Da da ieri, 8 luglio 2013, gli egiziani sono sottoposti ad un vero e proprio bombardamento di foto, dichiarazioni e video, diffuse sia dall’esercito che dagli islamisti per determinare di chi sia la responsabilità delle violenze che hanno fatto 51 morti e 455 feriti ieri mattina davanti all’edificio della Guardia repubblicana.
Tuttavia (è un’impressione del tutto personale) – a parte gli ambiti vicini ai Fratelli musulmani e ai loro alleati – l’opinione che sembra prevalere non è tanto quella di voler sapere chi sia all’origine del massacro, anche perché non lo si saprà probabilmente mai. Tutti mentono. Sembra invece che stia prendendo forma una specie d’indifferenza nei confronti dei Fratelli musulmani, una caduta di popolarità nei loro confronti dovuta sicuramente al loro sostegno a Morsi, ma anche alle violenze dei giorni precedenti che sono state chiaramente percepite dalla gente come una loro responsabilità. Così 22 giornalisti di Al Jazeera hanno appena dato le dimissioni accusando la catena TV del Qatar di gettare benzina sul fuoco della guerra civile e di mentire sistematicamente a favore degli islamisti.
I giornalisti del grande quotidiano Al Ahram hanno sequestrato il loro direttore di simpatie islamiste chiedendone le dimissioni… Potremo aspettare a lunga prima che succeda la stessa cosa nei confronti dei dirigenti della stampa francese. Potrebbero, tuttavia, cambiare tono nei prossimi giorni, perché gli Stati uniti hanno effettuato una svolta dichiarando che non ritireranno le sovvenzioni all’esercito egiziano come avevano minacciato di fare, invitando i dirigenti islamisti alla moderazione.
Gli appelli alla rivolta e alla sovversione dei Fratelli musulmani e dei loro alleati sono stati, per finire, poco seguiti. C’è ancora un appello per questa sera, 9 luglio, ma ci sono poche ragioni per cui sia più seguito degli altri. Si ha l’impressione che i Fratelli musulmani si siano ampiamente screditati agli occhi del popolo, abbiano definitivamente perso la partita e non solo Morsi.
Certo, i Fratelli musulmani spiegano che non è la prima volta che i loro dirigenti finiscono in prigione, le loro sedi vengono chiuse, i loro giornali bloccati dall’esercito e ogni volta sono riusciti a risollevarsi. Ma quello che c’è di diverso questa volta è che hanno perso il sostegno popolare. Il governo di Morsi era totalmente screditato e anche odiato, a tal punto da essere riuscito a fare scendere per strade contro di sé milioni e milioni di persone, come mai si era visto nella storia. I risultati elettorali nei sindacati professionali avevano mostrato, in precedenza, una forte erosione del loro elettorato e un crollo definitivo tra gli studenti.
Il crollo dei Fratelli musulmani in Egitto – provocato da un sollevamento popolare – segna probabilmente l’inizio della fine dell’islam politico, cosa che avrà sicuramente ripercussioni altrove e modificherà l’equilibrio geostrategico della regione.
Alcuni partiti salafisti, come ad esempio Al Nour [La Luce], che hanno tenuto posizioni neutrali nel corso degli ultimi avvenimenti, possono sperare di togliere le castagne dal fuoco. D’altra parte, l’esercito, che ci tiene ad avere gli islamisti dalla sua parte, fa loro la corte, li imbonisce come non mai. E Al Nour ne approfitta per alzare il prezzo. È stato Al Nour, per esempio, a rifiutare la nomina di El-Baradei come primo ministro [1], rifiutando qualsiasi laico alla testa del governo. Ma al di là di questi aspetti particolari, è tutto l’islam politico che potrebbe trovarsi indebolito, salafisti compresi.
In effetti, si sente non poca gente dire che non si deve più mescolare religione e politica, in poche parole separare la religione dallo Stato. Non è ancora fatta; ma i laici potrebbero essere tra i veri vincitori di questi ultimi giorni. Se questa tendenza si dovesse confermare, sarebbe uno sconvolgimento molto importante per l’Egitto e tutta la regione.
È questa una differenza importante tra la rivoluzione del gennaio 2011 e quella di oggi. Una differenza che viene anche dal fatto che i gruppi laici, che erano stati completamente liquidati all’epoca dei regimi di Sadat e Moubarak lasciando il posto solo a un’opposizione religiosa, si sono rafforzati considerevolmente in questi ultimi due anni e mezzo, soprattutto tra i giovani.
Ma non c’è solo questo. I vincitori non saranno probabilmente solo i laici, ma anche tutto quello che si muove nella direzione dell’autorganizzazione e in particolare delle classi popolari.
Negli ultimi avvenimenti, molte persone si sono sentite prese in ostaggio tra l’esercito e gli islamisti – questo è stato il titolo di diversi articoli dei giornali egiziani – con un elevato grado di diffidenza nei confronti dei due protagonisti. Cosa che denota un atteggiamento estremamente positivo, una voglia di pensare con la propria testa, di essere autonomi.
Se l’islam politico sembra aver subito un duro colpo, le cose non vanno certo meglio per l’esercito, nonostante le apparenze del momento. Certo si sono effettivamente viste molte persone gridare “L’esercito e il popolo sono una sola mano” o manifestare con cartelli/ritratti inneggianti al generale Al-Sissi, generosamente distribuiti dall’esercito stesso.
Tuttavia, l’impressione dominante non è tanto che le persone si facessero grandi illusioni sull’esercito, ma che fossero semplicemente contente dell’alleanza momentanea con esso con l’obiettivo di far cadere Morsi. Preferivano avere l’esercito dalla loro parte piuttosto che dalla parte di Morsi e doverne affrontare la violenza. Quei ritratti di Al-Sissi e quei “Viva l’esercito!” traducevano dunque un enorme sospiro di sollievo, più che un’adesione o delle illusioni. Contrariamente al periodo successivo al 25 gennaio 2011 – quando le illusioni sull’esercito non erano crollate che 8 mesi dopo, nell’ottobre 2011, in occasione del massacro dei Copti a Maspero –, ora il lasso di tempo sarà molto più breve. E, probabilmente, non ce ne sarà affatto. Forse solo un momento per tirare il fiato dopo simili emozioni e per digerire tali avvenimenti.
La diffidenza ha d’altronde già cominciato a esprimersi chiaramente. Il massacro degli islamisti ieri non ha sollevato alcuna compassione nei loro confronti, ma ha fatto nascere molta diffidenza nei confronti dell’esercito. Diffidenze confermate dalla dichiarazione costituzionale di oggi.
Il presidente nominato dall’esercito, in effetti, ha rilasciato una dichiarazione costituzionale provvisoria che tenta di traghettare l’Egitto alla prossima costituzione e alle prossime elezioni legislative e presidenziali. Promette di far cominciare il processo elettorale entro 3 o 4 mesi, attraverso una costituzione sottoposta a referendum, con la tenuta di elezioni prima della fine del 2013. Non c’è nulla di assolutamente diverso in questa dichiarazione costituzionale rispetto a tutto quello che ha potuto essere fatto in precedenza. Un primo punto che conferma la Sharia (come da più di 20 anni), ma in uno stile che può piacere di più ai salafisti, un Consiglio di Difesa Nazionale autonomo responsabile del budget dell’esercito, un esercito che ha diritto di veto su tutto quanto lo concerne dal punto di vista legislativo, tribunali militari per i civili che non si sa bene se saranno mantenuti o aboliti. In poche parole, come dicono in molti, una dichiarazione costituzionale per i militari, i salafisti e i giudici.
Immediatamente, Tamarod (Ribellione), che gode di una certa udienza dopo il successo della sua campagna per la raccolta di firme contro Morsi, ha rifiutato la dichiarazione costituzionale e messo in guardia il popolo contro un eventuale furto della rivoluzione attraverso un’alleanza tra i militari e i salafisti (dimenticando il FSN – Fronte di salvezza nazionale – cosa non sorprendente, se si conoscono i legami tra Tamarod e il FSN). Sono stati immediatamente invitati dal potere a un incontro, con il FSN, per aggiungere i loro articoli alla dichiarazione costituzionale. Il FSN ci andrà. Quanto a Tamarod, vedremo.
Comunque, la diffidenza nei confronti dell’esercito è a fior di pelle e non aspetta che un eventuale incidente per manifestarsi, ma comunque dopo la fine delle azioni dei Fratelli musulmani (cominciando domani il ramadan, la fine potrebbe arrivare in quel momento) per non confondersi con loro. Tra coloro che si sono completamente immedesimati nel ruolo svolto dall’esercito e che ne subiranno i contraccolpi, vi è Hamdeen Sabbahi, il socialista nasseriano, che aveva ottenuto il terzo posto nel primo turno delle elezioni presidenziali e poteva sperare di guadagnare più vantaggi di tutti in questa situazione.
Ha sostenuto incondizionatamente l’esercito e ha anche denunciato i rivoluzionari che vi si erano opposti quando questo era al potere. E questo di sicuro non lo aiuterà. Mentre la sinistra che incarna maggiormente in Egitto ha incontrato una profonda fiducia del popolo.
Ciò che c’è d’importante è che il sentimento di diffidenza e di disgusto verso i Fratelli musulmani e i militari ha trovato un’espressione organizzativa popolare e non istituzionale, nei comitati di quartiere o di strada che sono sorti nelle notti del 5 e 6 luglio per proteggersi dalle violenze dei Fratelli musulmani, disarmarli e impedire gli scontri. Si sono notati comitati di autodifesa a Bulak, Manial, vicino a Maspero, Sayyida Zeinab, Sidi Gaber al Cairo e ad Alessandria e certamente anche altrove, dato che stampa non si è per nulla soffermata su questo aspetto delle cose.
Mettendo in risalto gli scontri violenti tra i militari e Fratelli musulmani, in Occidente ci si è quasi dimenticati dell’immensa marea umana di protesta scesa nelle strade contro Morsi. Forse era proprio questo l’obiettivo. Ma questo non può avvenire in Egitto, per quelli che vi hanno partecipato, ovvero quasi tutti.
Ora i problemi sociali ed economici sono stati all’origine di questa manifestazione di massa, di questa seconda rivoluzione. E non sono stati certo dimenticati. Per contro, per potervi apportare delle soluzioni, il popolo egiziano si è appena sbarazzato, sul suo cammino verso l’emancipazione, di uno dei principali avversari, i Fratelli musulmani e ha indebolito il secondo, l’esercito.
I comitati che il popolo ha creato, come quelli che aveva creato per la raccolta di firme organizzata da Tamarod e l’organizzazione di immense manifestazioni dal 30 giugno al 3 luglio, sono una marcia in più verso l’auto-organizzazione. Le rivolte sociali ed economiche che non sono mai cessate negli ultimi due anni – in particolare questa primavera nella quale hanno raggiunto livelli storici, sapranno probabilmente usare questa esperienza nel prossimo periodo; ma questa volta, per loro, per gli sfruttati e non contro o a favore del meno peggio tra i suoi avversari del momento.
Pubblicato sul sito www.alencontre.org il 9 luglio 2013. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.
[1] “Martedì 9 luglio 2013, l’ex ministro egiziano delle Finanze Hazem el-Beblaui è stato nominato Primo ministro ad interim, sei giorni dopo la destituzione di Mohamed Morsi da parte dell’esercito. Quanto al Premio Nobel per la pace 2005, Mohamed el-Baradei, è diventato vicepresidente incaricato delle relazioni internazionali. Hazem el-Beblaoui non è uno sconosciuto per gli egiziani. Nel 2011, dopo la caduta di Hosni Mubarak, questo economista di fama internazionali ha gestito gli affari dello Stato al più alto livello – in quanto Primo ministro e ministro delle Finanze.
Ma dopo appena qualche mese al governo, ha lasciato il suo posto per protestare contro la morte di vari Copti, uccisi dalle forze dell’ordine.
Dell’età di 76 anni, Hazem el-Beblaoui ha svolto una parte dei suoi studi a Parigi e a Grenoble, prima d’insegnare economia all’Università di Alessandria dal 1965. Nel 1980, ha lasciato il suo paese per cominciare una carriera internazionale – prima in una banca del Kuwait, poi alle Nazioni unite, come segrertario esecutivo della Commissione economica e sciale per l’Asia occidentale.
Grande conoscitore degli affari economici del Medio Oriente, Hazem el-Beblaui ha scritto vari libri sul commercio internazionale. Ha sempre difeso l’idea del libero scambio e il rispetto dello Stato di diritto. Hazem el-Beblaui è stato fatto cavaliere della Legione d’onore francese”. (RFI- Radio France Internationale, 9 luglio, ore 18:12)