«Oriente, Occidente, rivoluzione permanente». Con un po’ di nostalgia (ma non poi così tanta) ci è venuto alla mente in questi giorni uno slogan della nostra gioventù; uno slogan che voleva riassumere e sintetizzare la dinamica della “rivoluzione mondiale” che si faceva strada a partire dalla seconda metà degli anni ’60.
A farci ricordare tutto questo, non senza ragione, sono le grandi mobilitazioni che, in questi ultime settimane, si stanno sviluppando in molte parti del mondo, in paesi diversi sullo scenario strategico mondiale, sia dal punto di vista economico che da quello politico. Mai, forse, come in questo momento l’idea di «un mondo che si muove», di una contestazione globale del capitalismo mondiale si è palesata, seppure tra numerose contraddizioni, in modo così eloquente.
Mobilitazioni che in alcuni casi, come nel Brasile, segnano la fine di una lunga fase di letargia e il sicuro inizio di una nuova fase dello sviluppo politico del paese. Altre, come quella in atto in Egitto, segnalano la permanenza di un processo rivoluzionario che, inevitabilmente, è percorso da fasi alternanti, che permettono la maturazione di esperienze, la chiarificazione delle dinamiche e degli orientamenti politici. Accanto a questi permangono processi come quello in atto in Grecia, in Turchia, in Siria.
Tutti questi movimenti, nella loro diversità, ci mandano tuttavia segnali importanti.
Il primo è quello della persistenza di grandi mobilitazioni sociali. A tutti coloro che avevano più o meno decretato la fine del/dei conflitti sociali, questi movimenti ricordano che fintanto che vi sarà oppressione, primo o poi, vi saranno rivolte ed opposizioni sociali. Ed in questi anni l’oppressione e l’ingiustizia sociale, guidata dal capitalismo neoliberale mondializzato, non hanno fatto che approfondirsi. In un paese come il Brasile, ad esempio, che avrebbe visto trionfare negli ultimi anni la “classe media” – come ci hanno spiegato eminenti sociologi della domenica, il 4% della popolazione possiede oltre il 90% della ricchezza. Decisamente è difficile capire cosa sia e cosa possa spartirsi la cosiddetta “classe media”!
Un secondo aspetto è la dinamica di queste mobilitazioni. Esse sempre più e sempre più velocemente tendono a rimettere in discussione gli equilibri politici fondamentali. Le loro richieste, per quanto elementari possano essere, tendono inevitabilmente a rimettere in discussione l’ordinamento politico e sociale che impedisce che tali semplici rivendicazioni possano essere esaudite in modo completo e duraturo. In un paese come l’Egitto, o come il Brasile o come l’Italia, la Spagna, la Grecia, non si riuscirà a rispondere a bisogni elementari (avere un lavoro, una casa, l’assistenza sanitaria e l’istruzione) senza rimettere in discussione i rapporti sociali fondamentali, senza rimettere in discussione i sacrosanti diritti di proprietà sulla cui difesa è costruito tutto il meccanismo delle società liberal-capitaliste.
Un terzo elemento fondamentale (e non è certo un aspetto minore) è la distanza tra le potenzialità di una trasformazione sociale di cui sono portatori queste mobilitazioni e la debolezza delle forze politiche che si battono oggi in una chiara e coerente prospettiva anticapitalista. Una difficoltà aumentata anche dalla crisi ormai definitiva delle esperienze socialdemocratiche e staliniane che hanno screditato agli occhi di milioni delle masse di molti paesi l’dea stessa di una prospettiva socialista.
Appare quindi più che mai necessario rafforzare ovunque la solidarietà con queste mobilitazioni, cercare di illustrarne le dinamiche, in una prospettiva di solidarietà politica internazionalista. E al contempo contribuire al rilancio di una prospettiva socialista rivoluzionaria e internazionalista. Una prospettiva che dalla critica del capitalismo, delle sue contraddizioni, della sua disumanità possa contribuire ad alimentare le lotte popolari attuali e future, dei giovani, dei salariati, delle donne e indicare la prospettiva di un socialismo autenticamente libertario in grado di dare risposte adeguate ai bisogni fondamentali dell’umanità.