – per conseguire il quantitativo minimo di giornate di formazione obbligatorie – avrà il diritto di partecipare a corsi d’aggiornamento sia durante il tempo di scuola sia di non scuola e di ottenere in tutti i casi il rimborso delle spese di viaggio e le indennità per pasti e pernottamento anche per quei corsi organizzati nel Cantone. Nel caso la partecipazione dei docenti a questi corsi avvenga in tempo di lezione, l’assenza sarà coperta da supplenze esterne.
Sono inoltre rese più flessibili le modalità di accesso al congedo d’aggiornamento, il cosiddetto anno sabbatico: vi sarà la possibilità di riduzioni parziali dell’onere lavorativo su più anni.
Questi puntuali correttivi riguardanti l’accessibilità delle iniziative di formazione continua vanno certo salutati positivamente, ma vanno pure misurati in relazione al loro peso effettivo.
In particolare, va fatto notare che sia la possibilità di ottenere il rimborso delle spese per corsi organizzati nel Cantone, sia la possibilità di coprire con supplenze esterne le assenze occasionate dalla partecipazione a corsi d’aggiornamento, sono limitate alle iniziative utili a raggiungere la quantità minima di attività di formazione imposta obbligatoriamente dalla legge (ci mancherebbe!). Per quanto riguarda la concessione del congedo d’aggiornamento è bene inoltre ricordare che essa è sospesa da molti anni quale misura di risparmio e che non vi è nessuna garanzia che tale sospensione non sia in futuro rinnovata.
Ci sembra importante far notare, più in generale, che per modificare significativamente il grado di accessibilità alle attività di formazione, per rafforzare nel corpo insegnante una vera e propria cultura della formazione continua, sarebbe stato fondamentale intervenire sul piano delle condizioni-quadro, proponendosi di liberare tempo di lavoro affinché i docenti possano dedicare più energie allo studio, alla ricerca, alla sperimentazione didattica. Negli ultimi due decenni le condizioni in cui gli insegnanti si sono trovati ad operare non hanno fatto che peggiorare; non solo: per alcuni ordini di scuola sono formalmente aumentate le ore d’insegnamento settimanali, e per tutti si sono gradualmente gonfiati i carichi di lavoro, le mansioni educative, gli oneri burocratici. È ai nostri occhi decisamente illusorio pensare di poter realmente favorire la formazione continua degli insegnanti senza metter mano a questo ordine di questioni, imponendo per via amministrativa l’obbligo di frequentare qualche corso di aggiornamento all’anno.