Il credo economico dei Fratelli Musulmani nella libera impresa esente dall’interferenza statale corrisponde più intimamente alla dottrina neoliberale rispetto alla forma di capitalismo dominante che c’era con Mubarak.
Questa cosa è valida in particolare per la versione di quel credo enunciata da Khairat al-Shatir, proprio il numero due capitalista dei Fratelli dopo il murshid (la guida) e rappresentante della sua ala più conservatrice, o da Hassan Malek, un membro eminente ed estremamente ricco dei Fratelli, che, dopo aver fatto il suo debutto nel mondo degli affari in società con Al-Shatir, oggi amministra, insieme a suo figlio, una costellazione di imprese nel campo tessile, dei mobili, e del commercio, che danno lavoro a più 400 persone.
Il ritratto di Malek descritto dalla [rivista settimanale] Bloomberg Businessweek potrebbe certo essere intitolato L’etica della Fratellanza e lo spirito del capitalismo, dato che sembra parafrasare così fedelmente il classico di Weber: “[ I Malek] fanno parte di una generazione di conservatori religiosi in ascesa nel mondo musulmano la cui devozione a Dio rinvigorisce la loro determinazione ad avere successo negli affari e nella politica. Come dice Malek, ‘Non ho niente altro nella mia vita tranne il lavoro e la famiglia.’ Questi islamisti pongono una sfida formidabile ai modi di governo laici in paesi come l’Egitto – non soltanto a causa del loro tradizionalismo ma a causa della loro etica di lavoro, monomaniacale e del loro evidente astenersi dall’ignavia e dal peccato. Sono all’altezza di vincere qualsiasi competizione….’ Il centro della visione economica della Fratellanza, se la vogliamo classificare in modo classico, è il capitalista estremo,’ dice Sameh Elbarqy, un ex membro della Fratellanza (1).
L’ex Fratello Musulmano intervistato da Bloomberg Businessweek ha fatto la domanda giusta. Quella che è in dubbio è chiaramente non la lealtà della Fratellanza nei confronti del capitalismo neoliberale dell’era di Mubarak, ma la sua capacità di liberarsi dei suoi tratti peggiori: “Ciò che resta da vedere è se il capitalismo clientelare che ha caratterizzato il regime di Mubarak cambierà essendoci in carica i leader favorevoli agli affari della Fratellanza come Malek ed El-Shater. Sebbene la Fratellanza abbia operato tradizionalmente per alleviare le condizioni dei poveri, ‘i lavoratori e gli agricoltori soffriranno a causa di questa nuova classe di uomini di affari’, dice Elbarqy. ‘Uno dei grossi problemi rispetto alla Fratellanza Musulmana ora – lo condividono con il vecchio partito politico di Mubarak – è il matrimonio tra il potere e il capitale’” (2).
Emulare i Turchi
Questo matrimonio tra potere statale e capitale rimuove il principale ostacolo alla collaborazione del capitalismo egiziano con la Fratellanza: la persecuzione repressiva dei Fratelli nel regime di Mubarak. I Fratelli Musulmani oggi emulano assiduamente l’esperienza turca, creando un’associazione di uomini di affari, la EBDA (Egyptian Business Development Association), Associazione Egiziana per lo Sviluppo degli Affari) che si rivolge, in particolare, alle piccole e medie imprese. E’ stata costruita sul modello del MÜSIAD, con l’aiuto diretto di quella associazione turca (L’Associazione degli industriali e degli uomini d’affari indipendenti) (3). Come l’AKP, Partito per la giustizia e lo sviluppo (in turco Adalet ve Kalkınma Partisi, n.d.T.) e il governo di Erdogan, tuttavia, la fratellanza e Mohamed Morsi si pongono come rappresentanti degli interessi comuni di tutte le categorie del capitalismo egiziano, grande e piccolo, senza escludere quel segmento che ha collaborato con il vecchio regime – in particolare un segmento considerevole dei suoi più alti livelli, come ci si poteva aspettare.
La composizione della delegazione di 80 uomini di affari che si sono uniti a Morsi nel suo viaggio in Cina nell’agosto 2012, illustra bene il sincretismo capitalistico della Fratellanza. Il nuovo presidente vuole avere il ruolo di commesso viaggiatore del capitalismo egiziano, secondo lo stile dei capi di stato occidentali. I membri della delegazione sono stati scelti da Hassan Malek, che ha formato un comitato incaricato di organizzare le comunicazioni tra i circoli economici e l’ufficio del presidente. Sono stati invitati a fare il viaggio svariati dirigenti commerciali che avevano fatto parte dell’ex partito di governo, il Partito Nazionale Democratico (PND) e che avevano collaborato con il vecchio regime. Tra di loro c’era Mohamed Farid Khamis, presidente della Oriental Weavers, l’impresa di tessitura che si vanta di essere la più grossa produttrice del mondo di tappeti fatti a macchina e di moquette. Khamis era membro dell’ufficio politico del PND e anche del parlamento.
Un altro membro dell’ufficio politico dell’ex partito di governo incluso nella delegazione, Sherif el-Gabaly, si ipotizzava fosse uno stretto associato di Gamal Mubarak (il più giovane dei due figli maschi di Mubarak, n.d.t.). El-Gabaly è nel consiglio della Federazione Egiziana dell’Industria e presidente di Polyserve, un gruppo industriale che produce fertilizzanti (4).
Morsi ha, fondamentalmente preso una posizione che somiglia a quella di Erdogan, nel punto di convergenza di varie frazioni capitaliste nel suo paese ed esattamente sulla via che nel complesso il capitalismo egiziano stava già seguendo. C’è, tuttavia, una differenza importante tra i Fratelli Musulmani e l’AKP, e quindi tra Morsi ed Erdogan che sta meno nel peso relativamente diverso della piccola borghesia e degli strati medi delle due organizzazioni che proprio nella natura del capitalismo, i cui interessi ognuna rappresenta: nel caso turco, una forma di capitalismo dominata dall’industria orientata all’esportazione di un paese “emergente”; nel caso egiziano, uno stato redditiere**, e un capitalismo che è dominato da interessi commerciali e speculativi e segnato pesantemente da decenni di neopatrimonialismo e nepotismo.
Il viaggio in Cina aveva sicuramente l’intenzione di promuovere le esportazioni egiziane e di ridurre il deficit del commercio egiziano di più di 7 miliardi di dollari di scambi tra i due paesi. Gli egiziani hanno anche cercato di convincere i leader cinesi a fare investimenti nel loro paese, anche se con poco successo. La fondamentale continuità di Morsi con Mubarak, tuttavia, appare nella evidente dipendenza dell’Egitto dal capitale del Consiglio di Cooperazione del Golfo – con la differenza che il Qatar ha sostituito il regno Saudita come fonte principale di finanziamento del nuovo regime, come è semplicemente naturale alla luce dei rapporti tra i Fratelli Musulmani con il suddetto emirato. Il Qatar ha garantito all’Egitto un prestito di due miliardi di dollari e ha promesso di investire 18 miliardi in un periodo di 5 anni in progetti industriali e petrolchimici, e anche nel campo del turismo e in quello immobiliare; sta anche considerando di acquisire delle banche egiziane. Inoltre, il governo di Morsi ha fatto richiesta di un prestito di 4,8 miliardi di dollari al Fondo monetario internazionale, chiarendo che è completamente disposto ad attenersi alle sue condizioni, nella misura in cui riguardano l’austerità di bilancio e le altre riforme neoliberali.
Nel nome della religione
Questi nuovi prestiti esacerberanno il già pesante onere di debito dell’Egitto: un quarto della spesa del bilancio dello stato che supera ricevute per il 35%, attualmente va per pagare il debito. La decisione di prendere ancora altri prestiti, in conformità con la logica neoliberale, significa che il governo non avrà altra scelta se non quella di tagliare i salari del settore pubblico e anche i sussidi e le pensioni che vanno ai più bisognosi. Morsi ha inoltre promesso a una delegazione di uomini di affari in visita in Egitto nel settembre 2012 organizzata dalla camera di Commercio degli Stati Uniti, che realizzerà senza esitazione drastiche riforme strutturali per rimettere in piedi l’economia del paese (5). Dati questi orientamenti economici, il regime dovrà inevitabilmente prepararsi a reprimere lotte sociali e della classe lavoratrice. Il tentativo del nuovo governo di reprimere le libertà dei sindacati dei lavoratori ottenute in seguito all’insurrezione, come, per esempio, i licenziamenti in aumento vertiginoso, degli attivisti dei sindacati, sono presagi di cose future.
Morsi, il suo governo, e dietro questi, i Fratelli Musulmani, stanno portando l’Egitto sulla la strada che porta alla catastrofe economica e sociale. Le prescrizioni neoliberali, applicate nell’attuale ambiente socio economico del paese, hanno già fornito ampie prove che non possono aiutare l’Egitto a uscire dal circolo vizioso del sottosviluppo e della dipendenza. Proprio il contrario: lo hanno immerso ancora più profondamente nel pantano. La profonda instabilità politica e sociale generata dall’insurrezione, rende soltanto ancora più improbabile la prospettiva di crescita guidata dagli investimenti privati. E si deve avere una forte dose di fede per credere che il Qatar rimedierà alla penuria degli investimenti pubblici in Egitto, particolarmente in un clima di incertezza sul futuro del paese.
Nei giorni di Mubarak, i poveri potevano ricorrere soltanto alla carità, unita allo “oppio del popolo”. “L’Islam è la soluzione,” i Fratelli Musulmani hanno promesso per decenni alla gente, mascherando con questo vuoto slogan la loro incapacità di redigere un programma economico fondamentalmente diverso da quello del governo. L’ora della verità ora è arrivata. Come ha sottolineato Khaled Hroub, “Nel periodo che abbiamo proprio davanti a noi, queste due domande, o logiche – lo slogan ‘l’Islam è la soluzione’ e il discorso in nome della religione – affronteranno, con il loro peso ideologico, il test di un esperimento pubblico, di massa, condotto nel laboratorio della consapevolezza popolare. L’esperimento potrebbe durare per lungo tempo, divorando le vite di un’intera generazione. Sembra, tuttavia, che i popoli arabi debbano inevitabilmente attraversare questo periodo storico, in modo che la loro consapevolezza possa gradualmente passare da un’ossessione esagerata per la loro identità a una consapevolezza di realtà politica, sociale ed economica” (6).
Coloro che trafficano con l’oppio del popolo, sono ora diventati il governo. Il potere soporifero delle loro promesse è inevitabilmente tramontato di conseguenza, tanto più che – e questa è un’altra differenza tra Khomeini, da una parte e Ghannouchi e Morsi dall’altra – essi non hanno il vantaggio di una grossa rendita dal petrolio con la quale comprare il consenso o la rassegnazione di un grande segmento della popolazione. Maxime Rodinson ha posto il problema benissimo più di un quarto di secolo fa: “Il fondamentalismo islamico è un movimento temporaneo, transitorio, ma può durare altri 30 o 50 anni – non so quanto. Dove il fondamentalismo non è al potere, continuerà a essere un ideale , fino a quando persistono la frustrazione e lo scontento di base che porta la gente ad assumere posizioni estreme. C’è bisogno di una lunga esperienza di clericalismo per esserne alla fine stufi – guardate quanto tempo c’è voluto in Europa! I fondamentalisti islamici continueranno a dominare il periodo per lungo tempo in futuro.
“Se un regime di fondamentalismo islamico è fallito in maniera molto chiara, e ha dato inizio a un’ovvia tirannia, una società abiettamente gerarchica e ha anche sperimentato battute di arresto in termini di nazionalismo, questo potrebbe portare molta gente a volgersi a un’alternativa che stigmatizzi queste mancanze. Questo richiederebbe, però, un ‘alternativa credibile che entusiasmi e mobiliti la gente. Non sarà facile” (7).
* articolo apparso sull’edizione inglese di Le Monde Diplomatique. La traduzione è stata curata da Maria Chiara Starace.
** http://it.wikipedia.org/wiki/Rentier_state
(1) Suzy Hansen, “The Economic Vision of Egypt’s Muslim Brotherhood Millionaires”, Bloomberg Businessweek, 19 April 2012. [La visione economica dei milionari della Fratellanza Musulmana in Egitto].
(2) Hansen, op cit.
(3) See Nadine Marrouchi, “Senior Brotherhood member launches Egyptian business association”, Egypt Independent, 26 March 2012. [Un membro anziano della fratellanza lancia un’associazione egiziana di affari].
(4) This information is taken from “Mubarak era tycoons join Egypt President in China”, Ahram Online, 28 August 2012 [I magnati dell’era di Mubarak raggiungono il presidente egiziano in Cina].
(5) See Aya Batrawy, “Egypt vows structural reforms, meets US executives”, Associated Press, 9 September 2012. [L’Egitto promette riforme strutturali, e incontra dirigenti degli Stati Uniti].
(6) Khaled Hroub, Fi Madih al-Thawra: al-Nahr dud al-Mustanqa, Dar al-Saqi, Beirut, 2012.
(7) Maxime Rodinson, “On Islamic ‘Fundamentalism’: an Unpublished Interview with Gilbert Achcar”, Middle East Report, no 233, Winter 2004. [Il ‘fondamentalismo’ islamico: un’intervista a Gilbert Achcar non pubblicata”]