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606x341 227912 polizia-sgombera-piazza-taksim-iDopo alcuni giorni di incertezza di fronte all’ampiezza del movimento di massa e dell’impatto sulla società turca e dopo aver alternato dichiarazioni “morbide” (volontà di dialogo con i manifestanti) a quelle marziali (tolleranza zero), per cercare di confondere gli avversari, il primo ministro turco Erdogan, ha scelto la strada delle scontro duro e della repressione violenta inviando la polizia a sgomberare la piazza Taksin occupata da dieci giorni dai manifestanti e trasformata in un violento campo dii battaglia.

Dopo aver resistito per molte ore all’assalto delle forze repressive, i manifestanti hanno dovuto ripiegare su Gezi Park dove, mentre scriviamo, si sono riorganizzati; ma è proprio il parco quello che potrebbe essere, ancora una volta, il prossimo obbiettivo del governo e della polizia.

Per comprendere meglio quanto sta avvenendo in Turchia, riprendiamo una intervista di qualche giorno fa di Ozan Tekin (un autore turco che anima il sito http://www.marksist.org/, un sito d’informazione “ancorato a sinistra”) comparso sul sito egiziano Ahram Online, in lingua inglese. L’intervista è preceduta da una introduzione di C.A. Udry.

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Introduzione di Charles-André Udry e intervista con Ozan Tekin, a cura di Nadeen Shaker

Al ritorno dal suo giro per il «mondo arabo», il 7 giugno 2013 al mattino, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha immediatamente messo in guardia i manifestanti di Taksim e tutti quelli che manifestano nelle altre città. Ha dichiarato: «I manifestanti devono tornare nelle loro case». I discorso è marziale si appoggia sulla base organizzata dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), una delle cui sedi è stata data alle fiamme.

Erdogan ha ordinato che venerdì 7 giugno le piazze occupate dai dimostranti siano sgomberate e che le manifestazioni finiscano. Dopo le rose bianche distribuite dalla polizia, tre giorni fa, si prepara il contrattacco (che c’è stato nella serata dell’11, ndt). Gli slogan lanciati il 7 giugno dai militanti dell’AKP, con la bandiera turca in mano – in risposta ai nazionalisti «laici» – erano: «Arriva il grande maestro, siamo pronti a morire per te»; «Lasciate che li schiacciamo tutti!»

Erdogan ha insistito sulla «dimensione non democratica dei manifestanti» e sul «vandalismo che li caratterizza». Erdogan aveva al fianco la moglie e i principali ministri. Ha contrapposto la calma dei membri dell’AKP alle azioni dei manifestanti, lasciando intendere che il potere avrebbe riportato l’ordine, se l’ingiunzione ai manifestanti di andarsene a casa non fosse stata seguita. Erdogan punta a polarizzare la situazione, dopo un intervento calcolato (e certo combinato) del capo di stato Abdullah Gül che appariva, dopo le «scuse» del vice-primo ministro Bülent Arinc, finalizzato a «calmare le acque».

Le prime relazioni del sindacato nazionale dei medici indicano che 4800 manifestanti sono stati feriti, e molti gravemente. Secondo uno schema sperimentato, che viene avanzato in numerosi paesi dove si verificano simili congiunture sociali e politiche, Erdogan ha insistito sul ruolo degli “agenti esterni”. Da sette a dieci stranieri sono stati arrestati con l’accusa di essere i responsabili delle agitazioni. Tra questi si trova Giorgios Iatridis, a Istanbul dall’ottobre del 2012 nel quadro del programma Erasmus; sta preparando il dottorato all’Università Aristoteleio di Tessalonica: secondo i media greci, due sono originari dell’Inghilterra, due dell’Iran, uno della Francia e 4 degli Stati Uniti. Il procedimento giudiziario finora è assai incerto. Secondo la televisione NTV, è durante l’inseguimento di un manifestante che un poliziotto è caduto nella città di Adana e si è ucciso. Poca “pubblicità mediatica” è stata fatta per l’uccisione di due manifestanti.

La crisi aperta in Turchia è un fattore supplementare della destabilizzazione generale della regione, da cui derivano le dichiarazioni più o meno decise di John Kerry per quanto riguarda l’amministrazione Obama – che è oggi confrontata allo scandalo del rafforzamento di tutte le intercettazioni telefoniche messe in atto sotto il regno di Bush dopo il Patriot Act – e quelle di Angela Merkel che insiste sulla necessità di non brutalizzare troppo i manifestanti. Il capitalismo tedesco ha importanti investimenti in Turchia, come per altro quello svizzero.

Per quanto riguarda l’amministrazione americana, la sua preoccupazione riguarda prima di tutto il ruolo della Turchia nel sistema della Nato, la cui riorganizzazione e funzione, è ancora, nei fatti, poco padroneggiata e dunque mal definita per quanto riguarda la catena del comando.

La dimensione sociale e politica della mobilitazione è evidente. Erdogan e l’AKP dispongono di una base sociale che non bisogna sottovalutare. Un settore kemalista non sarebbe contrario ad un maggior ruolo dell’esercito; è la posta in gioco di uno scontro al vertice che si ripercuote all’interno delle stesse forze armate e di sicurezza. Tuttavia la forza delle rivendicazioni democratiche è visibile. Si ritrova in diversi settori della società. Un personaggio del settore immobiliare dichiara a un giornalista dell’AFP: ” Erdogan fa tutto da solo e questo non può funzionare in democrazia. Non può dire “io sono il sultano”. Bisogna tenere in considerazione il popolo. Dovete rispettare tutte le sue componenti, anche le piccole minoranze”. Una giovane infermiera con il velo: “Voi vi sbagliate se pensate che tutte le donne che portano il velo sostengono l’AKP”

Il venerdì 7 giugno è giorno di preghiera nelle moschee. La Direzione degli affari religiosi dipende dal primo ministro, quindi da Erdogan. I discorsi degli iman sono il frutto, molto sovente, delle proposizioni che sono emanazione della Direzione, quando l’attualità politica della settimana lo rende necessario.

Qualcuno può aver dimenticato che nei paesi cattolici, dove la democrazia cristiana, era al potere esisteva una tradizione simile, anche se un po’ meno formalizzata. Il discorso della domenica dei parroci (e non il venerdì, giorno in cui non si mangiava la carne e si doveva mangiare il pesce, almeno per quelli che potevano permettersi l’uno o l’altro) era preindirizzato dall’alto

La campagna politica e ideologica secondo cui la questione religiosa è al centro della contesa ha la funzione di cancellare le questioni sociali e democratiche (prigionieri politici, giornalisti censurati e arrestati, autocensura della stampa. La questione kurda ha un ruolo importante. E il “dibattito” sulla storia – il genocidio degli Armeni – ha grande importanza, anche in seguito alle “esigenze europee” utilizzate per delle ragioni che hanno assai poco a vedere con la storia effettiva.

Gli ultimi dati disponibili indicano che ogggi venerdì 7 Erdogan sembra non spingere per l’affrontamento diretto. Questo è tutt’altro che certo (come i fatti dell’11 hanno dimostrato, ntd). In una situazione del genere, una direzione come quella dell’AKP esamina diversi scenari possibili e tiene conto di numerosi fattori che vanno dalla situazione internazionale ai movimenti in seno all’esercito, all’inesistenza di una leadership unita del movimento di massa. Un gruppo dirigente del genere può attendere e colpire improvvisamente.

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Ahram Online (AO):

Potete darci una idea delle modalità con cui un presidio che raccoglieva appena un pugno di persone mobilitate contro la distruzione di un parco ha potuto trasformarsi in una ondata di manifestazioni antigovernative a livello nazionale?

Ozan Tekin (OT):

Nella notte di martedì scorso (28 maggio, ntd) una dozzina di militanti sono accorsi nello spazio del Gezi Park nel momento in cui i bulldozer vi penetravano per cominciare lo sradicamento degli alberi. Qualche ora più tardi i bulldozer hanno dovuto ritirarsi e qualche migliaio di persone hanno occupato il parco. La polizia ha preso d’assalto il parco nelle prime ore del giorno dopo per permettere ai bulldozer di penetrarvi per una seocnda volta. Al terzo giorno si è assistito a una vera e propria esplosione di malcontento e decine di migliaia di persone si sono unite alla lotta nella piazza Taksim per difendere il parco e manifestare contro la violenza poliziesca.

AO:

Che cosa può spiegare un tale malcontento verso la politica condotta da Erdogan?

OT

I piani governativi di ristrutturazione della piazza Taksim sono parte di un programma neoliberale più vasto. Vogliono trasformare Taksim, il centro della città (Istambul) in un luogo per le classi superiori, cacciando la popolazione ordinaria.

Questo governo è conservatore e neoliberale e la gente non ne può più, non solo della ristrutturazione della piazza Taksim, che è stata imposta senza alcun coinvolgimento dei cittadini, ma anche del contesto generale segnato da una ondata di riforme neoliberali, dalla proliferazione non regolata dei centro commerciali, della legge emanata un mese fa che vieta la vendita di alcool dopo le 22 di sera, dall’intervento violento troppo frequente della polizia durante manifestazioni del tutto democratiche. L’atteggiamento del primo ministro Erdogan e la sua grande durezza hanno egualmente attizzato il malcontento.

AO:

Quanto è grande la mobilitazione e chi vi partecipa?

OT:

I primi a cominciare la resistenza sono stati essenzialmente militanti della sinistra, militanti ecologisti e militanti non organizzati. La violenza che è stata messa in atto contro di loro ha suscitato la mobilitazione di settori più larghi della società. Migliaia di giovani attivisti, non inquadrati, molti di loro prendevano parte per la prima volta a una attività politica, sono scesi in strada spinti dalla collera. Tutti i partiti della sinistra si sono mobilitati. Qualche sindacato, su una scala limitata, si sono uniti alla lotta.

Il principale partito di opposizione (CHP) e qualche altro gruppo della destra nazionalista che sostengono l’esercito (“kemalista”) hanno partecipato anch’essi ai cortei. Ma la loro influenza è stata molto limitata nelle giornate di venerdì e sabato.

AO:

In che cosa consiste quello che alcuni chiamano la “primavera turca”. Quali sono le sue implicazioni a livello regionale?

OT:

Erdogan pretende di sostenere i movimenti rivoluzionari del Medio Oriente. Ma appena si trova di fronte una onda di rivolta di dimensioni molto più piccole, il suo governo fa uso della violenza poliziesca in modo brutale per ore e ore contro i manifestanti. E’ ipocrisia, mostra come in nessun caso il governo turco possa servire da “modello” per le speranze delle masse egiziane o siriane.

Solo che il cinquanta per cento della società turca vota per lAKP (Partito per la Giustizia e lo sviluppo, partito al potere, tra cui Erdogan) perché la gente pensa che realizzerà progresisvamente gli avanzamenti che sono stati ottenuti con le mobilitazioni di massa in Medio Oriente. La Turchia ha una lunga tradizione di interventi dell’esercito nella vita politica attraverso sanguinosi colpi di stato militari. I generali hanno anche complottato per cercare di rovesciare il governo dell’AKP, sostenendo che questi volesse fare della Turchia una “specie di Iran” imponendo la charia. (Una parte di loro sono stati epurati lasciando il posto a uno strato più giovane).

Numerose sezioni di base dell’AKP vogliono un cambiamento e sostengono Erdogan perchè sono convinti che risolverà molti problemi, l’esclusione definitiva dell’esercito dalla sfera politica, una soluzione pacifica alla questione kurda e un miglioramento in termini di giustizia sociale. Ciò mette l’AKP in una posizione contradditoria, da una parte un programma di destra neoliberale, dall’altra milioni di votanti in nome di una “speranza” di libertà. Anche nei punti più alti della contestazione, la piazza Taksim era lontana da Tahrir in termini di mobilitazione e il suo contenuto somigliava più a “Tahir contro Morsi” che a “Tahir contro Mubarak”.

AO:

In che cosa la risposta di Erdogan alla situazione presente ha avuto un impatto sul corso delle mobilitazioni? Altri scioperi che coprono altri aspetti del malcontento sono previsti?

OT:

Un portaparola dell’AKP ha detto che il movimento era soltanto “riuscito a radunare numerosi gruppi disparati nelle strade” L’arroganza di Erdogan e la sua testardaggine a non fare mai marcia indietro aiutano le mobilitazioni a crescere. E’ la causa della sua prima seria disfatta dopo undici anni; la polizia ha dovuto ritirarsi daTaksin e decine di migliaia di persone hanno occupato il parco e l’hanno trasformato in una scena da festival. Ormai il movimento tiene insieme l’obbiettivo del salvataggio del parco dalla distruzione e quello dell’opposizione ai piani governativi di ristrutturazione di Taksim.

AO:

Che cosa dire dell’uso della brutalità poliziesca e della recente rivendicazione che chiede le dimissioni del ministro dell’interno?

OT:

Il ministro dell’interno ha comunicato che 1.700 persone erano state arrestate durante le manifestazioni. Centinaia sono stati feriti durante gli assalti della polizia, veramente brutale, e non solo a Istambul, ma in tutto il paese. Da allora le dimissioni del ministro degli interni, così come quelle del prefetto di Istanbul e del capo della polizia costituiscono importanti rivendicazioni politiche immediate

AO:

E la vostra esperienza nelle manifestazioni? Avete veramente chiamato la piazza Taksim “Tahrir”?

OT:

Le manifestazioni di massa nelle strade sono state veramente inebrianti per due giorni, il venerdì e il sabato. L’anima del movimento era come quella di Tahrir. Numerosi militanti hanno fatto esplicitamente riferimento alla piazza Tahrir. Decine di migliaia hanno resistito senza paura alla polizia.

Quando il parco Gezi è stato ripreso un sacco di persone normali hanno brindato, poi sono tornate nelle loro case e al loro lavoro. Poi si è manifestata l’influenza crescente dei nazionalisti pro-esercito, per la maggior parte elettori del CHP, che hanno tentato di trasformare le manifestazioni in qualche cosa che potesse spingere l’esercito a passare all’azione contro il governo. Questa gente è ostile ai Kurdi e alla comunità armena, si oppongono ai negoziati di pace con i kurdi ( elemento che costituisce un punto cruciale nella storia della democrazia un Turchia) e chiamano il primo ministro “traditore della nazione”.

Nel 1997 grandi manifestazioni di massa condotte dalla sinistra contro lo “Stato profondo” sono state strumentalizzate dall’esercito per costringere il governo islamista dell’epoca a dimissionare. Alcuni gruppi cercano di fare la stessa cosa oggi, la loro presenza costituisce una minaccia crescente contro il movimento di massa.

Questo ci divide e ci indebolisce. Ma non sono ancora riusciti a sabotare il movimento.

Si tratta di un serissima battaglia ideologica che dobbiamo vincere.

Non siamo contro questo governo perché è islamico, ma perché è conservatore e neoliberale. E’ un governo eletto e legittimo e non vogliamo che sia rovesciato dalle forze armate, che non sono certo elette. Noi vogliamo che questo governo sia rovesciato dal movimento di massa del popolo.

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